Tre storie da Esbat

Vi ricordate il contest su Esbat? La gara di fan fiction? Quella indetta su Efp?
Bene, ci sono i risultati e li trovate qui.
Però per me la cosa importante non sono le classifiche, ma il fatto in sè: il fatto che da una storia ne nascano altre, e che quelle storie possano a loro volta generarne di ulteriori. Questa è la cosa più bella che possa accadere a chi scrive. Per questo ringrazio con tutto il cuore Niobe e Rohchan che hanno indetto il contest. E soprattutto ringrazio le tre autrici:  Roro, Deerockt e Avalon. Le loro fan fiction sono bellissime e le posto qui sotto. Insieme ai magnifici banner che sono stati realizzati. Vi voglio bene, davvero!!!

MITSUKI
di Roro (Ro-chan)

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[Luna piena]

Si ferma. Il pennello, ancora intriso d’inchiostro, cola leggermente. Dovrebbe lavarlo, il disegno potrebbe sporcarsi.

Dovrebbe.
Dovrei.
Chiude gli occhi, schiude le labbra, lascia che la voglia di dipingere ritorni. Posa la mano sul foglio, consente alle dita di sfiorare la superficie porosa. La sente sua, ora più che mai.

“Non ora”, mormora, eccitata: l’adrenalina le scorre nelle vene, e si sente potente, diversa. Sa che lui sta per arrivare, sa che lui sta per fare la sua comparsa. Ne è certa, ora lui le si paleserà innanzi, bello come non mai, e questa speranza le dà la forza di continuare a disegnare. E disegnare. E disegnare.

È per lui che dipinge, per lui che crea manga. Per lui, solo per lui.

“Non ora”.

Le si mozza il fiato in gola, e sbarra appena gli occhi – eccoti, si dice.

L’ha visto. Ora riesce a vederlo. È qui.

“Non ora”, vorrebbe ripetersi, ma non ce la fa. Sobbalza.

Eccoti, pensa di nuovo. Si lecca le labbra, gli occhi che osservano un volto illusorio – lo vorrebbe accanto a sé. Vorrebbe stringere tra le dita i suoi lunghi capelli, carezzare quella pelle diafana che tanto la fa smaniare. Vorrebbe baciarlo, sussurrargli parole d’amore prive di coerenza.

D’istinto fa per allungare una mano – eccoti, ripete ancora –, poi ci ripensa.

“Non ora”, si ammonisce, deglutendo. Non deve deconcentrarsi, non le è concesso. “Non ora”.

Devo restare attenta.

Le unghie sfregano l’inchiostro con maggiore veemenza, e la donna sospira: deve fare più attenzione, non deve distrarsi. “Non ora”, si ripete severa.
Sente un brusio – la radio si è inceppata? –,  ma non smette. Può farcela, le mancano solo due tavole, poi il capitolo sarà completo e potrà chiamare il signor Mizu affinché le mandi in stampa. E avrà tanti, tanti complimenti.
Sospira. L’immagine inizia a svanire, lentamente.
No.
Non c’è nulla da fare, le viene da piangere.
“Oh, dannata ispirazione”, mugugna, tirando su col naso. Riapre gli occhi neri, li fa scorrere per la stanza. Si ferma.
Ricomincia.

“Mm”, biascica. “Mh?”.
Il tavolo è immobile. Come sempre.
Come un tavolo.
La quantità abnorme di libri che vi giace sopra la fa sospirare. “Dovrei riordinare”, osserva, perplessa. Si alza, raggiunge la pseudo scrivania, si china; guarda curiosa la copertina dell’ultimo manga della Sensei.
L’ha comprato per scrupolo, in realtà. Non per interesse, la sua era semplice curiosità.

Era in vetrina, in un piccolo negozio nel centro di Tokyo, e le era apparso irresistibile: conteneva tavole originali, e pagine e pagine e pagine di commenti extra. Conteneva un dvd speciale, e delle interviste alla defunta creatrice dell’opera.

La Sensei. Scuote il capo, nervosa.
Non sa chi l’ha uccisa, e non le importa. Sa che per anni ha letto le opere di quella vecchia, ed è stata tra le uniche persone a non restare delusa, quando l’ha vista progressivamente impazzire. Sa che Hyoutsuki le è sempre piaciuto molto, e sa che anche gli altri personaggi le piacciono: li ha ammirati sin dalla prima tavola. “Eh, già”, sussurra. “Erano adorabilmente carini”.

