E’ uscita una bella recensione di Sopdet su Terre di confine (per ora il link non si apre, ma sono fiduciosa).
Sono ugualmente fiduciosa, ma in perenne lite con la prima persona di Lavinia. Per chi, come me, è abituata a giocare con i punti di vista, la “gabbia” della prima sembra, a volte, soffocante. Eppure, se un romanzo nasce così, si vede che deve essere scritto così. Insisto.
Archive for aprile 2011
Corpo a corpo, persona a persona
aprile 29, 2011Atto di forza
aprile 28, 2011Sulla generazione TQ ( di cui avevo parlato in questo articolo) interviene sul Corriere della Sera un critico, Filippo La Porta. E scrive questo:
“Venerdì si incontrano a Roma, nella sede della Laterza, 150 scrittori, critici, operatori culturali, etc. nati nei 70 – e autodefinitisi generazione TQ (Tarantino Quentin) – per verificare problematicamente la possibilità di una identità comune e per capire se e quanto si può incidere sulla realtà. Ben vengano occasioni di confronto e discussione, e in particolare l’ invito a una riflessione sulla «mutazione» di questi decenni. Restano però alcune perplessità. La scelta della sigla TQ, che pure si richiama agli scrittori pulp degli Anni 90, non equivale a un autoimpoverimento dell’ immaginario? Una delle residue virtù del nostro Paese è di presentare ancora, nonostante l’ omologazione planetaria, una compresenza a volte straniante di tempi storici diversi. Riteniamo davvero che Los Angeles sia più moderna e più interessante di Bari? Né la mitografia (e narratologia) di Pulp fiction ha alcuna tangibile influenza su alcuni degli stessi estensori della lettera promotrice dell’ evento, come Desiati, Lagioia e Vasta. Nell’ Italia delle corporazioni e delle famiglie era così urgente esibire questo pathos di una appartenenza collettiva forte? Dal «recinto» non si esce con piattaforme di gruppo ma uno alla volta, come dalla caverna platonica. Penso anche all’ enfasi sul conflitto: se non viene percepito mica può costituire un obbligo! Ne parli soltanto chi lo sente (altrimenti l’ antagonismo diventa un travestimento, il Kitsch dell’ Eroismo…). Occorre infine rassegnarsi: la letteratura non «incide» mai sulla realtà, o almeno nei tempi e modi che ci prefiguriamo. Può solo rivendicare un «impegno» nei confronti della verità. Sa che la realtà è mutevole ma non modificabile. Pensare il contrario significa elaborare strategie, costruire alleanze, fare politica (dunque anzitutto modificare – in peggio – noi stessi!). La verità delle opere letterarie è inutile, impolitica, e soprattutto radicata in una esperienza sempre molto personale e gelosa del mondo. Seguirò con interesse i «lavori» dell’ incontro, però mi ostino a cercare quella verità nei libri degli scrittori-promotori e non nelle loro volenterose iniziative o in identità collettive rassicuranti e perlopiù fittizie.”
Non concordo, per il poco che può valere. La letteratura incide sulla realtà, eccome: non sempre, non immediatamente e non è necessario che tutti gli scrittori condividano la stessa visione. Eppure, io non credo che la verità della letteratura sia inutile e impolitica. Saramago lo è, per esempio? Lo stesso King lo è? Ellroy lo è? Antonia Byatt lo è? Non sono scrittori “militanti”, come penso intenda La Porta. Eppure la comprensione della realtà attraverso la sua trasformazione letteraria è qualcosa che molti lettori sentono come debito nei loro confronti.
Di cosa altro parliamo, se non della realtà, anche quando raccontiamo mondi che in apparenza non esistono?
La parola a Philip K. Dick: “La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce”.
