Non aprite la porta se non vi piacciono le porte

Sono, in genere, piuttosto titubante nel discutere su cosa sia l’horror e cosa no. Però questa mattina ho letto un post su un blog letterario, Sul Romanzo, che mi ha dato parecchio da pensare. Nel post si parla dell’horror “sociale”, ovvero di come il genere può raccontare il mondo che ci circonda. E sul piano generale, naturalmente, concordo. Purchè avvenga con un altro obiettivo:  perchè narrando  il punto d’impatto fra due piani di realtà è alla reazione emotiva di chi legge che la storia si rivolge.  Pensate solo alla – famosissima – frase contenuta nell’intervista di Stephen King a Keith Blackmore:

“Uno dei miei compiti in quanto scrittore è quello di assalire le vostre emozioni e forse di aggredirvi – e per far questo uso tutti gli strumenti disponibili. Forse sarà per spaventarvi a morte, ma potrebbe anche essere per prendervi in modo più subdolo, per farvi sentire tristi. Riuscire a farvi sentire tristi è positivo. Riuscire a farvi ridere è positivo. Farvi urlare, ridere, piangere, non mi importa, ma coinvolgervi, farvi fare qualcosa di più che mettere il libro nello scaffale dicendo: “Ne ho finito un altro”, senza nessuna reazione. Questa è una cosa che odio. Voglio che sappiate che io c’ero”. ”

Il buon horror, credo, funziona così: e per aggredire il lettore usa il mondo conosciuto. King narra la middle-class americana, con aggiunta di mostri. A chi legge non arriva l’intenzione primaria, ma la storia (una splendida storia) nella sua interezza. Questo per dire che difficilmente, immagino, chi scrive horror decida, a freddo, di inserirvi una visione sociale: parlando pro domo mea, non ho pensato di farlo in Sopdet, anche se  l’ho fatto. Ho usato un fondale storico e sociale, e ho cercato di farlo nel modo migliore: ma il mio obiettivo primario era sempre la ricerca dell’emozione di chi legge.
Fin qui, non ho scritto nulla che non sapeste già. Però c’è un punto in cui il post in questione mi ha fatto trasalire. Questo:

“L’orrore grottesco sublima, deformandole, le paure che tutti noi ci portiamo dentro. È questo il caso de L’Esorcista, romanzo shock scritto da William Peter Blatty nel 1928. Nel romanzo, una mamma vede sottrarsi la bellezza, la freschezza, l’anima e, quindi, la vita della figlia Regan nientedimeno che dal Diavolo. Certo il paragone potrebbe essere forte, ma è la stessa paura che tanti genitori di oggi provano pensando alla possibile rovina che potrebbero subire i figli incappando in alcol e droga o, magari, in percorsi sbagliati”.

Ehm, no. Non funziona così. E’ vero che Blatty (e molti autori di genere) fanno leva sul terrore della perdita. Le pagine di Pet Sematary che rimangono più impresse (almeno a me) non sono quelle dove il bambino torna dalla morte, ma il momento in cui il padre, prima che tutto avvenga, ha un immotivato presagio, e rabbrividisce di orrore come se nuotasse in una zona d’acqua fredda. Ma è sul sentimento, non sullo scenario “morale”, che la scrittura agisce. Raccontare il mondo non è una faccenda didascalica: quando lo diventa, significa che non si è raccontato bene.
Per parlare chiaro: dal mio punto di vista, la scrittura è sociale, sempre.  L’horror riesce meglio nell’intento non perchè piazza gli zombie nel supermercato (cattivo capitalismo, cattivo!): ma perchè parla della e alla paura della morte. Ovvero, dell’insensatezza dei nostri comportamenti sociali. Senza questa emozione, diventerebbe  vuoto, banale, noioso.
Per dire che, a volte, preferisco un attacco al genere a un abbraccio soffocante.

Ps. Per la cronaca, L’esorcista è del 1970.

