E’ romanzesco tutto ciò che non è quotidiano, ordinario. E’ romanzesco anche un impiegato ma solo quando torna a casa e la trova occupata da uno sconosciuto. E’ romanzesca l’irruzione del mistero in una vita che ne è del tutto estranea. Certo si può ricavare un buon romanzo anche dalla vita di un impiegato a cui non succede nulla ma non sarà un romanzo romanzesco. E’ del mistero che le teorie apocalittiche hanno privato il romanzo. Adesso però con tutti quei commissari di polizia che indagano si sta esagerando. Si sta ricadendo in un altro luogo comune.
Questa è una frase tratta da una delle, credo, rare interviste rilasciate da Alberto Ongaro. Il quale è uno sceneggiatore di fumetti e uno scrittore. Di lui ho letto, diverso tempo fa, La taverna del doge Loredan, quando è stato ripubblicato dopo una ventina d’anni dalla sua sparizione. L’ho trovato un libro molto particolare, molto bello. Sicuramente fuori dai canoni. Sicuramente non semplice. Ne parla con entusiasmo anche Ovunquelibri.
I motivi per cui è piaciuto a me sono intuibili, credo: su tutti, il doppio piano vero-non vero, sogno-reale. Ad ogni modo, leggetelo.
Però ieri ho seguito il suggerimento di Chiara Palazzolo (ribenvenuta, di nuovo, da queste parti!) e sono andata a leggere le recensioni di aNobii. E per quanto io adori aNobii e cerchi di aggiornare la mia libreria e di partecipare – meno, ultimamente, per ragioni di tempo – alle discussioni, sono rimasta davvero stupita.
Insomma, chi ha detestato il romanzo ha accusato Antonio D’Orrico, il recensore del Corriere della Sera, di aver ingannato i lettori e ha trattato uno dei romanzi più importanti del Novecento italiano – e anche io, come Ovunquelibri, penso che andrebbe fatto leggere a scuola – come se fosse un romanzo usa e getta.
Non è che io creda all’intoccabilità dei classici, sia chiaro. Ci sono classici che non amo affatto (Svevo, Saint-Exupery), però faccio fatica a stroncarli come farei con il nuovo polpettone con vampiro amoroso.
E’ l’eredità scolastica che rende timidi?
Oppure c’è effettivamente qualcosa che non torna nel “tutto uguale a tutto”?
Non so. E sono sincera.
Tag: Alberto Ongaro, aNobii
gennaio 7, 2010 alle 10:14 am |
Visto che sono io la “colpevole” di questo post, ti dico subito la mia.
Il problema, a mio parere, risiede nella confusione tra giudizio di valore e giudizio di gusto.
Il primo richiede delle conoscenze tecniche e pertiene alla critica letteraria, nell’accezione più ampia del termine. Il giudizio di valore fonda il canone e sta quindi alla base della nostra cultura. Della nostra visione della vita. Perfino delle spinte rivoluzionarie tese a cambiarla.
Ovviamente anche molti lettori forti hanno un gusto critico formato sul campo e si pongono quindi in una sfera borderline, a cavallo tra due mondi, quello tecnico e quello dei lettori in senso lato.
Il giudizio di gusto, invece, è quello che qualunque lettore esprime, per orientarsi nelle sue preferenze: questo mi piace, questo non mi piace. A te, per esempio, non piace Svevo. A me non piace Thomas Mann, lo confesso, dopo due pagine chiudo il libro. Ma non per questo ci viene in mente di dire che Svevo e Mann sono due ciofeche! Siamo noi, semmai, che non riusciamo a capirli, a penetrare fino in fondo il loro mondo. Forse per difetto di intelligenza, forse di affinità – chissà.
Questo è il punto, secondo me. Un giudizio di gusto ha a che fare solo col “piacere del testo”, mai e ripeto mai con la valutazione dello stesso.
Su Anobii, come su tanto internet ultimamente, e lo dico con dispiacere, la faciloneria e la superficialità spadroneggiano. E la confusione regna sovrana. Chiunque abbia una bocca, la apre e ci dà fiato, insomma.
Scusa il papiro, ma la pagina anobiana su Ongaro mi ha proprio ferita.
Perché ferisce la bellezza della lettura – forse perfino la Bellezza.
Grazie per questo post, Lara.
gennaio 7, 2010 alle 10:19 am |
Aggiungo: altro problema è che D’Orrico si è sputtanato presentando come Classici romanzi che non lo sono. Negli anni ha creato un pubblico, ne ha indirizzato i gusti, li ha “educati” e quel pubblico, giustamente si è inferocito. Responsabilità dello scrittore, ma anche dei divulgatori.
