Dunque, Mondadori chiarisce di cosa parliamo quando parliamo di self-publishing. Lo fa Edoardo Brugnatelli in un‘intervista rilasciata ad Antonio Prudenzano. Cosa dice Brugnatelli?
“Premesso che esistono tanti modelli di self-publishing, negativi e positivi, come ad esempio quelli – molto interessanti – promossi negli Usa da Penguin e HarperCollins, la nostra idea di self-publishing è che tutti, se lo vogliono, possono diventare editori di se stessi. Il tutto all’interno di una community, un’apposita piattaforma online, dove ci si legge e giudica a vicenda con criteri ‘social’…”
L’esperimento di Penguin è Book Country. Più di un self-publisher, siamo una community, si dice orgogliosamente nel sito. Si pubblica genere: science fiction, fantasy, romance, mystery, thriller. Si postano i propri libri, si discute, si danno feedback (sì, somiglia ai siti di fan fiction, che hanno anche – per chi non lo sapesse, una sezione originali). Serve a farsi notare da Penguin per eventuali pubblicazioni con il loro marchio? Neanche un po’. Cosa ci guadagna Penguin? Bella domanda. Fidelizzazione? Reputazione in rete? Altro? Lo vedremo dopo.
Intanto, Brugnatelli smentisce l’ipotesi di pubblicazioni a pagamento:
“Mondadori non venderà mai il proprio marchio a pagamento, il progetto che stiamo studiando non andrà in questa direzione. Anche perché se una casa editrice pubblicasse testi a proprio marchio senza verificarne i contenuti, rischierebbe seriamente a livello legale. Sarebbe una follia, non vogliamo certo andare in galera…”. Sempre a proposito dell’aspetto economico, l’editor aggiunge che in questa fase “si stanno facendo delle valutazioni, ma non lanciamo la piattaforma per sfruttare la sete di autorialità, né per guadagnare con i soldi e le illusioni dei tanti aspiranti scrittori”
Bene, e allora perché? Non per fare scouting. Anzi, dice ancora Brugnatelli, il modello è il lavoro di Dave Eggers. Ma 826 Valencia è un’altra faccenda ancora. Dave Eggers la fonda nel 2002 come organizzazione non a scopo di lucro per aiutare bambini e insegnanti nella scrittura. Mondadori si lancia nel self-publishing senza scopo di lucro? Difficile da credere. Bene, e allora perché?
Il perché va ricercato ancora una volta in Book Country. Non so se Mondadori seguirà l’esempio, ma nella community è possibile usufruire di questi servizi:
Pacchetti per la pubblicazione: dai 99 ai 549 dollari per trasformare il file in eBook.
E poi, come promesso qui, consulenza di esperti. Che suppongo nient’affatto gratuita.
Tutto legittimo, per carità. Ma se si andasse davvero in quella direzione, resta difficile immaginare che non si punti sulla sete di autorialità. Il disclaimer, per favore, il disclaimer!
Tag: Book Country
febbraio 27, 2012 alle 10:44 am |
Messo così mi pare terrificante: una community simile a quelle che già esistono (gratuite). Quale può essere la differenza se non il marchio e la speranza di essere notati da uno scout?
Il bello è che che lo dice tra le righe che non sono nemmeno interessati a valutare i contenuti, ma si sa che la speranza è l’ultima a morire.
Che esistano in rete pacchetti di pubblicazione a quei prezzi è ancora più terrificante, va bene che il grafico va pagato, ma con un po’ di impegno si può imparare a impaginarsi il proprio e book da soli.
febbraio 27, 2012 alle 10:56 am |
Se, e sottolineo se, Mondadori seguirà la strada di Penguin, mi sembra evidente che farà leva proprio sul desiderio autoriale di essere notati da un editor mondadoriano,e su utenti che non hanno la capacità o una frequentazione della rete tale da provvedere da soli.