Non ti ho già visto da qualche parte?
aprile 27, 2011Leggo su Repubblica, testuale:
“Il colosso editoriale Penguin lancia “Book Country”: il paese virtuale dei libri dove gli aspiranti Manzoni di tutto il mondo possono imbucare la loro opera omnia e scaricare consigli e correzioni di addetti ai lavori. Non tutti, ovviamente, verranno pubblicati. Ma tra breve l´aspirante scrittore potrà utilizzare il sito per farlo a sue spese. La svolta web del colosso è stata svelata dal New York Times che ha raccolto la confessione di Molly Barton, la direttrice del progetto: «Quando lavoravo come editor mi sentivo così colpevole nel non riuscire ad aiutare tutti gli aspiranti». ”
Sto visitando il sito e fin qui mi sembra ben fatto, al di là della facile ironia del giornalista. E mi sembra molto, molto interessante l’attenzione ai generi che viene data nella home page.
Detto questo, non vi ricorda qualcosa? Da vecchia fan writer, a me sì. Eccome.
Appunti, appunti, appunti
aprile 26, 2011Capitolo 15 de “Il passaggio”, ovvero il punto del romanzone cui sono arrivata. Tecnica più che rispettabile. Grande capacità di suscitare empatia verso i personaggi. Omaggio più che scoperto a “L’ombra dello Scorpione”, fin nei dettagli (la nera sensitiva dalla parte del Bene, il contagiato che trascura di rivelare un sintomo, il progettone scientifico che distrugge il mondo, la debolezza-forza di uno dei personaggi). Ma dal momento che nessuno scrive davvero qualcosa di completamente nuovo, l’omaggio va benissimo. Mi chiedo solo come Justin Cronin riuscirà a gestire il dopo-Apocalisse. Per King è stato il momento più difficile, quello in cui ha lasciato il romanzo per otto mesi, fino a comprendere che doveva risolvere la situazione con il viaggio dei protagonisti nelle terre dell’Uomo Nero. Vedremo.
Ps. Per chi volesse, c’è una bellissima intervista che mi ha fatto Alessandra su Diariodipensieripersi.
E c’è una splendida recensione di Valentinamente. Splendida, davvero!
Sulla scrittura, sulle generazioni
aprile 25, 2011Succede questo. La settimana scorsa, mi è stato chiesto un intervento su Il Messaggero, in merito alla discussione intrapresa da alcuni scrittori, autori del manifesto della generazione TQ di cui avevo parlato nel blog.
Il mio intervento è uscito sabato. Lo pubblico qui, in versione leggermente più lunga.
” In tutte le storie fantastiche c’è sempre un padre da superare: ma nel momento in cui l’eroe riesce a farlo, il romanzo finisce. La mia generazione non è neanche a metà della trama, perché non abbiamo un padre con cui confrontarci. Non abbiamo genitori, non abbiamo eredità letterarie. Non abbiamo passato, e siamo nati senza l’idea del futuro. Quando i Sex Pistols cantavano “No future” molti di noi avevano appena imparato a camminare. Nove anni dopo, avevamo appena messo l’apparecchio per i denti e con l’antologia “Mirrorshades” il cyberpunk ci diceva che anche in letteratura un futuro non era immaginabile, e che la fantascienza poteva al massimo raccontare un presente appena più complesso di quello che ci circondava.
In poche parole, siamo stati obbligati al presente, e a un presente così breve che non potevamo che occuparci di noi stessi. E gli scrittori miei coetanei lo hanno fatto: hanno raccontato se stessi così a lungo che i trenta-quarantenni sembrano, nei romanzi, somigliarsi tutti. Figli di divorziati, fragili, egoisti, disperatamente in cerca di una felicità che si ottiene solo con un matrimonio, magari un lavoro non precario e, su tutto, la riconciliazione con il padre o con la madre.
