Quando un personaggio muore, deve restare morto?
Non sono impazzita, meditavo, e sempre in virtù della famosa mail che citavo qualche giorno fa. In quel caso, il riferimento era alla sorte di Aeris, in Final Fantasy, e come al solito mi ha dato da pensare. Naturalmente anche gli adorabili papiri di Yoda hanno la loro parte nelle mie riflessioni: pensavo anche alla sventurata Kikyou e al suo ritorno in vita seguito da morte definitiva.
In effetti devo fare una confessione. Ci sono morti che tuttora non accetto: quella di Susan Delgado nella Torre Nera (Angelo, non è uno spoiler: si sa dal primo libro che è deceduta), per esempio. E, andando a pescare fra i classici, ci sono casi in cui vorrei essere nella storia per intervenire e salvare il personaggio: la già citata Milady, per esempio (da ragazzina ho odiato Athos e compagni con tutte le mie forze, e avrei voluto fare lo sgambetto al Boia di Lille). O Emma Bovary: non sarebbe stato bello se l’arsenico fosse stato sostituito con lo zucchero? E Catherine Earnshaw, in Cime tempestose? Possibile che nessuno sia in grado di curarla? E Romeo e Giulietta, accidenti a loro? E Amleto? E Cordelia?
D’accordo, Shakespeare va messo da parte: senza la morte, non ci sarebbe senso nelle sue opere. Eppure, la difficoltà di accettare il trapasso dei personaggi amati è qualcosa che probabilmente condiziona anche il mio modo di scrivere. Eppure non sono una che si tira indietro, quando si tratta di far fuori, narrativamente parlando, qualcuno…
Penso. Penso. Penso.