Domanda secca, che si deve anche ad anni di letture di manga, ma è valida anche per la narrativa, specie quella fantastica.
Perchè mai un autore deve indulgere nell’ottanta per cento dei casi a quello che suole chiamarsi “culo del protagonista”? Ovvero a quella benevolenza della sorte che preserverà il medesimo da nemici potentissimi, cataclismi, tranelli, creature mostruose e invincibili, alleanze spietate di intere popolazioni contro di lui?
Non c’è risposta. Vero?
Archive for settembre 2010
Fattore C
settembre 30, 2010(Stand) by me
settembre 29, 2010Per una strana coincidenza (che non significa nulla), io sto rileggendo L’ombra dello Scorpione (King mi dà la carica, quando sto scrivendo: per essere precisa, mi dà ritmo), e Philip Roth pubblica un romanzo su un’epidemia. In Nemesis, che è in uscita negli Stati Uniti, Roth racconta infatti di un’epidemia non fantastica come Captain Trips, ma di quella che effettivamente colpì con ferocia negli anni Trenta e Quaranta. Poliomelite. A questo sembra, i procedimenti dei due scrittori sono però identici: perchè l’epidemia è il pretesto per raccontare come si rapportano fra loro gli uomini e le donne. Gli altruisti, i pavidi, gli innocenti, i furbi, e così via.
E’ un clic, niente di più. Un avvenimento irreversibile o che in un preciso momento sembra tale, e che raschia via le buone maniere per mostrarci come siamo. Non è un espediente narrativo, e neanche una forzatura: è un punto di vista che scoperchia le convenienze, tira fuori i personaggi dai propri piccoli mondi-sogni-miserie e li scaraventa dove – per la lettrice che è in me – dovrebbero stare. In un mondo minacciato. In un mondo di passioni forti.
La paura dei maghi
settembre 28, 2010Dunque Harry Potter è il libro più bandito d’America. Nel senso di temuto e censurato, secondo un bel numero di fondamentalisti d’oltreoceano. Non riesco a credere che la messa all’indice venga dalla natura fantastica dei romanzi. Poi, però, mi sono ricordata di Ratzinger:
“E’ un bene che lei, stimata e cara signora Kuby illumini la gente su Harry Potter, perché si tratta di subdole seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell’anima, prima che possa crescere propriamente”.
A commento, Ray Bradbury. Intervista del 2003 sull’attualità di Fahrenheit 451:
“(è un libro attuale)…In molti modi. E non solo per quelli legati alla politica, alle dittature che ancora nel mondo pensano di poter controllare il pensiero umano, decidendo cosa i cittadini possono leggere e cosa no. Basta guardare quello che è accaduto negli Stati Uniti: qui i libri non li brucia nessuno, la censura non esiste, abbiamo la libertà di scrivere e di leggere tutto quello che vogliamo, ma allo stesso tempo non è esattamente così perché negli ultimi decenni il nostro sistema educativo è stato distrutto, le generazioni più giovani non sanno cosa voglia dire leggere o scrivere. Non volevamo farlo ma stiamo facendo diventare la società americana come quella di Fahrenheit 451, una società nella quale per essere davvero liberi dovremmo imparare a leggere e scrivere di nuovo”.
Oh, mia Dea!
settembre 27, 2010Per tutti quelli che si interrogano sul femminile mitico e letterario, Wu Ming 4 ha scritto un gran bel pezzo che si chiama (e per questo gli sia reso grazie-sai) La dea colpisce ancora. Lo trovate sul blog dei Wu Ming. Ne traggo però un brano, pur sapendo che estrapolare non è il massimo, che riguarda in particolare questo punto:
“Nel terzo saggio de L’eroe imperfetto io affermo che le figure di Baccadoro, Galadriel, Elbereth, Shelob – così come Atena ne l’Aiace, Morgana nel Sir Gawain e Ysobel ne La Santa Rossa – ricoprono la funzione che la Dea svolge in molti racconti mitici e letterari. Lo affermo assumendo il discorso e la terminologia gravesiani, a loro volta basati sulla ricorrenza di alcune costanti poetiche in miti e opere diverse. Le domande che dobbiamo porci sono quindi due:
a) La chiave di lettura prescelta disvela qualcosa che è presente nel testo o impone a esso elementi ulteriori provenienti dall’esterno, come nel caso della corrispondenza Valinor = Paradiso?
b) Cosa intendo per “Dea” nella mia lettura? Ovvero: di che cosa la Dea è l’incarnazione poetica?