Sì, li amava. Li amava molto.
In ogni caso, non li ho mai disegnati, pensa. Non ho mai avuto il coraggio.
Si stiracchia. Prima o poi lo farà.
Prima o poi, però.
Si volta verso il foglio, osserva il disegno appena fatto. Grugnisce, mentre l’accozzaglia di linee nere si mescola ai tratti decisi dei pennarelli – non è quello che si aspettava. Non le piace, semplicemente non le piace. “Kami”. Lo solleva, le dita che tremano per il disgusto. “Questa stronzetta non può indossare quel kimono, è troppo brutta. Devo rifarlo”. Si siede di nuovo accanto al tavolino, riprende il pennello. Lo intinge mestamente nell’inchiostro, attendendo che la punta si sporchi per bene: predilige il nero, ed esso utilizza per i suoi capolavori.

Ha preso il posto della Sensei, nella casa editrice, e ora è un suo manga ad essere idolatrato nel mondo: anche per lei fanno gadget e telefonini, carte da gioco e serie televisive.
Conosce tutti i mangaka del Giappone, tutti i fumettisti del mondo, tutti, e da tutti è apprezzata. Nessuno ha mai osato contraddirla, e tutti i suoi fan la venerano come una dea.

Proprio come la Sensei, osserva con un minimo di fastidio.
“Spero di non fare la sua stessa fine”.
Scuote il capo: la sola idea è inconcepibile, lei non impazzirà mai. Il suo manga è uno shoujo, non c’è azione: non ucciderà mai la sua eroina, la adora troppo. Mai oserà che qualcuno la divida dal suo innamorato, mai farà sì che i due cedano ai sentimenti per una notte di sesso.
La Sensei era solo una vecchia. A cinquant’anni avrebbe dovuto ritirarsi.
Doveva lasciarlo a me, quel manga. L’avrei disegnato molto meglio.
Si rende conto del suo pensiero, arrossisce un po’. “Ho un tratto molto più fine”, afferma, asserendo col capo. “Un tratto dolce, piacevole. Lei era molto più fredda, Hyoutsuki era un pezzo di ghiaccio”. Poi sorride, più dolce.  “Il mio Hiroshi è molto meglio”. E un lieve rossore le copre le gote, mentre carezza la figura slanciata che poco prima ha disegnato: Hiroshi ha i capelli rossi e gli occhi azzurri. Le sue labbra sono apparentemente morbide, la sua pelle dello stesso color del ghiaccio. Hiroshi è bello, spezza il cuore di tutte le sue fan. “Sì. Lui è splendido”.

Si complimenta con se stessa, alza gli occhi verso il cielo. La luna le illumina il volto perfetto.
Lei è ancora una ragazza. Lei è giovane.
Ha i capelli neri che la cadono lungo le spalle, creando delle belle onde: passa giorni e giorni dal parrucchiere al solo scopo di averli così. E poi, ha una bella pelle e delle labbra rosse e carnose. I lettori l’hanno eletta più volte la mangaka più bella del panorama nipponico e non. La amano, perché lei non rifiuta mai né un’intervista né un autografo.
Non come la Sensei.
Basta. Ha lavorato troppo, non riesce più ad applicarsi, e quella sciocca donna non fa che tornarle in mente. “Tanto è morta”, si ripete, sorridendo. “La migliore sono io, ora. I disegni nello studio del direttore sono miei. E sono io quella cui spediscono lettere entusiaste e regali”. Un ghigno le sforma il volto, mentre si alza. “Stanotte è luna piena”.
Sente un debole soffio di vento che le scuote i capelli, poi si posa una mano sul ventre. È magro. Perfetto
. Vorrebbe tanto poter celebrare quel rituale. Esbat, si chiama.
L’ha già usato qualche volta, in passato. Uccidere le sue assistenti è stato semplice: la amavano, dopotutto. Non si sarebbero opposte neppure volendo. Del resto, aveva spiegato loro che tutto quel che faceva era per incontrare Hiroshi e finire il manga. I loro corpi li aveva bruciati tutti insieme sul monte Fuji, divertita dalla prospettiva di essere scoperta.
Dopotutto, l’Esbat l’aveva attratta sin dalla prima volta che aveva visto quel servizio in tv. Quello che parlava di quelle streghe – le wicca? – e che mostrava i loro rituali, ecco. Le era piaciuto subito, provarlo era stato doveroso.
E poi, che sorpresa sapere che usandolo avrebbe potuto richiamare Hiroshi!
Non l’avrei mai detto.
“Ma stasera, niente assistenti”, sospira, infastidita. Nessun metodo per farlo venire, e lui non si taglierebbe mai nulla per passare. “Mah”.
Si guarda intorno, irritata, alla ricerca di qualcosa. Lo vede. Un borsone da calcio.
Il borsone da calcio, precisa, ricordando le lotte di suo fratello per riceverlo. E ricordando che il moccioso era scappato di casa. E si è rifugiato da me.
Sogghigna, sfilando il coltello nascosto nel suo kimono bianco. Suo fratello dorme nella stanza accanto, no?