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32 Risposte to “Non aprite la porta se non vi piacciono le porte”

  1. Valberici Says:

    Una volta, dopo essere stato “seduto al bar” per più di un’ ora, ho detto che un buon libro deve essere come il “sabato del villaggio”. Non è la domenica che ci interessa, è un giorno dove tutto accade e c’è solo noia, è il sabato che genera emozioni e riflessioni. 🙂

  2. Lara Manni Says:

    Saggia definizione Val. Poi, magari, un giorno arriveremo a fare a meno dei generi “stretti” (che è quel che desidero, in realtà).

  3. Valberici Says:

    Io ormai faccio a meno dei generi, scelgo i libri che sono piaciuti ai miei amici oppure leggo un paio di pagine prima di acquistare quelli che mi attraggono negli scaffali delle librerie.
    So che è un “sistema” assai imperfetto, che a volte si basa su un titolo o una copertina, ma è quello che mi garantisce i migliori risultati. C’è stato un tempo in cui mi dicevo: ora mi compro un bel libro horror, oppure fantasy, oppure un noir, però mi sono accorto che era un “sistema” che limitava molto la possibilità di imbattermi in nuovi autori e bei libri. 🙂

  4. Lara Manni Says:

    Anche perchè ci sono libri “non definibili” in un genere o nell’altro, e in numero crescente.
    (se ti basi sui titoli, sono fottuta: so di scegliere titoli molto poco attraenti)

  5. Valberici Says:

    Tranquilla, ci sono un bel po’ di amici a cui piacciono i tuoi libri 😉

  6. Melmoth Says:

    Forse posso aggiungere questo: l’horror fa entrare nel mondo narrativo il male ‘altro’, quello che non appartiene ai padri violenti, agli spacciatori di eroina, ai politici. E’ un tipo di male che ha una sua scintillanza antica, medievale, a cui noi moderni non siamo più abituati. E’ il male tribale e ultraterreno de Il Signore delle Mosche, la testa di maiale che ci fissa con occhi ciechi e coperti di mosche, il male assoluto. King è molto bravo a inserire il male assoluto (Pennywise in It) nel contesto di un male relativo (il padre ‘abusive’ di Beaverly).Ma alla fine, quello che lo rende horror, è proprio lo choc della penetrazione del male universale in un mondo di sentimenti laici, quasi sempre privo di assoluti di qualsiasi genere. Vedere quello che scrive Burke nel ‘700 sul Sublime, non a caso il primo saggio teorico sull’uso della paura nelle arti.

  7. Lara Manni Says:

    Postilla. Con King – e con il buon horror – entrano ANCHE i padri violenti e gli spacciatori di eroina insieme al Male tribale. Nella galleria degli orrori di King i padri violenti sono al primo posto, direi, forse ancor più di Pennywise. E’ questa la sua grandezza.

  8. sonounuovo Says:

    Ciao Lara. anche in questo caso credo che avesse ragione king quando scriveva “Una storia è bella quando racconta la verità sulla condizione umana”.
    Questo significa che siamo costretti a scrivere trattati sociologici ogni volta che prendiamo in mano una penna? ad un iperrealismo? assolutamente no.
    Prendiamo dottor Jekil & mr Hyde. E’ un libro stupendo, ma perché? Beh, in parte perché è scritto benissimo. In parte perché tocca delle corde che sono universali, tipiche della condizione umane. Io vorrei aspirare al bene, ma perché faccio il male? c’è un altro me, dentro di me?
    Personalmente vedo tutto il genere fantastico, horror incluso, come il protagonista di “opinioni di un clown” vede la comicità: “osservo il reale, elevo alla n, poi estraggo la radice con un numero diverso di n”.

