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Critici e gremlin

gennaio 13, 2012

Ancora sulla critica e su alcune coincidenze di pensiero a proposito di separazione fra literary fiction e genere. Ho recuperato finalmente la recensione di Franco Cordelli a 1Q84 di Murakami Haruki, apparsa su La lettura del Corriere della Sera. Mi interessa soprattutto la conclusione. Ovvero:

“la quantità delle simmetrie, la moltitudine delle coincidenze, l’abnormità delle sorprese, la tendenza dei personaggi a non commentare mai ad alta voce e a non rispondere o a fare domande senza domanda — tutto questo, dalla puntata 19 della prima parte—, trova il suo iniziale inveramento nella scena in cui dalla bocca di una bambina escono cinque gremlin (il termine è mio). Be’, da questo momento la sospensione dell’incredulità finisce, e dall’ammirazione e dall’interesse si passa a un senso di saturazione e infine all’odio per uno degli scrittori più furbi dei nostri anni”.

In realtà, quella è la scena dove l’intreccio reale-fantastico si fa più forte.  Ed è quella scena, come si vede, a spezzare “la sospensione dell’incredulità” in Cordelli. Vi chiedete perché? Anche io. Per me (ed è un personalissimo parere di lettrice, non una teoria della narrativa) la sospensione dell’incredulità si spezza quando nel libro entrano in gioco non gli elementi “irrealistici”, e neanche il gioco linguistico in sè. Ma quando dietro quel gioco, o comunque  dal testo, mi arriva la freddezza dell’autore, il disinteresse per quello che egli medesimo sta raccontando.  La mancanza di empatia?
Comunque, su Repubblica c’è un altro lungo articolo di altro critico, Alberto Asor Rosa. Il quale interviene sulla distinzione fra letteratura e narrazione, e fra narrazione e racconto. Però da un altro punto di vista:

” Quand´è che la narrazione, – anzi, “affabulazione” pura e semplice, estesa a dismisura, e perciò straniata e inconsapevole, – diviene racconto?
Diviene racconto quando non si limita a tentare di “riprodurre” la vita, ma cerca di coglierne il senso. Non la vita, ma il senso della vita è (è sempre stato e, secondo me, dovrebbe sempre essere) l´oggetto della grande narrazione. Trovo intollerabili i giovani scrittori che si sforzano di riprodurre il bla-bla dell´esistenza. Per sollevarsi dalla massa, – quella sì davvero eterogenea, – della produzione editoriale, bisogna cimentarsi con qualcosa che sta dietro alla vita o, meglio, è dentro alla vita, ma al tempo stesso è la parte nascosta, apparentemente invisibile della vita, che il racconto “buono” fa emergere”.

Ora, nei titoli che Asor Rosa cita come buon racconto, però, neppure uno va nella direzione che ci si potrebbe aspettare. Sono romanzi mainstream (l’elenco è lunghissimo) che, per quello che posso capire avendone letta solo una piccola parte, non possiedono la stessa apertura di Murakami.
Dunque, siamo daccapo: quella distinzione fra letteratura e narrativa di genere è più forte che mai, fra addetti ai lavori e lettori.  E il lavoro da fare è immane.