UNDER THE RAIN

di Deerockt94

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La pioggia non era che un’illusione del cielo per gli stolti che ne avevano paura.

Lei non temeva la pioggia, né i fulmini. Conosceva le forze mistiche che creavano le tempeste, erano queste che l’avevano generata. Alseide era nata centinaia di anni prima, in una notte come quella. Era un demone delle tempeste. Le controllava, era in grado di evocarle o di richiamarle, se voleva.

Ora, anche dal folto della foresta poteva udire le urla degli umani, colti alla sprovvista da quel temporale estivo. Tentavano di mettersi al riparo, convinti che quella fosse la vera minaccia.

Stupidi. Non capivano. Mai nessun umano era stato in grado di comprendere la natura intorno a sé, per quanto si sforzasse. Pensò ai patetici tentativi di descrivere il mondo da parte dei bardi. Chi mai era riuscito a catturare la vera essenza di una goccia di rugiada posata su di una foglia, di una cascata al centro di una foresta, del canto melodioso di un passero su di un ramo? Chi di loro, elogiandone la bellezza, era riuscito ad evocarne l’immagine viva e pulsante nelle menti di chi stava ad ascoltare?

Lei odiava gli umani. Erano limitati, schiavi dei loro istinti, deboli. Erano anche meschini. Per un attimo, avvertì un moto di pietà per Hyoutsuki-sama.

Quell’umana lo aveva soggiogato, ridotto all’ombra di qualcuno che gli somigliava soltanto, a qualcosa che non sarebbe mai dovuto essere. Lei entrava nel loro mondo di soppiatto, rubando ciò che le appariva più attraente, e poi modellava la loro vita a suo piacimento. Lo faceva per infimi scopi: successo, soldi, potere.

Tuttavia non considerava quella donna peggiore di altri: era semplicemente umana, e quindi incapace di valutare quello che faceva. Ne aveva visti tanti, a migliaia. Sorrise, scoprendo i canini affilati. Sarebbe finita presto.

La mente di quella donna era fragile. Lo aveva capito anni fa, quando aveva cominciato ad osservarla. Aveva compreso il suo modo di essere, alla fine, e ne era rimasta sorpresa.

C’era una barriera attorno alle sue emozioni umane, un limite che la stava distruggendo, lentamente ma in maniera inesorabile. Quella donna stava cercando di fare ciò che altri umani, prima di lei, avevano sperimentato senza successo: stava cercando di mutare la sua vera natura. Tentava, disperatamente, di sopperire alla mancanza di relazioni con gli altri esseri umani godendo dei suoi successi. Pensava forse che la prima fosse la conseguenza dell’altro? O forse cercava di convincersene, ricordando come aveva perso le redini della sua vita nel momento in cui aveva cominciato il suo lavoro? Non era così, lei lo sapeva bene. Poteva guardare dentro chiunque.

Era semplice indagare negli umani, erano così banali e monocorde. Non vi era profondità in essi, nemmeno nella Sensei. L’aveva capita dopo qualche attimo. Era una donna arida, in caduta libera verso l’oblio.

**

Ivy rigirava la matita azzurra tra le dita, come fosse stata la bacchetta di un batterista.

L’aveva visto fare da un tizio, nella sua classe. Un tipo strano, con i capelli rasati a zero, sempre vestito di nero, con un collare pieno di borchie. Suonava in una band heavy metal e non studiava praticamente mai. Teneva sempre una coppia di bacchette nella tasca posteriore dei jeans e ci giocava sempre, in classe.

Lei l’aveva osservato rigirarsi quel sottile bastoncino di legno tra le dita con l’abilità di un prestigiatore. Era un’illusione: un movimento particolare del polso, delle dita, e sembrava che la bacchetta girasse su se stessa. Aveva impiegato qualche tempo per imitarlo alla perfezione, rigirando tra le dita tutto ciò che aveva a portata di mano: pennelli, matite, addirittura lo spazzolino da denti. Lo faceva sempre più spesso ora, mentre navigava in internet, o anche quando studiava. Era diventato una sorta di riflesso incondizionato.