febbraio 27, 2012 alle 11:07 am |
Mah, se continua così il tempo dedicato alla scrittura vera e propria sarà circa un 25%…il restante 75% sarà impiegato nel disperato tentativo di rendersi visibile e/o pubblicare. 😉
febbraio 27, 2012 alle 11:14 am |
Credo che sia già così. Intendiamoci: non vedo nulla di perverso nella trasformazione della scrittura in “gioco sociale”. Ancora una volta, però, bisognerebbe avere molto chiari i termini in cui si opera. E questo non avviene.
febbraio 27, 2012 alle 11:55 am |
Vi facciamo il cortile così giocate lì dentro e non ci rompete con i vostri manoscritti. E ci pazziamo pure i distributori di merendine, per arrotondare 😀
febbraio 27, 2012 alle 11:58 am |
Genio! 😀 Riceverai molto presto un’offerta dall’ufficio marketing 😀
febbraio 27, 2012 alle 12:00 PM |
Il problema è purtroppo che tanta gente “con smanie di autorialità” ci cascherà in pieno, come già casca nell’EAP ecc. A volte mi chiedo come dev’essere vivere immersi in un’illusione così grande e come dev’essere – quando c’è – il risveglio.
febbraio 27, 2012 alle 12:45 PM |
Qui c’è un bel post di Scrittori in Causa sul self-publishing:
http://scrittorincausa.blogspot.com/2012/02/autopubblicazione-e-utopia.html
Perchè, in tutto questo, si rischia di sminuire il valore dell’autopubblicazione. In un certo senso, molti di noi (quelli che hanno postato i loro scritti prima in rete) hanno iniziato da self-published. Anche se non si chiamava così, allora 🙂
febbraio 27, 2012 alle 2:52 PM |
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
febbraio 27, 2012 alle 4:41 PM |
Help me, help me…cantavano i Dik Dik tanti anni fa in una loro canzone, ma la situazione odierna la rende sempre attuale…
febbraio 28, 2012 alle 10:06 am |
Salve a tutti.
Vedo che le cose continuano a essere poco chiare e forse è utile ripetere alcune idee. Senza pretesa di esaustività, naturalmente. Prima di tutto: non ho nessuna intenzione di sfruttare in alcun modo la spinta di autorialità di chi scrive.
Questo significa diverse cose. Significa che non voglio che in alcun modo chicchessia si possa fare l’idea che il self-publishing mondadoriano sia l’anticamera alla pubblicazione col marchio Mondadori. Significa anche che non intendo vendere pacchetti di servizi (a quei prezzi poi!). Aggiungo che il self-publishing non significa “vi facciamo il cortile così giocate lì dentro e non ci rompete con i vostri manoscritti. E ci piazziamo pure i distributori di merendine, per arrotondare”. Mi pare che chi vuole mandare manoscritti alle case editrici non sarà certo impedito da questa cosa, no? Le merendine, poi, portatevele da casa. Costano meno e sapete cosa c’è dentro.
Altra “accusa”: non siamo interessati a valutare i contenuti. E’ vero e falso. E’ falso in quanto siamo interessati a che in qualche modo i contenuti possano essere valutati e criticati e (sperabilmente) migliorati. Ma è altrettanto vero che questo lavoro di filtro dovrebbe essere svolto dalla community. Perché è così che funziona il self-publishing che ho in mente. Non esiste più il gate-keeper (editor) che dice chi sta dentro e chi sta fuori, esiste un reticolo di persone che si scambiano valutazioni, giudizi e consigli. Ma tutto questo è assolutamente necessario se ci si muove sul Web, non ha senso una modalità di comunicazione dall’alto al basso, è molto più appropriata (e spero fruttuosa) una ragnatela diffusa di soggetti che interagiscono all’interno di uno spazio (ehm, ehm, so benissimo che suona parecchio sinistro: un incrocio tra il linguaggio della politica e gli ultimi cascami di una generazione dedita alle gioie lisergiche, ma al momento non mi viene meglio di così).
