Archive for gennaio 2010

The Vampire in the Rye

gennaio 29, 2010

Volevo dire la mia, come hanno fatto diverse centinaia di migliaia di persone sui giornali e su Internet, su Salinger, morto ieri sera. Più che altro volevo riflettere sul suo “sparire” come persona fisica, che non solo mi ha sempre affascinato molto, ma che ho sempre trovato più che condivisibile quando si parla di scrittura e scrittori.
Però la tentazione è troppo forte e parlo d’altro. Anche se non proprio del tutto.
La tentatrice è Violetta Bellocchio, che non solo è una scrittrice bravissima  (Sono io che me ne vado), ma è una blogger di rara arguzia. In questo post racconta le ultime novità in fatto di merchandising su Twilight.  Il reality show sulla vita degli abitanti di Forks mi fa deglutire. Le Twilight Rooms degli alberghi mi provocano un certo sbandamento. Del rossetto sapevo (Twilight Venom, ma santo cielo!). Del condom si è detto. Del vibratore si sa già tutto (ebbene sì, esiste un giocattolino simile intitolato al giovane Cullen). Ah, c’è anche il manga:

Niente commenti, ma una nota a pié di pagina. Da Wikipedia:

Nel 1953 Salinger pubblicò una raccolta di sette racconti tratti dal The New Yorker (tra di essi c’è “Bananafish“) oltre ad altri due che la rivista aveva rifiutato. La raccolta fu pubblicata con il titolo di Nove racconti. Anche questo libro riscosse molto successo, anche se lo scrittore, già restio a pubblicizzare i suoi lavori, non avrebbe permesso all’editore di ritrarre i suoi personaggi nelle illustrazioni della sovraccoperta perché i lettori non si creassero idee preconcette sull’aspetto che avrebbero dovuto avere.

Amore, morte e tutto il resto

gennaio 28, 2010

La morte è accompagnata da una farfalla, la acherontia atropos.
Ma non siamo in Bleach.
La morte annuncia il proprio arrivo con un preavviso di sette giorni.
Ma non siamo in Ring.
La morte viene a prendersi ciò che le spetta, e si innamora.
Ma non siamo in Meet Joe Black.
La morte è una donna.
Ma non siamo in Sandman.
In uno dei miei momenti di pigrizia ho riletto un libro meraviglioso, Le intermittenze della morte, di José Saramago. Se non lo conoscete, procuratevelo: anche per scoprire come un grandissimo della letteratura scriva tranquillamente, e mica da oggi, narrativa fantastica.
In realtà, quel libro mi serviva: perchè mi sono chiesta se la morte sia sempre  stata femmina. Le poche eccezioni al maschile che conosca, a parte Joe Black, sono un sublime Lied di Schubert che si chiama La morte e la fanciulla, dove la morte invita la terrorizzata ragazza ad un abbraccio dolce e interminabile. Oppure, un dio del regno oscuro, da Ade in giù (e in su e a destra e a sinistra). Oppure, “il” morte di Mondo Disco di Pratchett.
Perchè la morte deve avere un sesso? Perchè ha ragione Saramago, e qualche migliaio di scrittori e artisti prima di lui: perchè la morte e l’amore sono legati.
E poi, appunto, mi serve, no?

Lista semiseria e un consiglio serio

gennaio 27, 2010

Trucchi per non mettersi a scrivere e provare il minimo sindacale dei sensi di colpa:

– Ho finito le sigarette e devo assolutamente scendere dal tabaccaio o non mi concentro

– Passo il prossimo livello del gioco (uno a caso, da Pet Society a un gdr on line) e giuro che poi non mi distraggo più

– Mi serve quella citazione, proprio quella, che sta esattamente in quel libro, il quale è sullo scaffale vicino a…uh? E questo? Come mai non l’ho letto?

– Ho sete e vado in cucina a bere un bicchiere d’acqua. E se mi preparassi una frittatina? A stomaco pieno si scrive meglio.