Tornò a concentrarsi sul ritratto di Hyoutsuki che stava facendo: bello, glaciale. Come sempre.

Eppure, pensò, mentre l’aveva disegnato aveva aggiunto qualcosa di diverso. In effetti, non era come lo vedeva nei poster appesi nella sua stanza, o nelle tavole del manga che teneva nella libreria. Senza volerlo aveva tracciato la bocca contratta in una smorfia, il viso indurito dalla rabbia. Era straordinariamente bello e altrettanto furioso.

Diede gli ultimi ritocchi di azzurro allo sfondo.

Lo aveva disegnato immerso in una foschia che sarebbe potuta appartenere ad un alba invernale. Ritto in piedi, composto e in attesa. Forse di una vendetta, si disse.

Era questa la cosa fantastica, quando disegnava Hyoutsuki: lasciava vagare le mani, le matite. Improvvisamente non controllava più in modo razionale ciò che appariva sul foglio: apparivano, semplicemente. Si sentiva come una sorta di intermediario tra un mondo e un altro, uno strumento utilizzato da una forza misteriosa che le dettava cosa disegnare per raccontare. Era contenta che, ora che il manga era terminato, avesse ancora i suoi disegni per rivedere Hyoutsuki. La Sensei era stata veramente folle a lasciarlo morire. Aveva completamente perso la testa, si disse.

Poco male. C’erano ancora migliaia di disegni che poteva fare, milioni di fanfiction che poteva leggere. Le idee di una vecchia pazza non l’avrebbero certo fermata.

Quando ebbe terminato il suo disegno si mise a guardare fuori dalla finestra.

La pioggia continuava a scendere copiosamente da quella mattina senza dare cenni di voler smettere. Ivy si stiracchiò.

Non le era mai piaciuta la pioggia. Era noioso rimanere tappata in casa per ore, a fissare fuori con un lontano sentore di mal di testa in arrivo, senza un’idea precisa per ingannare il tempo in qualche modo. Erano momenti di buio, di oblio totale. Sospirò e andò a sdraiarsi sul letto.

Sentiva lo stress di una settimana piuttosto pesante e voleva proprio rilassarsi, anche solo per un paio d’ore.

Chiuse gli occhi, le dita ancora strette a quella matita azzurra, e scivolò velocemente in un sonno profondo.

**

Alseide si abbandonò a terra, sbattendo forte contro il terreno.

Il pesante mantello scuro la ricopriva interamente: i capelli sciolti le oscuravano il volto e la vista.

Hyoutsuki.

Era stata lei.

Lo aveva ingannato.

Non poteva essere.

Sentiva le membra rapite da un tremito incontrollabile. Non poteva essere. Non doveva finire così.

Era nata insieme a Hyoutsuki, nella stessa era. Lo aveva visto nascere, maturare, diventare quello che era stato fino a poco tempo prima. Poi lo aveva visto schiavo di quella donna crudele. E ora…

Ora l’aveva visto morire a causa sua. Non doveva finire così!

Si rialzò e capì cosa fare nello stesso momento in cui vide un’immagine balenare nella sua mente.

La ragazzina. Era lei, tutto il destino di Hyoutsuki era racchiuso nelle sue mani.

Alseide lasciò che i suoi sensi vagassero nella foresta che la circondava. Possibile che fosse già lì?

Un forte odore le aggredì le narici. Era proprio così, non era lontana.

Si lasciò guidare dalla forza della disperazione.

Eccola!

Le si gettò addosso senza darle il tempo di reagire.

-Tu!- Urlò, abbandonando la compostezza regale che le era solita.

-Tu, umana! Tu mi aiuterai, e subito!- Le ordinò, afferrandola per il collo. Era così morbida e fragile. Avrebbe potuto stringere solo poco più gli artigli su quella pelle candida e ucciderla in un attimo. Ma non poteva. Non doveva riversare tutta la sua rabbia su di lei, le serviva.

La ragazza emise un suono strozzato, terrorizzata.

Alseide la lasciò subito andare.

-Cosa vuoi da me?- Chiese in un sussurro l’umana. C’era un che di reverenziale nei suoi modi, pensò Alseide. Era impaurita, ma allo stesso tempo affascinata da lei. Capì che avvertiva la grandiosità del suo potere.

