Non finisce qui, ovvio.
Il giorno dopo vede, come riporta Repubblica oggi, la smentita dell’editore di Fifty Shades of Grey, l’insistenza sul fatto che romanzo e fan fiction sono due testi separati e il silenzio dell’agente di Stephenie Meyer alle domande dei giornalisti americani, che si sono evidentemente fatte insistenti. Con una dichiarazione sibillina della senior publisher di Vintage: “before acquiring the title, several tangentially involved parties had to be economically satisfied”, che potrebbe persino far pensare a un accordo economico con l’autrice di Twilight, ma qui siamo sul piano delle congetture.
E forse non è neppure interessante. Perchè questa vicenda va a toccare un punto importantissimo per le fan fiction e per chi le scrive. Non tanto per quanto riguarda la questione dell’originalità: non penso che il problema si ponga più di tanto. Quando si scrive una fan fiction elaborata, al punto tale da divenire, a tutti gli effetti, un romanzo autonomo, gli spunti originali diventano sempre più lontani. Diventano, semplicemente, sfondo. Ho sempre detto, e lo ripeto, che la prima versione di Esbat poteva essere considerata fan fiction fino al quinto capitolo (di allora). Da quel momento in poi, era un’altra cosa.
Dunque, fermi tutti, perché si scrivono fan fiction?
Azzardo tre risposte, che possono sfumare una nell’altra: per omaggiare una storia che si è amata; per condividere l’amore per quella storia con altri; per esercitarsi nella scrittura.
Se ne aggiunge una quarta. Per farsi notare. E’ la domanda che mi è stata rivolta più spesso negli ultimi tre anni. Il fandom può essere un trampolino di lancio?
La risposta è sì certo, se guardiamo a quel che accade ora in America.
La risposta è sì, aiuto, se pensiamo anche alle conseguenze.
E qui interviene lo sguardo del socio Giovanni Arduino, perché questo è quasi un post del marte-merco-giovedì. Giovanni ha dato un’occhiata al catalogo dell’editore di Fifty shades e della Omnific. Ebbene, mi scrive, sono quasi tutte fan fiction imbellettate (in genere con il pedale dell’acceleratore spinto sul romance zozzo). Molto possibile che, se il caso Meyer-Fifty non causi problemi legali, si scateni la corsa al fan writer.
“Il sogno dell’industria editoriale – scrive Giovanni – Dopo il mash-up, il remix appena appena remixato. Uguale all’originale più dell’originale, solo meglio, secondo le tendenze del momento (romance? erotico? distopico? angeli o senza? young adult o adult?) . Non hai più autori, ma fornitori di contenuti riposizionati. Come succede con il novanta per cento dei siti internet, ormai. Che differenza c’è tra l’autrice di 50 Shades e chi, per 3 euro a pezzo, prende un articolo -che so- dell’Huffington Post e lo rimpasta, rimixa e modifica per renderlo appetibile per il pubblico di JackTech? Nessuna. Non sono riscritture. Non è fanfic dettata dall’entusiasmo. Non è citazione ammirata. E’ riposizionamento dei contenuti e (quando ci si riesce) rebranding (NB: “Il riposizionamento del brand, ossia di un marchio, e di tutto quello che vi è annesso e connesso, è un processo attraverso il quale un prodotto/servizio viene immesso nuovamente nel mercato con una apparente diversa identità a seconda delle esigenze del mercato stesso”). Però, attenzione a spingere la New Coke, perché il passato insegna che la gente sempre alla Coca Cola tornerà”.
E allora?
Allora, cari colleghi di fanwriting, un piccolo consiglio. Finché potete, considerate le fan fiction come quello che dovrebbero essere: una palestra, non un trampolino di lancio. Fatevi i muscoli, fatevene tanti. Siate consapevoli del vostro lavoro, siate i vostri giudici. State attente ai lupi. E usateli voi, prima di esserne usati.