– Mi serve un’altra citazione ma stavolta consulto Wikipedia. Già che ci siamo, dò un’occhiata al blog. Una sola.

– Stacco il telefono per concentrarmi davvero. Prima però controllo gli sms. Ma guarda. Mi ha scritto. Che carina. Ora la chiamo.

– No, non vado al cinema. Non posso. Sto scrivendo. E poi, volendo, mi guardo il fim su Megavideo. A proposito, ci sarà già su Megavideo?

La lista è proseguibile a piacimento. D’altra parte, come scrive Wu Ming 4 in questo bellissimo saggio, “l’opera dei lettori prosegue quella dell’autore”.
(il saggio è su Tolkien ed è veramente bellissimo)

Puoi?

gennaio 26, 2010

Credo che sia la cosa più eccitante della scrittura. Puoi? Posso. Posso far tornare a posto tutti i tasselli? Posso rendere credibile l’aragosta gigante sulla spiaggia? Posso cacciare il mio personaggio in una situazione senza uscita e poi salvarlo?
L’ultima è l’opzione che mi piace di più, anche se non ho ancora avuto il coraggio di immaginarne una.  Perchè è difficilissima, e a volte la strategia può soffocare il testo.
Mi viene in mente Il gioco di Gerald di King. Protagonista che viene ammanettata al letto dal marito assai bastardo scopo giochino sessuale. Sono soli in casa isolatissima. Lei ha la pessima idea di ribellarsi e di sferrare un calcione al marito: il quale ha un infarto e muore. Le chiavi delle manette non sono raggiungibili. Che fare?
Un bel po’ di cose, come sa chi ha letto il romanzo.
Poi mi viene in mente Intensity di Dean Koontz: anche in quel caso, abbiamo una fanciulla legata a una sedia dal supercattivo, in una casa naturalmente irraggiungibile e per di più circondata da una muta di doberman assassini. Puoi? Può.
In queste ore leggo articoli che osannano a Buried, film che si basa sullo stesso principio: personaggio chiuso in una bara con a disposizione solo un accendino (per altri, una torcia)  e un cellulare. E niente colpi di scena epici alla Kill Bill. Naturalmente andrò a vederlo: anche perchè per riuscire non soltanto a risolvere la situazione, ma a tenere desta la tensione e l’attenzione con un’unica location devi essere davvero bravo.
Unità di tempo, luogo, azione: già sentita, vero?

Vampiri guerrafondai

gennaio 25, 2010

Tomas Emson è un giornalista inglese, è nato a Bangor (nel Galles, però) ed è diventato scrittore dopo la lettura dei romanzi di Stephen King. Zio Stevie colpisce ancora, ma questo non mi sorprende.
Invece, sono un po’ stupita da Skarlet, che ho appena finito di leggere: ad attirarmi era l’idea di un libro sui vampiri “classico”, con prede e predatori come ai vecchi tempi. Bene, il romanzo mantiene la promessa: anzi, è piuttosto divertente l’idea che il contagio iniziale avvenga in una discoteca affollata da giovani modaioli che adorano il vampirismo. E’ anche interessante l’idea che i primissimi non-morti siano stati sfidati e vinti da Alessandro Magno.
Allora, cosa mi turba? Mi turba il sottotesto politico, che c’è ed è pesantissimo: perchè il protagonista, un ex soldato reduce dalla guerra in Iraq, non perde occasione per scagliarsi contro gli ottusi pacifisti contrari all’intervento inglese, dipingendoli come perbenisti, invasati e, in una parola, idioti. Il che non soltanto non aggiunge una virgola alla storia, ma non incide nemmeno sulla rappresentazione del reale che, King alla mano, è uno degli ingredienti del fantastico moderno.
Insomma, brutto libro. Quanto a Emson, magari dovrebbe leggersi The Dome.