-Hyoutsuki-sama è morto ingiustamente. Aiutami. Aiutalo a tornare.- Disse. Si rese conto che la sua richiesta somigliava troppo ad una supplica.

-Te lo ordino. Altrimenti puoi ritenerti già morta. Hai capito, ningen?!- La ragazzina non si mosse.

Alseide le si avvicinò, sfiorandole la guancia con uno degli artigli. Un rivolo di sangue sgorgò immediatamente dalla sua pelle sottile.

Voleva vederne ancora. Voleva vedere fiumi di sangue imbrattarle le vesti.

-La tua…- affondò uno degli artigli ancora un po’, lacerando altri tessuti.

Voleva uccidere, distruggere, provocare dolore.

-…stupida mente umana…- La ragazzina urlò di dolore.

Avrebbe ucciso anche la piccola umana.

-…non può nemmeno…- Si fermò.

Doveva sfogare la sua frustrazione.

-…concepire il mio dolore…- Si allontanò, cercando di dominarsi. Strinse forte i pugni immacolati, digrignando i denti.

-Dovrai farlo perché sono io che te lo ordino, hai capito?- Sibilò. Avvertiva quasi una vena di follia nella sua voce. La sua disperazione la stava portando a somigliare sempre più a quella stolta, fragile umana che aveva ucciso Hyoutsuki. Finalmente la ragazza annuì.

-Lo… lo farò.- Rispose, tremante. Alseide inspirò profondamente, poi si voltò e corse via.

Sarebbe tornato. Lo sentiva.

Non sbagliava mai una predizione.

**

Il professore aveva l’influenza, le dissero.

Quel supplente le appariva come uno dei tanti che aveva incontrato nella sua vita prima d’ora: bassino, i capelli brizzolati e il volto segnato dal tempo. Era insignificante ai suoi occhi.

-Disegno libero.- Annunciò l’uomo. Ivy sospirò. Cosa avrebbe fatto?

Era già da qualche giorno che non riusciva a mettere insieme due linee di matita.

Si accarezzò piano il cerotto sulla guancia. Non riusciva proprio a ricordare come se lo fosse fatto.

Due giorni prima si era appoggiata sul letto per riposare un po’, e poi si era risvegliata appena in tempo per la cena. Con il cuscino insanguinato e il viso segnato da un profondo taglio.

Non ricordava nulla del sogno che aveva fatto, ammesso che ne avesse fatto uno.

Decise di lasciare che le matite vagassero da sole. Un viso, una cascata di capelli argentei.

Ma si, Hyoutsuki. Dopotutto, era sempre stata brava a disegnarlo. E poi, come si era già detta, la storia non finiva così come la Sensei voleva darla a bere ai suoi fans.

C’era qualcos’altro. Doveva esserci.

Avvertiva che sarebbe potuta andare in un altro modo, che qualcosa fosse ancora in sospeso. Non era tutto finito. Non ancora.

Ma… Poteva permettersi di decidere lei, per tutti loro? Ma si. Le storie, si dice, sono di tutti.

TUTTAVIA
di Avalon9

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“Sei soddisfatta”

Yobai non chiede; afferma. Perché le cose le intuisce (Yobai è mente: ragionamento, riflessione, pensiero. Io conosco; per esperienza è il suo vanto – e conosco te).

“Soddisfatta?” Axieros ride; mentre l’indice – elegante – sfiora (acqua, vetro, aria?) la divisione; e negli occhi (un abisso) malizia e noia. Perché Axieros è così: creatrice. E adesso la sua creazione la sta fissando; e ha occhi (rossi) divertiti – irriverenti.

“Soddisfatta”. Ripete (ed è sussurro. Assapora); e la lingua – seduzione – guizza fra le labbra; Axieros è brava a tentare, ad attrarti mentre l’unghia (artiglio corda veleno) si allunga. Trapassa lo schermo (acqua vetro aria – Che importa? Yobai ne percepisce l’incresparsi, lo spezzarsi e resta intero. Intero. Perché Lei passa; attraversa) e accarezza – materna. Falsamente materna – il mento virile.