Per rispondere alla prima domanda proviamo a buttare via la chiave, a dimenticarci Graves, a lasciare perdere il discorso sulla Dea e tutto il resto. Ciò che rimane è la specifica relazione tra i protagonisti maschili e le figure femminili nel Signore degli Anelli, che è innegabilmente parte integrante del racconto. Ebbene, a prescindere dall’interpretazione che vogliamo dare della sua figura, Galadriel svolge effettivamente una determinata funzione nei confronti degli Hobbit; Elbereth è effettivamente l’unica presenza “divina” che viene invocata in tutto il romanzo; Frodo sconfigge effettivamente Shelob con il dono di Galadriel; Éowyn uccide effettivamente il Capo dei Nazgûl in virtù della sua appartenenza di genere; e così via. Questi aspetti del racconto ci consentono di mappare la presenza e il ruolo del femminile nel romanzo e di constatare che nel Signore degli Anelli la relazione instaurata dai protagonisti maschi con le presenze femminili è determinante per la riuscita dell’impresa eroica. Il legame particolare tra eroismo e componente femminile è quindi un tema presente nel romanzo, non importato dall’esterno. La chiave gravesiana che io ho scelto di utilizzare per isolare questo tema è solo uno strumento, utile a dischiudere un significato che sta “dentro” l’opera, come giustamente pretende Testi, “per scoprirne tutta la ricchezza, l’architettura sottesa e i meccanismi letterari che la sorreggono”.
Detto questo, il fatto che il tema in questione compaia anche altrove nella storia letteraria, non è qualcosa che dipende dalle tesi di Robert Graves. E’ l’assonanza reale che spinge a cercare una chiave di lettura comune (nel suo caso la “Dea”), non viceversa. Graves ha soltanto offerto un modo tra i tanti possibili di leggere quelle coincidenze, non ha inventato le coincidenze stesse. Per rispondere quindi alla seconda domanda, è evidente che ho scelto di avvalermi del discorso gravesiano perché ritengo che dietro il reiterato e multiforme archetipo della Dea si celi la rappresentazione dell’elemento femminile e che il tema poetico a essa connesso – la necessità del suo apporto all’impresa eroica – abbia una portata universale, cioè rimandi a uno degli aspetti essenziali dell’esperienza umana: la complessa e contraddittoria relazione tra i generi. Del resto, la grande poesia e letteratura – direbbe Graves, ma anche Tolkien – fa questo: esprime verità parziali sulle cose, cioè sulla nostra vita. E’ ciò che rende possibile a un mito coniato nella notte dei tempi, a un poema medievale, o a un romanzo del secolo scorso, di parlarci ancora. E certo lo fanno usando il linguaggio che è loro proprio: quello poetico, composto di “rimandi”, “immagini”, “corrispondenze”, “figure”…”
Horror manifesto
settembre 24, 2010“Quello che faccio è come una frattura in uno specchio. Partendo da Carrie in poi, quello che vediamo è l’osservazione della vita comune della classe media americana così come viene vissuta nel momento in cui è stato scritto il libro. Nella vita di ognuno si arriva a un punto in cui bisogna fare i conti con qualcosa di inspiegabile, che sia il dottore che ti diagnostica il cancro o uno scherzo telefonico. Quindi, che si tratti di fantasmi, di vampiri o di criminali di guerra nazisti che vivono nell’isolato accanto, stiamo sempre parlando della stessa cosa, l’intrusione dello straordinario nella vita ordinaria e di come si affronta. Quello che viene rivelato del nostro carattere e del nostro modo di interagire con gli altri e con la società in cui viviamo mi interessa molto più dei mostri, dei vampiri, degli spiriti malvagi e dei fantasmi”.
(Stephen King, Intervista a The Paris Review)
E’ così. Completamente così.
A
settembre 23, 2010Voglio Generazione A di Douglas Coupland. Sì, Coupland è quello di Generazione X. Ma è tutto tranne che uno scrittore generazionale. Come si fa ad aver scritto Fidanzata in coma e a non essere considerato anche un autore fantastico? E Generazione A, da quanto capisco, è sulla stessa strada: le api spariscono, poi tornano, poi pungono alcuni personaggi (fra cui un giocatore compulsivo di World of Warcraft che dovrei far conoscere a Lavinia), i quali vengono isolati in quarantena. E iniziano a raccontare storie, come nel Decameron.
Riprendersi le storie. E’ quello, credo, di cui abbiamo un profondo bisogno.
Dopo le trincee
settembre 22, 2010Adoro Antonia Byatt, che è scrittrice molto complessa, molto ambiziosa ma non elitaria. E adoro quello che dichiara a Repubblica questa mattina a proposito della letteratura per ragazzi che si è sviluppata nell’Inghilterra post vittoriana, al centro del suo ultimo romanzo, Il libro dei bambini: “una delle forme più alte di letteratura”, la definisce.