Motivi per vendere l’anima al diavolo/reload

gennaio 23, 2010

De bello gnocco

gennaio 22, 2010

No no, fermi tutti: non è un’autodifesa, nè è una risposta a quei lettori, per lo più di sesso maschile, che sono disturbati dalla presenza di un personaggio di bell’aspetto che corrisponderebbe alla definizione di “gnocco” in Esbat e, naturalmente, in altri romanzi (per la comprensione del termine vedasi la seconda proposta del Wikizionario, grazie).
E’ un’altra cosa: vorrebbe, almeno, essere una riflessione sulla bellezza maschile nei romanzi. Nientemeno? Nientemeno. E dal momento che la cosa è impegnativa chiedo l’aiuto di Umberto Eco.
Schiocco di dita.

“Dal Pelide Achille sino alle soglie del romanticismo l´eroe è sempre stato bello, mentre da Tersite sino a più o meno lo stesso periodo brutto, orribile, grottesco o risibile è il malvagio”.

Così scrive il Professore in un articolone su aspetto fisico e romanzo su Repubblica: e ha assolutamente ragione. La virtù morale dell’eroe si riflette in automatico sulle sue sembianze. Possiamo fare qualche variante su colore di capelli e muscolatura, ma Achille è sempre stato splendido da quando il quadrisavolo di Brad Pitt – che lo avrebbe interpretato al cinema – era ancora un granello di energia che passeggiava per la via Lattea o nei Campi Elisi o dovunque si trovino le anime dei nascituri.
Ancor più ovviamente, le eroine sono belle: per Elena va a pezzi un intero mondo, le grazie di Briseide causano pasticci a non finire, per non parlare di quella rovinafamiglie di Glauce che sottrae Giasone a Medea con le note conseguenze. E ancora: quando passa Angelica un paio di eserciti di opposta fazione vanno in tilt, a Beatrice basta salutare per strada Dante per fargli concepire un viaggio nell’oltretomba, e Laura spezza per sempre il cuore di Petrarca. Mi fermo.
Chissà come mai, però, il fatto che i personaggi femminili siano stati e continuino ad essere belli non infastidisce mai nessuno. Anzi, quando si verifica l’eccezione risulta essere così sconvolgente da venir citata in continuazione. L’eccezione è la povera Fosca di Iginio Tarchetti.
Schiocco di dita.

“Dio! Come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di quella donna! Come vi sono beltà di cui è impossibile il dare una idea, così vi sono bruttezze che sfuggono ad ogni manifestazione, e tale era la sua. Né tanto era brutta per diretti di natura, per disarmonia di fattezze, – ché anzi erano in parte regolari, – quanto per una magrezza eccessiva, direi quasi inconcepibile a chi non la vide; per la rovina che il dolore fisico e le malattie avevano prodotto sulla sua persona ancora così giovane. Un lieve sforzo d´immaginazione poteva lasciarne travedere lo scheletro, gli zigomi e le ossa delle tempie avevano una sporgenza spaventosa, l´esiguità del suo collo formava un contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di cui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi mai in altra donna, aumentava ancora la sproporzione. «Tu non sai cosa voglia dire per una donna non essere bella – dice Fosca. Per noi la bellezza è tutto. Non vivendo che per essere amate, e non potendolo essere che alla condizione di essere avvenenti, l´esistenza di una donna brutta diventa la più terribile, la più angosciosa di tutte le torture. Nella vita dell´uomo non vi è miseria paragonabile a questa. L´uomo, ancorché deforme, ancorché non amato, ha mille divagazioni, ha mille compensi; la società gli è indulgente; non potendo mirare all´amore, egli mira all´ambizione; ha uno scopo; ma la donna non può uscire dalla via che le hanno tracciato il suo cuore e la sua vanità, non può tendere ad altro fine che a quello di piacere e di essere amata. Non vi è che la maternità che possa compensarla qualche volta della privazione dell´amore; ma questa ne è il frutto, ed è spesso negata alla bruttezza».”

