Posts Tagged ‘Fantasy’

Alabarde

aprile 30, 2010

Memorandum: infilarsi nelle polemiche significa quasi sempre arrivare al punto in cui qualcuno ti dà dell’imbecille, dell’utente compulsiva di Photoshop (che neanche so aprire, a momenti), della presuntuosa, di colei che ignora l’esistenza delle Città invisibili di Calvino (che semmai è stato il libro che mi ha fatto innamorare del fantastico). Del resto, cosa dovevo aspettarmi? Come mi ha scritto un amico, oltre a far parte della negletta schiera di scribacchini analfabeti, sono giovane e donna, “due cose malviste in Italia”.
Quindi, sto zitta e mi rimetto a scrivere: e a questo punto ci metto davvero un’alabarda, nella storia. Tiè.

La forma sotto il lenzuolo e le polemiche sul fantasy

gennaio 4, 2010

Nel 1977, Stephen King scrive una lunga introduzione alla raccolta A volte ritornano. E’ un’introduzione che diventerà famosa: quella che parla della paura e della funzione degli scrittori dell’orrore, e, in assoluto, di fantastico.
Se non l’avete letta, fatelo. In poche parole, King sostiene che la grande narrativa dell’orrore è quasi sempre allegorica: “A volte l’allegoria è voluta (come nella Fattoria degli animali o in 1984), altre volte è casuale: J.R.R.Tolkien giura e spergiura che il signore di Mordor non era Hitler in versione fantastica”.
Notare che King cita Orwell e Tolkien, scavallando la definizione di genere nella sua accezione più rigida (e forse nel 1977 era addirittura meno rigida di adesso). Più avanti, fa di più, e parla di scrittori decisamente mainstream:
“Le opere di Edward Albee, di Steinbeck, di Camus, di Faulkner, trattano di paura e di morte, talvolta con orrore; ma in genere questi scrittori mainstream lo fanno in modo più normale, più realistico. Il loro lavoro si colloca entro la cornice del mondo razionale: sono storie che possono accadere. Viaggiano lungo quella linea sotterranea che corre attraverso il mondo esterno. Ci sono altri autori (James Joyce, di nuovo Faulkner, poeti come T.S.Eliot, Sylvia Plath, Anne Sexton) la cui opera si colloca nella terra dell’inconsapevolezza simbolica. Viaggiano sulla sotterranea che corre attraverso il paesaggio interno. Ma chi scrive racconti dell’orrore, quando coglie nel segno, è quasi sempre al terminal dove le due linee fanno capo”.
Quale è, secondo King, il compito di uno scrittore dell’orrore? In primo luogo, raccontare una storia, affascinare il lettore. Afferrarlo, anzi. Poi, c’è l’altro compito: fare da filtro fra quello che possiamo interiorizzare senza pericolo e quello di cui dobbiamo sbarazzarci. Raccontare, cioè,  la paura numero uno: la forma del cadavere sotto il lenzuolo. Il nostro cadavere.
Il motivo per cui chi scrive fantastico ha sempre goduto di scarsa considerazione, dice King, è proprio questo: è perchè affronta la prova generale della nostra morte. Certo, anche gli autori mainstream parlano di morte: ma chi si avventura nel territorio del non reale si spinge più avanti. E, forse, colpisce più duro.
Perchè un post su questo argomento?

Perchè oggi, riprendendo a navigare dopo due giorni quasi ininterrotti di scrittura (sì, la ghost story procede a vele spiegate, come non mi succedeva da un bel pezzo: ha un titolo, Baby blues, e di più non dico), ho trovato un po’ di aggiornamenti. Il post di GL, per esempio: con cui sono amaramente d’accordo. E il post di Francesco, con cui non sono d’accordo. Perchè se è vero che “la storia innanzitutto”, è anche vero che la letteratura fantastica ha un compito: può essere quello indicato da King, può essere un altro. Discutiamone. Ma invocare il principio di piacere di per sè non mi basta. Non mi piace la contrapposizione scrittura come scopata/scrittura educativa. Preferisco parlare di scrittura consapevole. Perchè il puro piacere dura poco: e ho l’ambizione, da lettrice prima che da scrittrice, che un libro duri nel tempo.
La letteratura non eleva lo spirito e scrivere non rende migliori: giustissimo. L’ho scritto, in tempi non sospetti.  Ciò detto, e concordando sull’importanza della storia innanzitutto, dico anche che tutto non è uguale a tutto. Perchè King ha sentito il bisogno di scrivere quell’introduzione? Non per “sdoganare il fantastico”. Nessuno di noi, credo, intende farsi bello agli occhi di qualcun’altro, e men che meno di un critico. Ma per dare valore e serietà (non nel senso angusto del termine)  a un genere che è considerato immondizia. E questo non mi pare affatto secondario e affatto inutile.
Infine, sinceramente, sono stufa di quelli che si dichiarano stufi: di quelli che  commentano “oh, ma cosa c’è di nuovo, oh, ma perchè parlare di queste cose, oh, ancora?”.
Sì, ancora. Per quel che mi riguarda, non mi ritengo superiore a chi scrive davvero monnezzoni, e probabilmente li scrivo anche io. Non mi ritengo superiore a chi scrive romanzi rosa travestiti. Non mi ritengo superiore a nessuno: non valgo più di un panettiere, anzi, sicuramente sono meno utile.
Però mi sforzo di non ripetermi, di non acquietarmi nella mia visione, di non sfornare libri perchè un filone tira. E li difendo. Perchè sono sicura, da lettrice prima ancora che da scrittrice, che la banalizzazione del fantastico sia cosa da contrastare: sia pure in una discussione. Per rispetto di chi legge, oltre che di chi scrive.
Poi, certo, questa è la mia opinione e vale quel che vale. Sicuramente, è persino meno pagante.