“Soddisfatta, sì” Yobai esita (quasi); mentre freddo e qualcosa risalgono (fluido) lungo il collo. Odia sentirla strisciare (Gaderiel. Sei Gaderiel) attorno a lui, dentro di lui. Avvolgerlo. La odia; la disprezza, l’ammira. La desidero – e la scoperta è gelo lungo la schiena (Eccitazione o terrore? – C’è differenza? – No. – Allora va bene)

“La ragazzina (Ivy. Si chiama Ivy. Ricordalo. Pericolo. È pericolosa. Per me.) l’ha svegliato”

Io le ho permesso di svegliarlo”. La voce – un sorriso condiscendente – sussurra. “Ricordalo: io

“Naturale”. E l’istinto (umano. Eri umano, ricordi?) urla: fai attenzione. Perché Axieros è creatrice; e creare è distruggere. E a Yobai essere un gioco (creazione) non piace – no, non è paura. Istinto.

“Naturale” Yobai centellina (parole e respiro); perché con Axieros non puoi avere fretta. “Ti interessa

La mano – acqua – scivola nell’aria; mentre il confine (sabbia; polvere. Ma prima. Prima era diverso. Non importa. Ignora.) si accartoccia, crepita e trascina.

E Axieros sorride – predatrice.

Perché una pedina – youkai – ha occhi (oro; da gatto. Appuntiti) che dicono: non cederò. Perché lo youkai (un gioco) la sta sfidando (e non lo sa. Ancora).

Forse” sussurra Axieros; il respiro – antico – a sfiorare la pelle (l’anima). “Tuttavia”

“Tuttavia?” Il brivido (sorpreso) è un rantolo. Yobai avverte: l’implodere di un sospetto, ed esserne parte; esserne preso. Pericolo. È pericolosa. Perché Axieros non dice; Axieros gioca. E adesso sta giocando. Di nuovo.

“Tuttavia?” ripete Yobai– ed è un singhiozzo (interessato?)

“Tuttavia”, gli concede Axieros. E scolora.

Tuttavia.

E Axieros trema. Di piacere.

Perché la Donna è morta; e la bambina sta crescendo.

Perché Yobai (intelligenza) non comprende.

Perchè Hyoutsuki socchiude gli occhi; e il labbro accenna un’increspatura.

Nota
Gaderiel è il nome che, nei vangeli apocrifi della Bibbia, è dato al serpente che ha tentato Eva, portando il caos nel mondo. Il paragone è basato sul fatto che all’Axieros mitologicamente attestata era tributato, in Samotracia, il culto proprio di una divinità ctonia, di cui il serpente è espressione ancestrale, riassumendo in sé il potere salvifico e mortifero.

8 Risposte to “Tre storie da Esbat”

  1. Laurie Says:

    *__*
    Ma sbaglio o l’elfica fanciulla ha parlato del mio amato Yo-Yo? Appena mi rimetto in passo col fandom le leggo, sono stata troppo lontana da EFP e sento ogni giorno la mancanza di quel sito.

  2. Lara Manni Says:

    L’elfica fanciulla ha dedicato la fan fiction a Yobai, ebbene sì! E ci fa anche una gran bella figura, direi 🙂

  3. demonio pellegrino Says:

    Tuttavia mi e’ piaciuto molto. Sara’ perche’ Yobai e’ il personaggio che mi e’ piaciuto di piu’ del tuo libro…

  4. Lara Manni Says:

    Sai che stai facendo felice Laurie, in questo momento, vero? 🙂

  5. deerockt94 Says:

    Wow… grazie per aver pubblicato anche qui, mi sento quasi… importante =)
    Devo dire che la fanfiction di Avalon è semplicemente magnifica (e mi fermo qui perchè non credo di poterle dare giustizia con le mie parole), e quella di roh chan è stata un fantastico crescendo di suspance, in pieno stile Esbat. Le adoro tutte e due, e mi sento onorata di aver gareggiato con queste due storie così belle.
    Posso dire solo una cosa piccina picciò? Ecco…
    Accade spesso, dunque ormai ci ho fatto il callo, diciamo. Ma, vedi Lara-sama… Il mio nick ha una “t” finale ^.^
    So che sembra un particolare irrilevante, ma quella t ha una ragion d’essere: è la desinenza di terza persona singolare del tedesco per i verbi regolari, dunque suonerebbe come un “Dee rockeggia” o qualcosa di simile. Lo so, sono una pignola rompiscatole… perdonami =)
    E grazie ancora per aver postato.

  6. Lara Manni Says:

    Oh mamma, deerockt! Scusa!!!!! Correggo subito!

  7. Laurie Says:

    *O*
    Ah ma allora non sono la sola ad amare quell’essere meraviglioso *OO*

  8. Lara Manni Says:

    Esatto! Ha un notevole fandom, il signor Yobai!

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