Eh sì, il professore fa bene a citare Fosca.  Quante altre eroine non dico orribili, ma almeno bruttarelle contate nei romanzi? Io poche, a meno che non siano vecchie e cattive (anche Fosca non è un concentrato di virtù, a ben vedere). Anche nel fantastico: Annie Wilkes di Misery è decisamente brutta, ma è la cattiva e quindi non conta. Carrie si trasforma in adolescente passabile nel ballo fatale. Fanno eccezione, in King, due donne normalissime come Dolores Claiborne e Lisey (La storia di Lisey). E Tammy Lauper, la “Wilkes buona” de Il canyon delle ombre di Clive Barker. Se avete altri nomi, fateli pure, io segno.
Dunque, i personaggi positivi dei romanzi sono sempre belli e i cattivi sono sempre brutti? Eh no. Non sempre.
Schiocco di dita.

“…con la gothic novel la prospettiva si ribalta: non solo inquietante e tremendo appare l´eroe, ma anche l´antieroe, nella sua cupezza, diventa se non affascinante almeno interessante. Torvo e non di questa terra è il ceffo che balena sotto il suo tenebroso cappuccio, dirà Byron del suo Giaurro (…) E di un altro spirito incupito; Ann Radcliffe dirà nel Confessionale dei penitenti neri che la sua figura faceva impressione, era alta, e, benché estremamente magra, le sue membra erano grandi e sgraziate e, come andava a gran passi, avvolto nelle nere vesti del suo ordine, v´era qualcosa di terribile nel suo aspetto, qualcosa di quasi sovrumano. (…) Il Vathek di Beckford era d´aspetto avvenente e maestoso, ma, quando andava in collera, uno dei suoi occhi diventava così terribile che non si poteva sostenerne lo sguardo, e lo sventurato sul quale quell´occhio si posava cadeva riverso e talvolta moriva all´istante”.

Oh, sorpresa! Anche il villain, o il semi-villain, o l’antagonista, diventa affascinante da un certo periodo in poi. Quindi non c’è più, secondo il Professore, una corrispondenza tra beltà d’animo e beltà fisica.
Poi, tutto precipita, e l’eroe diventa brutto. Per dire le cose come stanno, fa decisamente schifo. Arriva, insomma, Victor Hugo: e con lui Quasimodo e Gwynplaine, l´Uomo che Ride.
Schiocco di dita.

“La bellezza universale, che l´antichità diffondeva solennemente su ogni cosa, non era priva di monotonia: la medesima impressione può venire a noia a forza di essere riproposta. Il sublime accostato al sublime contrasta a fatica, e bisogna prendere una pausa da tutto, anche dal bello. Sembra invece che il grottesco sia una sosta, un termine di paragone, un punto di partenza da cui elevarsi verso il bello con una percezione più fresca e più partecipe. La salamandra fa risaltare l´ondina; lo gnomo rende più bello il sisifo. Il bello non ha che un tipo: il brutto ne ha migliaia. Il bello, umanamente parlando, è solamente la forma presa nei suoi tratti più semplici, nella sua più assoluta simmetria, nella sua più intima armonia con la nostra struttura. Ci propone così sempre una completezza d´insieme, ma limitata come noi. Quello che invece definiamo il brutto è un aspetto di un grande insieme che ci sfugge e che non si armonizza con l´uomo ma con la creazione tutta”.

Qui si ferma il Professore e qui arriva la riflessione. Dopo la rivoluzione di Hugo, la bellezza maschile dell’eroe non è più necessaria al romanzo: anzi. Poi, però, arriva Tolkien. Arriva il fantastico. E la bellezza torna ad essere molto importante, nonchè motivata: gli elfi sono fisicamente belli perchè il loro mondo è fatto di bellezza, per esempio. Ma la faccio breve. Di fatto, il fantastico ripropone – mi pare – gli antichi canoni, e dal gotico riprende anche, in molti casi, il fascino dell’antagonista malvagio.
Perchè? Perchè è una narrazione (apparentemente) non realistica? Perchè è una narrazione mitica?
Non ho la risposta, ma continuo a cercarla. Quello che mi incuriosisce è che il ritorno della bellezza maschile viene spesso deprecato. Mentre la bellezza femminile (spesso associata all’ocaggine, e si può essere oche anche impugnando alabarde e comandando la carica dei centouno) non è mai messa in discussione. Professore, che ne pensa?
Schiocco di dita che, al momento, non sortisce effetto.