Per il resto: concordo con Chiara.
gennaio 7, 2010 alle 10:28 am |
Per carità, su D’Orrico non ci piove. Secondo me non è neanche un critico. Piuttosto, un mix tra giornalista e lettore forte che gioca sull’equivoco. Molta critica sui giornali è fatta in questo modo. Ma questo è un altro discorso – non mettiamo il dito in troppe piaghe!
gennaio 7, 2010 alle 10:32 am |
Macchè colpevole! Devo dire che dopo la famosa discussione su critica o no, una riflessione “sul campo” ci voleva. 🙂
Ecco, il giudizio di valore. Il problema è anche come formarselo: perchè le stroncature più impietose a Ongaro, per esempio, vengono su aNobii proprio da lettori “forti”. Almeno, è quel che sembra sbirciando nelle librerie. Forti ma, questa almeno è stata la mia sensazione, abituati a un certo tipo di romanzo. Posso dire “più facile”? Mi rendo conto che rischio, perchè poi sembra che voglio fare l’elogio del testo complesso e ostico.
Ma King (e ci risiamo!) E’ complesso: sia come narrazione sia come linguaggio. Solo che si legge con facilità. Non so se riesco a spiegarmi, ma la facilità di King e la facilità della Meyer non sono assolutamente la stessa cosa.
Aiuto.
gennaio 7, 2010 alle 10:42 am |
Sigh… Saint-Exupery no… sigh…
Non potevi dire Verga e i suoi maledetti Lupini? L’unica cosa che amai di quel romanzo è che pian piano morivano tutti.
gennaio 7, 2010 alle 10:44 am |
Ma come posso non amare Verga se sono un’utilizzatrice compulsiva del discorso indiretto libero? 🙂
gennaio 7, 2010 alle 10:45 am |
“Il problema è anche come formarselo: perchè le stroncature più impietose a Ongaro, per esempio, vengono su aNobii proprio da lettori “forti”.”
Appunto, si tratta di giudizi di gusto. Il guaio è che sono espressi a mo’ di sentenza definitiva, cioè come giudizi di valore. Non ti piace Ongaro? è un problema tuo. Non di Ongaro. Così come problema mio è che non mi piaccia Mann.
Per quanto riguarda la facilità di lettura, tocchi un punto complesso. Che non riguarda la Meyer (una scrittrice popolare di successo, e stop). Ma King – chi è davvero Stephen King? Un autore popolare? L’erede di Dickens? Il più grande scrittore del Novecento, capace di calarsi – e celarsi – nei panni dell’autore comune, qualunque, per comporre potenti romanzi metafisici? King come avatar di un se stesso nascosto?
gennaio 7, 2010 alle 10:56 am |
Potrei parlarne per ore 🙂
Chi è davvero King? La frase che hai detto sul più grande scrittore del Novecento che si cala nei panni dell’autore comune è meravigliosa. E io lo penso, lo penso, lo penso.
Non so se hai letto The Dome, ma io ho avuto la sensazione che in quel romanzo abbia fatto il suo coming out, e abbia fatto emergere, in quello che è sicuramente il suo testo più ambizioso, il “vero” King.
Sul giudizio di gusto espresso come giudizio di valore: verissimo. Spesso inconsapevole, aggiungo: perchè la stroncatura di un grande libro non motivata questo è.
E c’è un altro punto: quello che citavo prima sulla complessità. A volte ho la sensazione che ci stiamo abituando ad una forma standard di lettura…
gennaio 7, 2010 alle 10:56 am |
Chiara: penso tu ci abbia preso in pieno. Quando leggo un libro, non cerco errori, semmai valuto scelte. E’ un’idea errata di “orizzontalità”.
gennaio 7, 2010 alle 11:08 am |
Il deserto della modernità, G.L., in cui tutto è uguale a tutto, come dice Lara. E in cui ci si assuefà a “una forma standard di lettura”.
Datemi un nuovo Rimbaud!
gennaio 7, 2010 alle 11:15 am |
Ugh. Trovarlo è difficile. Posso rimediare con una delle frasi più belle della Lettera del veggente 🙂
“Trovare una lingua; In attesa, domandiamo ai poeti del nuovo, – idee e forme. Tutte le persone abili credono subito di aver soddisfatto a questa domanda. – Non è questo! I primi romantici sono stati veggenti senza rendersene ben conto; la cultura delle loro anime è cominciata dagli incidenti: locomotive abbandonate, ma brucianti, rimaste ancora sulle rotaie”.
gennaio 7, 2010 alle 11:21 am |
Solo il passato ha saputo raccontarci il futuro… il presente sembra non trovare ancora le parole per farlo.