Dice bene Valberici, quando indica quello che è uno dei punti più complessi e dibattuti del self-publishing: quella che si chiama Discoverability (come la traduciamo in italiano? scopribilità?). E’ abbastanza facile arrivare a pubblicare un proprio e-book e metterlo in vendita sui bookstores virtuali. Poi comincia il lavoro più complesso, che consiste nel fare in modo che la propria creazione non sia una bottiglia lanciata nell’oceano e che abbia qualche chance di essere conosciuta e letta. E questo è un aspetto interessante, nel quale penso che la creatività individuale e collettiva alle prese con le infinite risorse del web abbia un suo ruolo.
Insomma alla fine ha ragione Lara quando parla di gioco sociale: ai miei occhi questo può e deve essere. Un modo giocoso e al tempo stesso serissimo, un modo partecipato che aiuti/spinga ciascuno a sperimentare e magari a trovare un suo percorso creativo. In questo mi richiamo molto a Eggers che non casualmente cita “Il Canto di Me stesso” di Walt Whitman. Mi piace molto l’idea di Eggers che dentro ciascuno di noi c’è almeno una grande storia e che sta a noi tirarla fuori e scriverla. Ma – attenzione – la storia in sé non basta, dobbiamo pretendere il meglio da noi e dobbiamo cercare di trovare il modo di scriverla BENE.
Cito Eggers: “Now if you can write down, why not write it well? Putting that extra bit of effort into it, carving here and chipping there, planning a bit before and editing a pit after, might very well ensure that your story is not only read dutifully by a few (or many) relatives, but is enjoyed heartily by anyone who might find it.”
Una piattaforma di self-publishing può diventare il luogo in cui ci si mette alla prova, in cui si impara ad affinare le proprie capacità di scrittura, in cui si crea un qualcosa di compiuto e – sperabilmente – bello.
Il domandone finale: già, ma cosa ci guadagna la Mondadori?
Risposta: non lo so. Ma so cosa ci perderebbe la Mondadori a non partecipare a questa nuova dimensione dell’Universo Libro: ci perderebbe la possibilità di avere un futuro.
Spero di non essere stato né vago, né sgradevole (spesso sono saccente, cosa tipica di tutti i permalosi come me). E sono ben contento di tutte le critiche perché mi piacerebbe che la “Cosa” che stiamo mettendo in piedi riuscisse ad essere un punto di riferimento serio, trasparente, efficace e magari anche divertente per tutti quelli come voi che ancora nutrono quell’insana inestinguibile passione per la parola scritta.
Augh
febbraio 28, 2012 alle 10:19 am |
Anzitutto, ringrazio di cuore Edoardo Brugnatelli per la disponibilità a intervenire nella discussione. Non è cosa frequente e dunque, davvero, benvenuto.
Io ho un po’ paura, se me lo permette, della fine del gate-keeper. E’ vero, il web funziona in un altro modo rispetto alla carta. Ma di quel gate-keeper io, da autrice, sento il bisogno. Perché, purtroppo, sarebbe cosa meravigliosa se la scrittura fosse davvero gioco sociale. Ma non è così. Nella stragrande maggioranza dei casi si scrive finalizzati alla pubblicazione. E nella pubblicazione si ha bisogno come il pane di un editor. E di un editore. Per me.
E allora chiedo ancora, approfittando della sua pazienza: io capisco che Mondadori debba, come major, posizionarsi sulla rete. E capisco anche che voglia farlo con una community di scrittori. Ma non crede che quegli scrittori parteciperanno per essere letti e notati dagli editor cartacei (come peraltro avviene con Penguin, mi sembra)? Non crede che la funzione stessa di “gioco” venga incrinata in partenza? E, infine, mi incuriosisce capire (lo so, chiedo troppe cose in anticipo) cosa avverrà di chi verrà riconosciuto (dalla community? ahi) meritorio di un destino diverso dalla bottiglia naufraga.