  9. Valberici Says:

    Comunque io credo che “tutto” possa essere narrato in modo “spaventoso” (in tutti i sensi 😀 )

    Guarda cosa ho appena trovato in rete:

  10. Lara Manni Says:

    Concordo sulla formula di sonounuovo. In più, credo ci sia da tenere presente che l’horror può toccare, come diceva Melmoth, corde decisamente profonde e segrete della condizione umana medesima.
    Val: sei un genio. 😀

  11. Claudia Verardi Says:

    Carissima – e gentilissima – Lara Manni, ovvio che L’Esorcista (il romanzo) è del 1970. Ho fatto un gravissimo errore, pensi, ho osato prendere una svista e fare un pasticcio con la data di nascita dell’autore. Devo pagare per i miei errori, quello che è giusto è giusto. Magari una gogna qui sul web non sarebbe male. Per quanto riguarda la condivisione su quello che scrivo e come lo scrivo, be’, certamente è questione di gusti. Non si può pretendere di piacere a tutti, o che tutti condividano sempre quanto viene scritto. Oggi Internet dà la possibilità a chiunque di esprimersi ed è giusto che lo faccia anche lei.
    Saluti,
    Claudia Verardi

  12. Claudia Verardi Says:

    e un’altra cosa: se, qualche volta, quando si racconta il mondo, si cade nell’intralcio (secondo il suo parere, non il mio) didascalico non vuol dire affatto che si sia raccontato male. Non è affatto così. Questo è quello che lei pensa, ma lei non rappresenta l’Ipse dixit.
    sempre saluti
    sempre Claudia Verardi

  13. Lara Manni Says:

    Claudia, a me non sembra di averla messa alla gogna. Ho chiosato un suo post, aggiungendo il mio parere. Detesto le gogne, ma ritengo giusto riflettere su un genere cui non da oggi pongo attenzione, da lettrice e da scrittrice. Mi permetta, quell'”è giusto che lo faccia anche lei” suona sgradevole e immeritato. Dissentiamo su un’interpretazione: per lei Blatty intendeva porre l’accento su un pericolo sociale. A me sembra riduttivo vederla così.
    Quanto alla data: ho segnalato, non l’ho accusata. Non mi sembra di averla insultata, non mi sembra di aver giudicato la persona, bensì di aver esposto critiche al testo. E, mi creda, sono una persona decisamente pacifica e non amo le liti, nè le piazzate in rete.

  14. Claudia Verardi Says:

    Guardi, nemmeno io amo le piazzate, ma poichè entrambe scriviamo, sappiamo benissimo come il leggere tra le righe sia determinante per dare una direzione o un’altra a quello che diciamo. Lei ha commentato in modo secco con frasi del tipo “Non funziona così.” Non funziona così secondo lei, non secondo me, per esempio. Per cui, glielo dico per consiglio, quando vuole dissentire o non essere d’accordo su qualcosa (cosa tra l’altro sacrosanta, per carità), lo faccia con un tono meno arrogante. Non è matematica, Santo Iddio! Qui ognuno può dire la sua, a patto che lo faccia con semplicità e non ponendosi sul piedistallo del “non funziona così”. Per quanto mi riguarda, la cosa si chiude qui.
    Claudia Verardi

  15. Lara Manni Says:

    Claudia, il “secondo me” è evidente, visto che sto parlando sul mio blog. Mi dispiace che lei abbia colto un’arroganza che non intendeva esserci. Quanto al “non funziona così”: ribadisco che a mio modo di vedere l’horror sociale di cui lei parla non c’è, è una sua visione non supportata dai fatti. Blatty è un teologo: quello che gli interessa non è sapere se droga e sesso e whisky corromperanno una giovane vita. Gli interessa il problema del male e della redenzione (come si vede nel suo ultimo romanzo, peraltro). E il male che usa l’innocenza – una bambina – è la questione centrale dell’Esorcista. Stavolta, mi permetta, metto da parte il “secondo me”. Questo per dire che, forse, sovrapporre la propria visione del mondo alle opere altrui non porta tanto lontano.