gennaio 7, 2010 alle 11:35 am |
Mi infilo brevemente nella discussione non per entrare nel merito della discussione per mancanza di una sufficiente competenza (appunto xD ) ma solo per osservare che, comunque, la profonda e grave confusione tra giudizio di valore e di gusto è un tratto caratteristico dell’epoca nella quale ci troviamo a vivere e deborda un po’ in tutti i campi dello scibile, come pure l’impossibilità (o meglio il divieto) di poter affrontare un qualunque discorso se non in termini di “secondo me” in cui si pretende che l’opinione di chiunque abbia lo stesso valore e dignità a prescindere da qualsiasi altra considerazione (che diventa l’altra faccia della madaglia della parola pronunciata da certi “opinionisti, appunto, il cui giudizio andrebbe sempre accettato del tutto a-criticamente). Un bel problema, insomma XD
gennaio 7, 2010 alle 11:37 am |
Roberto, l’inflazione degli opinionisti, secondo me, non è del tutto estranea a questo discorso…il che non significa in nessun modo svalutare l’importanza del giudizio del lettore. E’, appunto, il modo di.
Chiara: forse perchè è difficile vederlo, questo benedetto futuro? Ogni tanto ci penso…
gennaio 7, 2010 alle 11:51 am |
Be’, be’, ma io non ho mai preso i commenti su anobii come appunto esternazioni di gusti. Appunto per questo non mi piacciono operazioni che “santificano” i “recensori-lettori” (come quella del libro su anobii): i commenti vanno letti nel loro contesto, come semplici impressioni a caldo (più spesso) che rispondono alla semplice esigenza di comunicare perché questo libri mi è/non mi è piaciuto.
A me divertono. E’ come se parlassi con un gruppo di amici su qualcosa, niente di impegnativo. Certo bisogna esserne coscienti di questo!
gennaio 7, 2010 alle 11:54 am |
Assolutamente d’accordo con Roberto. E’ fenomeno generale. Ma è sul versante culturale – di cui quello letterario è ampia parte – che si gioca la partita più impegnativa. Perché ha a che vedere col futuro (per questo ne parlavamo prima con Lara, no?). Con le generazioni future, intendo dire, e con il loro capitale più importante: l’immaginario.
gennaio 7, 2010 alle 11:55 am |
E infatti Laurie! La mia impressione è la coscienza non ci sia sempre! Per esempio, i commenti a Ongaro, mi sembravano tutt’altro, anche perchè non avevano quello spirito allegro con cui si taglia-e-cuce il bestsellerone vampiroso: anzi. Erano seri.
Ps. Detesto anche io l’operazione di Rizzoli: ho provato ad alzare la manina e a dire “ma, ma…” quando arrivò la famosa lettera per chiedere l’autorizzazione a pubblicare le recensioni, ma non mi si è filato nessuno 🙂
Chiara, l’immaginario…io comincio ad avere una gran paura che, per quanto riguarda l’Italia, l’immaginario dei più giovani sia a sua volta immaginato da molte case editrici come semplificato…e non è così. Spero.
gennaio 7, 2010 alle 1:03 PM |
Sì, mi ricordo, ma la discussione era scoraggiante, quando le ho dato un’occhiata. Ho provato a vedere qualche commento su anobii, quando è uscito il libro, ma chi ha provato a ragionare un attimo sull’operazione (inutile) è stato zittito.
L’unica cosa che ho capito dai primi commenti è che la gente voleva fare il…. a D’Orrico xD A parte quello non ci vedo nulla di diverso.
Trovo deludente che spesso si critichi un libro per argomenti di contorno, questo sì, ma è inevitabile (forse?) essere complamente impermeabile a queste influenze. Se sei un professionista dovresti farlo, ovviamente (o che professionista sei?) ma qui sono commenti scritti di pancia.
Tutto questo per dire che non la vedo così buia xD
(Ma comunque come ho scritto il commento precedente? Per fortuna Lara mi capisce al volo! xD)
gennaio 7, 2010 alle 1:07 PM |
Però però….forse proprio il libraccio su aNobii dovrebbe insegnarci che dobbiamo acquistare, se non una professionalità, un’attenzione a quel che scriviamo. Il che non significa togliere spontaneità: significa crescere, forse? Anche nella pancia?
(è un periodo che vedo buio Lau…sarà per questo!)
gennaio 7, 2010 alle 4:31 PM |
mmm rifletto un po’ e penso a una discussione avuta con una amica proprio stamane e proprio sul modo di leggere. Le dicevo che pian piano inizi a leggere differentemente, acquisti una capacità di annotare e notare dei dettagli, che prima quando leggevi solo per leggere e non per discutere di… non avevi. Porto sempre ad esempio la prima recensione sul mio blog, Terry Brooks, di una superficialità micidiale. Ma non perché adesso io sia bravo e bello, solo perché a poco a poco leggendo per discuterne poni attenzione maggiore alle cose. Altrimenti è dura argomentare e discuterne. Direi che è interessante il pezzo postato dalla lipperini proprio oggi e l’esempio della venere svizzera.