King e piazza Fontana (e emule)

gennaio 21, 2010

Adesso metto da parte i miei cinquanta euro. Gironzolando, sono capitata su una benemerita segnalazione di Splattergramma su un saggio accademico. Perchè altrove capita che i saggi accademici riguardino (cito):

“…la suburbia americana attraverso la sua rappresentazione nell’orrore letterario, cinematografico e televisivo a partire dal 1948, definendo un sottogenere gotico in grado di osservare – con sguardo penetrante e critico – gli aspetti della società moderna stessa.

L’opera si snoda su diversi temi, dal gotico urbano in Shirley Jackson e Richard Matheson alle streghe borghesi del Conjure Wife di Fritz Leiber (in italiano Ombre del male o Il complotto delle mogli); dalla contemporanea deumanizzazione di alieni, androidi e zombie agli spettri che infestano il sobborgo cittadino, i suoi serial killer e suoi valori familiari secondo il cinema horror, fino agli esempi TV di Buffy e Desperate Housewife.”

Non potrebbe accadere anche da noi? Che so, analizzare certa provincia italiana attraverso il “gotico rurale” di Eraldo Baldini? O la Roma impazzita di Dario Argento? Sì, lo so, magari non serve, magari chi se lo legge, magari è altro quel che bisogna fare.

Invece è proprio questo. Mi sono imbattuta oggi in un vecchio articolo di Wu Ming 1 su Stephen King. Meglio, su Colorado Kid, che so non essere stato molto amato da diversi kinghiani. E l’incipit è questo:

“…Mi disse: ‘Tu torni su quella vecchia storia come un bambino che ha perso un dente torna con la punta della lingua dove è rimasto il buco’. E io pensai tra me, sì, proprio così, l’hai detta giusta. E’ come un buco che non posso smettere di rovistare e tormentare, per il bisogno impellente di arrivare fino in fondo.”
Con questa frase, Stephen King parla al cervello e al cuore di noi post-Piazza Fontana, post-Strategia della tensione, post-Uno Bianca, post-catena di comando a Bolzaneto.”

Continua.

Ps. Esbat è su emule. Condivido, in proposito, tutto quello che ha detto Francesco Dimitri, parola per parola.

United books of America

gennaio 20, 2010

Demonio Pellegrino fa un post utilissimo sui 100 libri più venduti in America nel 2009. Utilissimo perchè, come si vede, c’è non solo una schiacciante presenza di Stephenie Meyer e della sua saga nelle parti alte della classifica, ma perchè, come commenta Demonio, “ci sono altri 16 libri sui vampiri in classifica…in pratica i vampiri contano da soli per il 20% della top 100. Nel 2007, le storie coi vampiri erano il 2% del totale”.
Dunque, molta narrativa young adult. E poi, fra i primi dieci, Dan Brown, il classico “How to” o, per meglio dire, “What men (women) think about”, e un memoir, quello di Sarah Palin.
Comparazione con i cento libri più venduti in Italia nel 2009:  secondo Demoskopea, al primo posto Dan Brown, a seguire parte della trilogia di Millennium, e poi un non-libro (Fabio Volo), un romanzo borghese (Mazzantini), un classico del giallo (Camilleri), un caso editoriale (zia Mame), e poi De Luca e Giordano.  Meyer appare a partire dal 12 posto.
Eurisko fornisce una versione leggermente diversa, dove  i primi dieci sarebbero: i tre volumi di Larsson, a seguire Dan Brown, quindi Eclipse di Meyer, quindi Faletti, quindi ancora New Moon e Breaking Down, quindi ancora Zia Mame.
Riflessione numero uno: c’è parecchio genere nelle due classifiche, prevalentemente per giovani adulti, ma non solo (Larsson, Dan Brown, Faletti, Camilleri).
Riflessione numero due: arrivata al suo culmine, la moda vampira probabilmente comincerà a declinare. Dico probabilmente ma non sono un’esperta: immagino che prima o poi spunterà fuori un nuovo filone, ma penso che, considerando i primi due (Rowling e Meyer) sarà ancora nell’ambito del fantastico. E questa è cosa buona.
La riflessione numero tre potrebbe essere “meglio Fabio Volo o Sarah Palin?”, ma temo che non porti da nessuna parte.

