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Scrivere come Cartesio

agosto 17, 2010

Una delle scrittrici che amo, Antonia Byatt, ha scritto un articolo per Times che Repubblica riporta parzialmente questa mattina. Parla di sogni. Di come chi scrive prenda ispirazione dai sogni o ne attribuisca ai propri personaggi (e di come si faccia a raccontare il sogno di un personaggio). Argomento che naturalmente mi è caro, dal momento che di sogno ho sempre parlato, che Lavinia nasce da un sogno e che stanotte ho sognato di dover morire e risorgere dopo tre giorni (non mi sto montando la testa, sto leggendo “Redenzione”).  Il passaggio più bello dell’articolo è questo:

“Freud è molto interessante per quelli che egli definisce Traüme von Oben, sogni dall´alto, “grandi sogni”. Si tratta di sogni che racchiudono un significato, in modalità non così lontane dalle visioni oniriche medievali inventate. Il 10 novembre 1619 Cartesio ebbe tre sogni che a suo dire cambiarono la sua vita. Nel primo, pur facendo di tutto per entrare in una chiesa, era respinto indietro da terribili e dolorose folate di vento. Nel secondo si trovava in una stanza piena di lampi e scintille luminose. Nel terzo gli era proposto di scegliere tra due libri: il primo era un succinto dizionario, l´altro – gli fu riferito – conteneva invece tutta la poesia e la scienza della conoscenza. Egli riconobbe due citazioni latine – Est et non (“È e non è”) e Quod vitae sequabor iter (“Quale vita intendo seguire”). Egli preferì il volume di scienza e poesia in luogo del dizionario e affermò che quella visione confermò la sua scelta di dedicare la propria vita alla ricerca filosofica e matematica. Nel 1929 Maxime Leroy, che studiava Cartesio, inviò la descrizione di questi sogni a Freud, chiedendogli di interpretarli. Freud rispose che si trattava di sogni dall´alto, sogni che pensavano, nei quali l´interpretazione stessa dell´individuo sognante era quella giusta”.

Eppure, c’è chi sceglierebbe il dizionario.