Vediamo se riesco a fare un esempio terra terra per quanto riguarda l’allegoria, o come io la intendo.
Proprio ieri ho finito Danze dall’inferno, diabolico regalo della mia amica sadica. E’ evidente che l’antologia è stata concepita a puro scopo commerciale, sul quale peraltro non ho niente da dire. I curatori si saranno detti: sfruttiamo il successo della Meyer, mettiamo insieme qualche racconto di scrittrici, tutte donne, che per favore usino qua e là qualche vampiro e comunque ci mettano l’elemento goth, e forniamo un’unica ambientazione.
Il ballo della scuola.
Si accende una freccia al neon (lampadine rosa fucsia) con la scritta “ATTENZIONE: ALLEGORIA”.
Si alza dal fondo della sala un critico-sociologo-psicologo (qualcosa che finisce in -logo, come diceva Laurie nei commenti, ieri) e spiega, con voce pacata e molte pause che il ballo di fine anno rappresenta un rito di passaggio e che è giusto che gli scrittori se ne occupino e aggiunge qualcosa d’altro dove c’entrano la struttura delle fiabe e si cita Propp.
E’ vero, ma a me lettore tutto questo serve? Forse sì, se sono un -logo e voglio saperne di più su come vengono raccontati, oggi, i riti di passaggio. Forse no, se da quel libro cerco una buona storia, ben raccontata e con una trama che, almeno un po’, mi coinvolga e con personaggi che in qualche modo “risuonino” con me.
In casi come Danze dall’inferno l’allegoria potrà anche esserci, e sicuramente a qualcuno servirà. Per quanto riguarda i lettori: altrettanto sicuramente ci sarà un pubblico entusiasta perchè troverà molte adolescenti raccontate in una gamma che va dalla Mary Sue più vergognosa alla diavolessa cornuta (nel racconto della Meyer). E ci sarà un pubblico rassegnato, come me, che si ripeterà che non è così, e che il bene non è mai Bene fino in fondo e il male non è come se lo immagina una mormona, e che sostenere che l’inferno puzzi di cassonetto non è una grande idea, e che probabilmente non è vero che il sogno segreto di tutte le ragazze è di incontrare un mezzoangelo che le redima. E, e, e.
Poi. Che si scriva più o meno consapevolmente con-l’allegoria-inclusa credo che sia quasi inevitabile. La differenza è: me ne rendo conto alla fine, a storia finita, e mi dico “ma guarda, questa faccenda significa anche questo e quest’altro. Serve? Non lo so”. Oppure, come ho scritto nei commenti: mi siedo a tavolino e mi dico “sono pronta per una meravigliosa allegoria sulla quale costruirò una storia”. Serve? Quasi mai, credo: se è deciso a priori.
Ps. Ma secondo voi le diavolesse fanno “bleah” come i nipotini di Paperino?