Problemi di segale

gennaio 19, 2010

Come sempre, mi rendo conto che quello che scrivo può essere equivocato: evidentemente sono io che mi spiego male. Riproviamo.
Con l’elenco di ieri intendevo sottolineare un problema. E il problema è che un certo tipo di romanzo fantastico, se vogliamo più complesso, se vogliamo più adulto, se vogliamo deviante rispetto a un canone dato,  tende ed essere espulso dalla distribuzione in libreria.
Ho fatto degli esempi che mi sembravano significativi: Matheson, Ray, Vonnegut, Radcliffe, o un libro come La casa di foglie che è stato, mi pare, apprezzato da non pochi appassionati.
Probabilmente questi libri hanno venduto poco, o molto poco: al punto da non rendere giustificabile la loro permanenza sugli scaffali. Quanto agli appassionati, che si arrangino: non è una novità.
E’ persino probabile che in questo non ci sia semplicemente una miopia di distributori o editori, ma una vera e propria carenza da parte degli autori: è possibile che gli autori, sia pure straordinari e celebrati, non siano stati in grado di parlare con una voce tale da raggiungere un pubblico più vasto.
E’ anche possibile – diciamole tutte, via – che un’assenza di interesse da parte della critica non abbia consentito a quei testi di mantenere una credibilità tale da farli lasciare in catalogo: come invece accade con molti romanzi mainstream, di vendite molto basse ma di autorevolezza riconosciuta.
E’ infine possibile – e questo era il senso del post – che sia vera l’equivalenza fantastico=letture per adolescenti, o young adults. Questo, a dispetto del fatto che la saga di Harry Potter, esplicitamente rivolta a un pubblico molto giovane, sia stata e sia letta anche da un pubblico adulto.
Però Harry Potter ha posto un problema: che, secondo me, è un problema di linguaggio. La saga è splendida, attenzione, costruita con maestria e scritta bene: e poi, ha il grande merito di aver riaperto le porte del fantastico a livello planetario, anche in paesi – come il nostro – dove il fantastico medesimo viene guardato storto.
Il linguaggio, però, è molto semplice. E va benissimo:  non sto facendo l’elogio del libro criptico concepito per tre eletti e mezzo. Ma questo pone, appunto,  un problemino: ovvero, che l’idea generale, fra editori e lettori, sia oggi quella di rendere ogni storia “piana”, senza devianze nel bene o nel male.
Lo dico? Lo dico. King devia, eccome, linguisticamente parlando: scarta e saltella e contravviene alle regole del “piano” da quando ha iniziato fino  a oggi. Ma è un’eccezione, e comincio persino a pensare che sia un’eccezione mal tollerata.
La sensazione che ho è che questa equivalenza tra fantastico eadolescenti porti anche alla necessità di non dirazzare, di rimanere dentro la gabbia della semplicità a tutti i costi. E dal momento che per scrivere semplice bisogna essere tre volte più bravi, il rischio lo vedete da soli.
Il rischio, anche, è il  fraintendimento su cosa significhi letteratura per adolescenti. Perchè  il libro che spalancò le porte al mercato degli young adult non era propriamente un romanzo semplice.
Che lo amiate o no, era Il giovane Holden di Salinger. Ed è tutto tranne che un libro “a norma”.