Grazie 🙂
febbraio 28, 2012 alle 12:50 PM |
Condivido il pensiero di Lara: chi parteciperà alla community lo farà con la speranza d’essere notato e arrivare alla pubblicazione.
febbraio 29, 2012 alle 12:57 PM |
condivido anch’io il pensiero di lara e aggiungo una cosa, anzi due. la prima è che PER FORTUNA non ho nessuna velleità autoriale (o il mio ego prenderebbe scarpate e spallate tutti i giorni, perchè da quanto leggo in giro sembra che gli esordienti o sedicenti tali diano addirittura fastidio), la seconda è che il ragionamento di brugnatelli fila come un treno, supportato da quello che dice il grande eggers, però sorge un GROSSO dubbio …… e cioè, ancora per punti:
1) se uno è convinto di scrivere bene è difficile che adatti il suo ‘dire’ prima di avere preso sportellate morali che a volte ne falciano le gambe e le speranze (non tutti sono disposti a mettere in dubbio – come sarebbe giusto fare – il proprio operato e la propria sensibilità)
2) se l’opera di quest’uno riscuote grandi consensi egli si sentirà legittimato a farsi domande e domande su come mai nessuno scout se lo fili, oppure dieci scout gli diano tutti e dieci dei rifiuti o dei consigli diversi nelle modalità.
3) se l’opera di quest’uno raccoglie grandi consensi allora tutti i frequentatori e partecipanti di quel ‘sistema’ si sentiranno autorizzati a chiedersi ancora una volta perchè non viene magari scelta e promossa da chi se ne intende, dagli editori insomma ….. per poi trovarsi in libreria o in eBook delle fetecchie (scusate l’espressione: potrei aprire un catalogo lungo migliaia di righe, che in qualità di lettrice accanita mi sono chiesta più volte grazie a quali conoscenze o vie perverse siano arrivati alla pubblicazione ….. e quanto fessa io sia stata a spenderci soldi nell’acquisto)
4) ho avuto la rara, anzi RARISSIMA fortuna fi poter leggere quello che scrive una persona che non ha mai pubblicato niente e che proprio per quelle ragioni di cui sopra non pubblicherà mai. ho letto io e hanno letto molti miei colleghi e conoscenti: nessun amico che per condiscendenza direbbe bene di quello che scrive, anzi gente che se una cosa fa schifo lo dice. ecco …… il commento generale è stato che quella dell’anonimo è letteratura vera, bella ‘pesa’, il 90% di quello che esce oggi no – con rispetto parlando verso chi crede nei progetti editoriali, che alla fine servono solo a far guadagnare e basta, perchè l’editoria è un’azienda con profitti da realizzare.
perdonatemi per la lunghezza
marzo 1, 2012 alle 11:41 am |
Mi pare rilevante che un editore come Mondadori si avventuri nel mondo delle piattaforme aggregative, anche esponendosi all’inevitabile cortocircuito (un editore che crea una piattaforma di self-publishing, per chi pubblica cioè senza editore). Rilevante perché bene fotografa la ricchezza e complessità dell’economia editoriale digitale e questa fase pionieristica.
Personalmente credo che un editore debba principalmente fare l’editore, e l’editore nell’era del digitale significa soprattutto accogliere e rilanciare la sfida delle idee, innovando e aggregando idee e contenuti per veicolarli in contenuti, promuoverli, farli circolare e venderli. Autori ed editori sono entrambi creatori di contenuti: una nuova alleanza è nell’aria. Per questo, se ho colto il commento di Brugnatelli, e come editore digitale, proporrei un modello di self-publishing maggiormente distinto in competenze, con l’autore self-publisher che si ingegna per promuovere il proprio titolo rivolgendosi a società di marketing qualificate ed efficaci. Società di marketing qualificate ed efficaci di cui anche gli editori avranno sempre più bisogno.
marzo 1, 2012 alle 12:05 PM |
Non sempre le idee possono essere una sfida: a volte reiterano concetti già espressi. Questo, per essere – amabilmente, lo giuro – fuor di retorica. Autori ed editori sono creatori di contenuti in modo diversissimo: è auspicabile che siano alleati, ma con ruoli diversi e chiari. E, insisto, timeo marketing et dona ferentes. Specie con l’acceleratore che sul medesimo verrà spinto.