  16. Marco85 Says:

    Quando si scrive pubblicamente, con la pretesa di fare la storia dell’horror su un blog di letteratura, ci si espone alle critiche se si scrivono gigantesche stronzate come quelle dell’autrice, che non conosce l’horror e ha buttato giù il compitino.
    Siccome Lara Manni è troppo gentile e signora per farlo, provvedo io.
    L’intero articolo è infarcito di banalità scopiazzate, non fa differenza tra un autore e l’altro, accosta Lincoln Child a Clive Barker come se non ci fossero enormi distinguo fra i due, dimentica i padri fondatori del genere, spunta fuori sentenze da signora mia che culminano nella Stronzata Numero Uno, quella su Regan, che sarebbe da piegarsi in due dalle risate se fosse una battuta. Un consiglio: legga “Danse macabre” di Stephen King, possibilmente lo sottolinei e lo impari a memoria. E la prossima volta scriva di quello che sa, non di buoni sentimenti applicati a un genere che non conosce.
    O comunque, ci risparmi di venire a fare l’isterica qui, con un’arroganza inqualificabile. Specie per una mezza calza.

  17. G.L. Says:

    Ho letto l’articolo. A dire la verità questa mattina ho provato a leggerlo ma dopo un po’ mi sono stufato e l’ho mollato. Capita. Poi però leggo qui sopra il commento dell’autrice del pezzo che mi pare piuttosto inviperita, così torno indietro e leggo tutto.

    Ho trovato l’articolo inutilmente prolisso e pretenzioso. Prolisso perchè cita qui e là come in una tesina di terza media senza mai mostrare un vero spessore. Pretenzioso perchè non fa riferimento a chi certe opere, certo immaginario l’ha fatto. Tipo il già citato King, oppure Blatty – uno che di Male se ne intende.

    Mia opinione, ovvio, ma mi pare che il pezzo sia l’esempio di ciò che in Rete conta sempre di più: un colpo al cerchio e uno alla botte, cercare sempre e comunque di NON dare una VERA opinione, ma solo spizzichi e bocconi che van bene per una pizza con gli amici.

    Consiglio all’autrice Claudia Verardi: so sulla mia pelle che a provare a dare un “frame” al marasma pornografico (etimologicamente parlando) della Rete si va incontro a pestaggi e gogne, però mettersi a strillare alla gogna quando ci si trova di fronte ad un semplice pensiero (come il post odierno di Lara) è francamente imbarazzante.

    Un po’ di coraggio, sù.

  18. Valberici Says:

    Trovo interessante che la segnalazione di una data errata “irriti” in tale misura l’autrice dell’ articolo. Secondo me sulla rete si sta diffondendo un “modello” di critica e di sberleffo, un modello fatto di pignoleria e certosina ricerca dell’ errore.
    Così quando una persona come Lara, del tutto estranea a tale modello, fa una correzione ecco che si scatena il risentimento e la sensazione di essere oggetto della “moderna” critica internettiana.

  19. Lara Manni Says:

    Figurarsi se non capisco: mi sono sempre trovata a disagio nel modello a cui fa riferimento GL (e Valberici). In questo caso, però, mi sono limitata a segnalare un errore e a sottolineare una diversa posizione sul genere. Non mi sembra che questo giustifichi la piazzata.

  20. Betty Says:

    Volendo essere proprio pignoli, non è che sia un errore proprio da poco scrivere che L’esorcista è del 1928.

