Ho visto Insidious. Ho già detto su Facebook che ero prevenuta in positivo dopo la recensione di Paolo D’Agostini. Ovvero:
“Il cinema di paura ha le sue leggi e i suoi rituali. Si dirà che questo vale per qualsiasi “genere” codificato. Vale un po’ di più per questo. Ripetitività, prevedibilità e riconoscibilità di situazioni, snodi, personaggi sono requisiti particolarmente cari allo spettatore appassionato. E proprio per questo, forse, Insidious di James Wan potrebbe risultare non soddisfacente ai fan del genere e contemporaneamente più accettabile a chi fan non è. Non mancano elementi chiave e ingredienti base: a partire dalla maledizione che incombe su una casa. Però se ne accompagnano a loro altri anomali rispetto alla norma, al canone di genere. In particolare un fattore umano che di solito manca. Sia una forte componente di commozione, sia una pista quasi umoristica. Un valore aggiunto per lo spettatore comune, probabilmente una distrazione dallo zoccolo duro agli occhi del pubblico più specializzato ed esigente”.
Se prendiamo le parole del critico cinematografico e le riportiamo alla narrativa, non fanno una piega. E’ vero, la ripetitività del canone è quello che ci si aspetta dal romanzo di genere. Per fortuna, non sempre. Colgo l’occasione per postare una piccola anteprima di Wu Ming 1 sul nuovo romanzo di Stephen King. Soprattutto, è importante il passo dove il traduttore dice che 22/11/63 “stimola continuamente riflessioni sul tempo, sul corso della storia, su linearità e cicli, sul ricominciare da capo, sul nostro agire ed essere agiti, sul nostro essere soggetti costituiti che si pensano costituenti… e viceversa, in una scorribanda schizofrenogena, tra teoria delle stringhe e allegorie profonde.”
Non so quanto questo libro rispetti il canone: di fatto, King non l’ha mai rispettato fino in fondo, per nostra fortuna.
Ps. Insidious è un buon film, con un finale, a mio avviso, troppo frettoloso. E non così distante dal canone come si vorrebbe: anzi, è fin troppo dentro il canone stesso.