E dice un’altra cosa, che mi tocca anche per motivi personali di scrittrice (parte di Sopdet è ambientata nella Prima Guerra Mondiale) e lettrice (Wu Ming 4 ha descritto molto bene quale sia stata l’influenza della medesima in Tolkien):
“La generazione che aveva scelto di essere bambina e libera è stata massacrata. E sa, a riprova di questo, che cosa ho scoperto e ho messo nel libro? Che i ragazzi inglesi, in mezzo a quel massacro, chiamavano le trincee con il nome dei personaggi o dei luoghi delle fiabe: la trincea di Peter Pan, il Boschetto di Uncino, la Casetta di Wendy”.
Ho sempre pensato che quella guerra abbia segnato in modo profondissimo il mondo occidentale. Ne ha cambiato i sogni, ne ha delimitato i confini. E, forse, ha fatto sì che gli scrittori fantastici si mettessero in cammino in modo più compatto di quanto era avvenuto in precedenza. Forse.
Incipit
settembre 21, 2010Cominciare è anche una questione di ritmo. A mio parere, fra gli incipit più difficili ci sono quelli che in apparenza sembrano scivolare via come l’acqua: ovvero, quelli che ti portano immediatamente, senza tanti complimenti, nel cuore dell’azione. Addirittura fornendoti qualche lampo: presagi sottili e nascosti che si possono cogliere a fondo solo quando la storia è andata avanti. Uno degli incipit che amo particolarmente, in questo senso, è quello che Richard Matheson ha immaginato per Duel (lo sapevate, vero, che il film di Spielberg viene da questo racconto?)
“Alle 11 e 32 del mattino Mann superò il camion.
Era diretto a ovest, lungo la strada che portava a San Francisco. Era giovedì, e per essere aprile faceva un caldo eccessivo. Si era tolto la giacca, allentato la cravatta e aveva allargato il colletto della camicia, arrotolandosi le maniche. Il sole gli picchiava sull’avambraccio sinistro e su parte delle gambe. Ne sentiva il calore attraverso i pantaloni scuri mentre guidava lungo la statale a due corsie. Negli ultimi venti minuti non aveva notato nemmeno un veicolo, in una direzione o nell’altra”.
Differenze
settembre 20, 2010Ho letto Eternity, di Rebecca Maizel. Sì, è un romanzo sui vampiri e, sì, la protagonista ha sedici anni. Qual è il problema? E’ che è il romanzo è alquanto diverso dagli altri. Primo, la protagonista è spietata: quasi una Lestat in gonna, con un pizzico di Louis per la disperata nostalgia dell’umanità che, in un certo qual senso, ne causerà la rovina. Secondo: qui si uccide. Uomini, donne, bambini, teneri amanti, non sono altro che prede. Terzo: pur senza fare spoiler, la conclusione non è quella che ci si attende.
Ora, la domanda è molto semplice: come si fa a percepire la diversità di una storia in mezzo a mille altre? In questo momento? O anche: cosa sarebbe accaduto se questo libro fosse uscito, mettiamo, quattro anni fa?
Non ho risposte.
Perchè, perchè, perchè?
settembre 17, 2010Ho trovato on line un’intervista a Charlaine Harris, l’autrice della serie True blood. Mi sembrano interessantissimi questi punti:
Cos’è per lei la narrativa dell’orrore?
«Questa è una definizione difficile da dare. In America il mio stile di scrittura non è classificato come horror mi inseriscono nel nuovo genere dell’urban fantasy. La letteratura horror deve catturare il lettore, deve spaventarlo e metterlo allo stesso tempo in uno stato di suspense. Io posso anche permettermi di farlo ridere».
Cosa differenzia il suo mondo fantastico da quello di altre autrici specializzate in vampiri come Stephenie Meyer?
«Secondo me i libri di Stephenie Meyer sono pensati per lettori giovani. Io ho scritto per gli adulti. Anche se conosco persone che si sono appassionate ad entrambe le serie».
Nella sua serie i vampiri sono psicologicamente complessi, non sono solo superuomini bellocci. Danno l’impressione di star compiendo un percorso di riumanizzazione. È così?
«Nel mio mondo, i vampiri mantengono ancora tutte le loro caratteristiche e il loro carattere umano, tuttavia come indurito e in molti sensi reso più crudele. In un certo senso semplicemente sono stati resi più “pratici” dalla lunghezza della loro, diciamo così, vita post mortem. Io non cerco di non descrivere mai alcuno dei miei personaggi come fosse completamente buono o completamente cattivo».
Perché i vampiri piacciono così tanto ai lettori giovani?
«Piacciono ai lettori di tutte le età. Io ho dei fan trigenerazionali: la nonna, la madre, la figlia… E adoro questo fatto. Però è vero che quando sono venuta in tour in Europa ho avuto l’impressione che i lettori fossero molto più giovani».
L’ultima frase, soprattutto. Non dico niente di nuovo, ovviamente: come mai negli altri paesi il fantastico e soprattutto l’horror sono inter-generazionali? Come mai sono svincolati da ogni filone? Come mai….vabbè, basta così.