  21. Vincent Says:

    Io quoto Lara, perchè come ha citato King, un maestro del genere, ci sono anche altri scrittori del genere che come intento avevano quello di suscitare emozioni, per esempio cito Benson che diceva: “Questi racconti sono stati scritti con la speranza di far provare qualche piacevole brivido al lettore, cosicchè chi avesse deciso di passare una mezz’ora leggendo prima di andare a letto, nella quiete della notte e della propria casa, si preoccupi di dare ogni tanto un’occhiata agli angoli e a tutti i punti bui della stanza in cui è seduto per accertarsi che nulla di strano si nasconda nell’ombra. Perchè questo è il dichiarato obiettivo dei racconti di fantasmi, e di tutte quelle storie che narrano come le forze invisibili tornino ogni tanto a manifestarsi in modo sconvolgente. L’autore, perci augura di cuore ai propri lettori qualche attimo di paura.” Lui parlava di fantasmi nella sue storie. Penso che infatti hanno ragione di un libro noi ricordiamo la storia magari recentemente, ma con gli anni ciò che ci rimane sono i ricordi delle emozioni che ci ha trasmesso, tipo io non dimenticherò mai “Ognissanti” di Wharton o “La metà oscura” di King, perchè sono riusciti a trasmettermi delle grandi emozioni. Per quanto riguarda l’esorcista non lo definirei mai nench’io un horror sociale perchè lo è quello che parla di un male di un dato periodo che riguarda una comunità, o di periodi diversi ma che si accomunano. L’esorcista è un episodio che riguarda una famiglia e una bambina in particolare, cosa che non può neanche essere paragonata a un vizio o un male “sociale” tra virgolette perchè quando si diventa alcolisti poi ciò che si lede è la propria vita o la società se nel momento in cui un individuo si droga o ubriaca e prende in mano l’auto. La possessione è qualcosa che esiste e non si può paragonare o prendere come metafora di altri mali materiali e diversi, in quel romanzo si parla di altro in modo devo dire anche molto aggressivo perchè fa vedere una realtà probabile che vive una famiglia isolata prendendo delle figure come simboli, per incutere non proprio timore ma far riflettere su altri temi in questo casi teologici.

  22. Non so se sia colpa della sincronicità, | Sproloqui e Deliri Says:

    […] controllo, intanto leggevo questo post,  mi spostavo su questo blog e concludevo il mio surfing  qui. Chissà se dal grande “rumore di fondo” che caratterizza la narrazione del web, e per […]

  23. Elvezio Sciallis Says:

    Scrivere e spedire al di fuori dei confini di casa una narrazione, sia che essa spunti in Rete o su carta, credo significhi anche cercare il confronto con gli altri o perlomeno, Claudia, non evitarlo quando questo arriva. Ed essere preparati a perlomeno cercare di vincerlo, questo confronto.
    Arroccarsi all’istante sul detestabilissimo (per me, ovvio) de gustibus pone un problema quasi insormontabile nella discussione, fa il paio con una delle classiche situazioni di coppia in cui non ci si viene incontro ma ci si aspetta che l’altro ci accetti così come siamo, pregi e difetti, perché sì, perché siamo fatti così, uffa, prendere o lasciare. Lascio, grazie.

    Se per te (posso darti del tu?) è tutta questione di gusti è ovvio che nessun confronto ti possa interessare o far cambiare idea, ed è un peccato. Perché è proprio dal confronto che (esperienza personale) i tuoi stessi gustipossono vacillare, cambiare o uscire rafforzati e motivati. Credo che sia importante capire perché una cosa ci piace o meno, no? O vuoi accettare i tuoi gusti in modo supino, rischiando così di farteli sempre più spesso dettare dall’alto?

    Trovo che il tuo pezzo sia carente, con falle gravi, ma che se sei davvero interessata a quel non-genere che è l’horror tu, con il dovuto lavoro e fatica (e guarda che è una sbatta allucinante, ti avviso, non so ancora adesso se ne valga la pena) possa fare dei grandi passi avanti.
    I problemi, ti dicevo, sono tanti.
    Quello particolare del pezzo, oltre all’interpretazione de L’Esorcista, è di voler trattare una tematica così ampia in così poche parole. Serve un saggio, anche lungo, e i saggi in più devono (poi magari mi dici che son gusti anche qui, non so) avere note e bibliografia corpose. Non per mostrare quanto ne sai, ma per permettere i dovuti agganci, la profondità, le opportune spiegazioni e i riferimenti del caso.
    Altrimenti il tutto entra a far parte del generico rumore di fondo della Rete, assordante per i più, che confonde anche quel che di buono vi si può recampare.

    Si sale quindi di qualche gradino e ci troviamo di fronte a un problema di metodo e di letture. Ami la parola “indiscusso”, la usi due volte nel primo paragrafo ma invece tutto è discutibili e il bello sta proprio nel prepararti al massimo per difendere, discutendo, le tue idee. Perché se mi dici “son gusti” fai vincere automaticamente quella cattivona spietata di Lara che idee e dimostrazioni ne ha portate avanti, eh…
    Se invece non sai difendere il tuo testo, allora, come in un esperimento scientifico, è facile che il tuo testo non regga la prova di laboratorio e non abbia molta validità. Amen, eh, devi metterlo in conto, lo mettiamo in conto tutti.

