La nascita e la morte sono legate: nella rappresentazione della Dea così come nelle leggende. Ci sono nascite e ci sono morti, in Sopdet, e aleggiano anche alcune leggende che al parto sono legate.
Curiosamente – o neanche troppo – molte si somigliano, anche se provengono da paesi fra loro lontanissimi. In Giappone, per esempio, gli spettri delle donne che muoiono durante il parto si chiamano Ubume. Appartengono al mondo degli Yuurei (parolina che i lettori di Esbat hanno incontrato), le anime dei morti che non riescono a lasciare il mondo dei vivi perché la loro fine è stata improvvisa o violenta, o perché qualcosa le trattiene. E’ il caso delle Ubume, che si aggirano accanto alle loro case perdute comprando dolci per i figli ancora vivi, traendo dalle pieghe delle bianche vesti monete che si trasformano in foglie secche.
In Sardegna questi spettri si chiamano Panas, e sono condannate a tornare sulla terra per sette anni, nelle ore notturne, per lavare i propri panni insanguinati in un fiume o torrente (anche qui, ricordate il tabù ebraico verso il sangue femminile?). Lavando, cantano una straziante ninna-nanna. Non possono parlare, non possono interrompere il proprio lavoro. Unico modo per sottrarre una giovane madre a questo destino era seppellirla con un ago infilato, affinché il suo spirito potesse occupare il tempo a cucire il corredo per il neonato, invece di essere costretta al fiume.
Per alcuni, sarebbero donne morte di parto anche le Banshee, gli spiriti femminili della mitologia irlandese, di bianco o di verde vestite e con gli occhi arrossati dal pianto, che si aggirano accanto a laghi e fiumi e sono presagio di morte per chi le incontra.
Kipling racconta dei fantasmi indiani: quelli delle puerpere si chiamano Churel, vagano per i viottoli al crepuscolo o si nascondono nei campi. Emettono un richiamo seduttivo, come le yuki-onna giapponesi. Rispondere significa morire “in questo mondo e nel prossimo”. I loro piedi sono girati al contrario e il loro desiderio è imprigionare giovani uomini finché non diventano vecchi (anche qui: non vi suggeriscono nulla i post precedenti?).
In Malesia questi spettri si chiamano Langsuir e sono vampiri, hanno capelli lunghissimi (come sempre: i capelli lunghi e sciolti sono simbolo di seduzione) e una fessura alla base del collo con la quale succhiano sangue ai bambini. Alle donne morte di parto, per impedire la trasformazione, si infilavano aghi (rieccoli!) nei palmi delle mani. E pezzi di vetro fra le labbra. Silenzio, e operosità.
Anche i Civatateo aztechi erano vampiri, e in precedenza erano donne morte durante il travaglio: avevano volti e mani bianche e vesti decorate con le ossa dei viaggiatori che uccidevano. Servivano Tezcatlipoca e Tlazolteotl.
Le divinità della luna.
Tag: Sopdet
dicembre 30, 2010 alle 12:53 PM |
Quando si nasce si comincia già a morire: è questo quanto dicono alcune tradizioni per mostrare come vita e morte siano legate tra loro, parte dello stesso insieme.
Si muore un poco alla volta, ogni giorno, una realtà mostrata nel personaggio di Raistlin nella saga di Dragonlance.