Invece, i padri e le madri vanno, se non uccisi, abbandonati: sia pure con tutto l’amore e il rispetto che meritano. Dobbiamo imparare, e in questo gli autori del manifesto dei TQ hanno perfettamente ragione, a essere coetanei. A pensarci come membri di una collettività, e non come preziosissimi singoli. Molti di noi lo fanno, peraltro: non credo che gli autori trenta-quarantenni siano soltanto pallidi intellettuali che sospirano sulle allitterazioni e scindono sdegnosamente la qualità linguistica dalla narrazione del reale. Fanno bene Antonelli, Desiati, Grazioli, Lagioia e Vasta a sottolineare l’aristocrazia con cui si giudica “triviale” un libro che si nutre di una cultura popolare o è esso stesso popolare. E questo riguarda da vicino chi, come me, scrive horror e urban fantasy. Eppure, anche i romanzi fantastici – più sdegnati di altri in quanto, per riprendere una definizione su cui si è polemizzato non poco, volgari “monnezzoni” – raccontano il reale. Non potrebbero essere tali, se non raccogliessero quel che davvero esiste e ci circonda. Cosa altro ha fatto e fa, Stephen King, se non raccontare l’America della middle-class? Cosa tentano di fare, alcuni di noi, se non narrare il nostro paese, con la speranza che cambi?
Così, come in un romanzo fantastico, siamo davanti a un bivio. Da una parte la lusinga, dall’altra la fatica. Il rischio, peraltro sottolineato nel manifesto, è quello della spettacolarizzazione della narrativa, con lo scrittore equiparato a qualunque altro divo dello spettacolo, dove a contare sono soprattutto l’ospitata da Fazio e il bagno di folla a Mantova. Pericoloso, e non solo perché la popolarità, in una società avida come la nostra, svanisce in pochi mesi: ma perché a contare devono essere, sempre, i testi, e non coloro che li raccontano. L’altra, faticosa possibilità è Internet: meno clamorosa, più impegnativa, perché essere sul web significa dialogo continuo con i lettori, e confronto anche durissimo. Ma, per rispondere a quella che per me è la domanda più importante del manifesto (come si fa a incidere sulla realtà se non si risveglia l’interesse dei media e dunque del pubblico?) è l’unico modo possibile. Fin qui, gli editori credono alla rete solo se porta copie vendute in poche settimane. Ma i tempi di Internet sono altri: paradossalmente, sono lenti. Eppure scrivere in rete, lavorare per la rete, confrontarsi con la rete è necessario. Perché per creare davvero un modello nuovo bisogna sporcarsi le mani e per incidere sulla realtà bisogna capire la realtà, non immaginarsene una che calzi a pennello con l’idea dei bambini perduti e incompresi che ci siamo cuciti addosso”.
Pausa
aprile 21, 2011Per qualche giorno, prendo una pausa di scrittura e riflessione. Intanto, Buona Pasqua.
Sempre lavori in corso
aprile 20, 2011Sto ragionando su questo manifesto. Sì, anche se sono una scrittrice “di genere”, perché il genere non è il recinto in fondo a sinistra dello zoo.
Sto ragionando anche su come conciliare una prima e una terza persona nello stesso romanzo. Fin qui, le due si mostrano i denti, ma non dispero di venirne a capo.
Sto ragionando su “Il passaggio” di Justin Cronin che ho cominciato a leggere.
Prometto che non vi affliggerò con troppi ragionamenti, però, nel futuro prossimo.
E, su Sopdet…
aprile 19, 2011…una splendida, splendida, splendida recensione di Luciana Busiello.
Un veloce paradosso pre-pasquale
aprile 19, 2011Secondo i dati Eurostat, gli italiani sono diciannovesimi nella classifica europea di chi legge almeno un libro l’anno. Pare che dietro di noi ci sia solo il Portogallo. In compenso, l’Italia è quarta per quanto riguarda il numero di scrittori e artisti.
Qualcosa non torna.
Lavori in corso
aprile 18, 2011Ci sono due donne e un uomo che mi hanno fatto un bellissimo regalo.
Una è Alessandra, che io conosco soprattutto come Emanuela. E che su Diario di pensieri persi ha recensito Sopdet: così.
L’altra è Laura Costantini, una scrittrice bravissima peraltro. Che inizia la settimana così.
E poi, appena scoperto, c’è Stefano Donno, che ha scritto questo.
Un gran lunedì. E meno male, perchè sto rismontando Lavinia per la decima volta, con il terrore che non ne verrò mai a capo. E’ proprio vero quello che dicono gli scrittori con la maiuscola. Non è affatto più facile scrivere dopo il primo romanzo. Anzi, diventa sempre più complicato.