    Mi citi un solo regista, Craven, e mi dici che è di indiscusso spessore quando invece Rete e Carta sono, ti giuro, da decine di anni piene di discussioni sulla validità e spessore di Craven, io avrei puntato su cavalli più sicuri.

    Devo poi per forza chiederti se leggi con costanza testi in inglese o se ti limiti alle edizioni in italiano, perché allora sorge un grave problema di definizione d’ambito, se leggi solo materiale tradotto o in italiano(narrativa e saggistica) puoi al massimo affermare che ti riferisci all’horror occidentale conosciuto in Italia: dai primi anni Novanta in pratica importiamo pochissimi nomi spesso di qualità dubbia e ristampiamo i soliti noti, spesso in edizioni vergognose.

    Basta fare un giro (convention, siti, riviste cartacee, volumi di studi, premi ufficiali, anobii e altri social simili) per renderti conto che una grandissima fetta della scena horror di un certo rilievo qui non arriva e si tratta di falle enormi, che ti impediscono in pratica di avere una concreta percezione di quel che avviene in materia.

    Se questo è un problema minore (ma credo fino a un certo punto) per i romanzieri, puoi capire che diventa un ostacolo drammatico per chi vuol scrivere saggistica o critica.

    In particolare perché se qualche romanzo ancora arriva, non arriva nessun testo di saggistica e ti assicuro che ogni anno ne escono a decine ben più importanti e rappresentativi di Danse Macabre. Ma, non arrivandoci, continuiamo a citare i pochi che abbiamo, datati e sorpassati a destra e manca. Quindi il romanziere può ignorare, per sua fortuna, ma il saggista no, il critico no. Se ignorano sono fottuti all’istante e non è bella esperienza, credo, no?

    E in più sorge altro problema (uff). Se ti vuoi occupare di aspetti sociologici allora credo che tu debba avere una infarinatura in materia. Non pretendo che tu vada in profondo, ma una cinquantina di testi base li devi avere, direi una base più l’ala specialistica.
    Idem se volessi farmi una qualche cosa di psicologia o etnoastronomocazziologia. Altrimenti se non lo fai e lavori solo sul testo horror magari riesci a confrontarti più o meno bene con Lara, non so, ma il primo sociologo che arriva ti legge la vita.
    Ma ti dico così non perché si debba vincere qualche lotta eh, bensì perché la lotta la si deve convincere.
    Io ti avevo avvisato che non è facile, se lo vuoi fare in modo serio, poi però qualche soddisfazione arriva, sotto forma di rispetto, di Lara e altri. Se invece non vuoi farlo in modo serio, per te è “solo un hobby” “solo uno pensiero in Rete” beh allora cazzarola ho sprecato un sacco di parole, affari miei, stupido io.

    E infatti mi citi alcuni scrittori che non hanno nessun (o quasi) tipo di peso all’interno del genere, quali per esempio la moglie di King (mamma mia…), a fronte di una lista di assenti che grida vendetta e che è parecchio lunga.
    Mi dici che “bisogna avere una visione delle cose molto chiara senza cullarsi in alcuna illusione” ma nel tuo scritto non c’è quasi nulla di chiaro, mischi dati/riflessioni che paiono autobiografici con la pretesa di poter impostare qualche tipo di discorso generale “sull’horror sociale nella narrativa di genere” ma non puoi parlarne se la narrativa di genere non la conosci almeno in modo medio (“a fondo” non ci proviamo nemmeno, è compito di una vita ed è come la psicoanalisi di Freud, senza termine) e guarda che ti dico tutto questo (credo che Lara e l’altro perfido satanasso possano testimoniare) non perché mi piaccia giocare a “chi trita per primo chi sfoderando due palle horror d’acciaio” bensì perché da un lato adoro “l’horror”, dall’altro lato mi piace il confronto costruttivo e dal terzo lato (?) desidero tantissimo che aumenti il numero di, come chiamarli, operatori del settore seri e preparati, che di aria fritta ne leggiamo a tonnellate e non ne possiamo più.

    Sull’Esorcista… Da un lato, sai, ogni narrazione si arricchisce di tutte le interpretazioni che di essa vengono date e se queste interpretazioni (a loro volta narrazioni) sono profonde e forti attecchiscono sul corpo della storia principale è poi molto difficile che se ne vadano via, ne faranno parte per sempre o fino a quando non arriverà una nuova interpretazione che convinca di più. E sì, come con un romanzo, è questione di convincimento, di riuscire a portare a condividere la tua visione il più alto numero di persone possibili. Non è facile, serve quello che ti ho detto prima e anche roba in più (fortuna, capacità di comunicazione, strumenti di ragionamento logico, di deduzione, fantasia, tantissime cose) e tu per ora non mi hai convinto e temo che non siano in molti a essere convinti. Sei in compagnia, è un testo che ispira, io per molto tempo (ancora adesso eh) ho pensato che ci fosse un evidente simbolismo “insorgenza del demonio nella piccola = menarca, con conseguenti psicodrammi, sbalzi di umore (alla faccia!), contrasti con la madre e le autorità (religione molto evidente, stato più nascosto, spunta per esempio nel film dentro il film), derisione della scienza e delle certezze (l’astronauta)” ma… Ma mi sono letto e riletto il romanzo, ho provato a segnarmi punti per dimostrarlo, non sono riuscito a imbastire nulla di davvero convincente e non l’ho scritto. Altre volte, in altri casi, credo di esserci riuscito, capita.

    Oh, spero di essere stato urbano e gentile perché ci tengo e mi piacerebbe rinforzare l’esercito dei critici (wink wink) contro l’orda degli scrittori. Altrimenti questi, lo hai visto, si mettono insieme e ci sbranano!

  24. Elvezio Sciallis Says:

    (…madò che bibbia pedante, scusate tutti, è colpa delle radiazioni. Ah no, non posso nemmeno più usare questa scusa, ma che scazzo…)

  25. Lara Manni Says:

    Macchè pedante! Elvezio, la faccenda del simbolismo ne L’esorcista mi interessa non poco, peraltro. Perchè volendo, c’è anche il sogno di Chris sulla morte che potrebbe essere letto nella chiave del rapporto madre (che invecchia)- figlia in preadolescenza…se un giorno tiri fuori gli appunti, io alzo la mano per leggerli.

  26. G.L. Says:

    Ohé! Chi sarebbe l’altro satanasso?

  27. Elvezio Sciallis Says:

    Di solito ne spunta la coda quando lo nomini, fai te… 🙂

  28. Fabrizio Valenza Says:

    Ringrazio il signor Sciallis per il bellissimo (e, fortuna nostra, lunghissimo) commento! Ce ne fossero di pezzi così, nei blog!

  29. Elvezio Sciallis Says:

    No vabbè “Signore” mi sprofonda nella vecchiaia più totale 🙂 Sono ancora un bel ragazzino (anche se quaranta primavere cominciano a stuprarmi l’animo eh).

    Oh, beh, grazie!

  30. Fabrizio Valenza Says:

    Quaranta? Beh, allora siamo quasi coetanei (trentanove il sottoscritto, e in effetti mi deprimerebbe sentirmi chiamare – come avviene – Signore) 😀
    E Malpertuis messo tra i preferiti.

  31. Annalisa Says:

    Ringrazio (oltre che la signora del blog) anch’io il giovane signore Elvezio Sciallis. Per una che sa ben poco del tema trattato (a parte alcuni golosi romanzi di King), è stata una bella lettura. Alle otto del mattino, prima di andare a lavorare, sono rimasta lì a leggere fino all’ultima riga. Grazzzie 🙂

  32. Lara Manni Says:

    La signora del blog si inchina tre volte. 🙂 E concorda: interventi come quelli di Elvezio sono preziosi.

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