Libri angelici

dicembre 11, 2009

Mi arrendo. Entrano in scena gli angeli, sul serio.

Ps. Fabrizio Valenza parla di Esbat in un post sul fantasy italiano. Grazie.

Lara Alcott

marzo 26, 2009

E’ che più frequento i gruppi di discussione più mi rendo conto che ho una visione  fin troppo rosea del mondo là fuori, nonostante tutto.
Per esempio, mi rendo conto  che la stragrande maggioranza di non-lettori di narrativa fantastica pensa che la stessa sia un giochino per bambini-adolescenti, per giunta facilissima da scrivere. E  hai voglia a spiegarlo, o tentare di spiegarlo: non viene capito.
Insomma, la situazione è questa: esistono tantissimi scrittori e lettori di fantastico che si affannano a ribadire la nobiltà del genere, e incontrano un muro da parte della stampa e, se non capisco male, anche dei librai.
E se mi mettono a fianco di Piccole donne e di Geronimo Stilton, che faccio?

La banalità di Lara

marzo 25, 2009

Ultimamente faccio sogni tremendi, ma pazienza. Ultimamente frequento abbastanza i gruppi di discussione su aNobii, specie quello di Fantasy Italia. Ultimamente leggo che molti autori sono, insomma, un po’ seccati per la banalizzazione che si dà del fantasy sui giornali. L’ultimo, mi pare, è D’Andrea, l’autore di Wunderkind, che sto appunto leggendo, e che sul suo blog riporta l’articolo di Tuttolibri che lo riguarda.
Ecco, non so, magari è meglio che sto zitta. Di tutta la questione, che è certamente molto più grande di me, mi lascia perplessa solo una cosa: l’identificazione narrativa fantastica=prodotto per teen agers. Questo è piuttosto desolante. Ma sarei ugualmente perplessa se si identificasse un libro  con un’altra fascia anagrafica: narrativa per sessantenni. O anche: narrativa per trentenni in carriera. Per cinquantenni depressi. Per quarantenni appena divorziati. E così via.
Le storie sono storie, a prescindere dall’età di chi le legge. La cosa importante è che siano scritte bene.
D’accordo, ho detto la banalità del giorno: è la primavera e sono i brutti sogni.

I domandoni del martedì

febbraio 3, 2009

Grandi domande.
Che in qualche modo derivano dal post di ieri, ma che ci posso fare?
Quanto ha senso, oggi e qui, in Italia, la suddivisione stretta in generi?
Non sarebbe forse più utile per tutti parlare di “narrativa fantastica”, punto e basta?
Per caso, non sta succedendo nel fantasy e nell’horror quello che succedeva fino a qualche tempo fa nel noir e nel giallo?
Non è che esiste un manipolo di scrittori non interessati ad approfondire e rinnovare il genere che si tiene strette le definizioni e non le molla?
Non è che ad un pubblico che sta crescendo manca il corrispettivo, ovvero autori che stiano crescendo insieme al pubblico?
A parte poche eccezioni (e ci metto senza dubbio Dimitri, e ci metto la Palazzolo, e ci metto Evangelisti e poi aiutatemi voi)?
Non è che dovrei andare a farmi un giretto?

Il calzino dell’elfo

luglio 1, 2008

Finalmente mi si sono schiarite le idee: non sull’universo mondo, ma su quello che intendevo dire davvero nel post sulla letteratura fantasy.

Ho appena letto un articolo su Repubblica dove si parla di un giallista svizzero degli annI Trenta, Friedrich Glauser, e dei suoi “comandamenti” per scrivere un buon libro. Alcuni sono se non banali, prevedibili: tipo “essere avvincente con il minor impiego di mezzi”; o “l´autore non deve stancare il lettore”.

L’ultimo è stato rivelatore. Parla del personaggio: “fare della macchinetta automatica un essere umano. Deve scendere dal suo piedistallo. Rendiamolo capace di queste reazioni, diamogli una famiglia, una moglie, dei figli, perché deve essere sempre scapolo?… perché non si gratta quando ha prurito?… per non parlare di un calzino bucato”.

Ecco cosa non mi convince di certo fantasy. Questa parte, l’equivalente del calzino bucato per un elfo, manca molto spesso. E io ne sono assetata. Mi piace conoscere le cose piccole, le cose “umane” anche di una creatura non umana (perchè è pur sempre una mente umana che la crea).

Tolkien lo ha fatto: non perchè i suoi elfi hanno i calzini,  ma perchè li ha dotati di un sentimento umanissimo come la malinconia. Non semplicemente piazzando l’aggettivo “malinconico” accanto ad uno sguardo o ad un discorso: ma intridendone l’esistenza, sempre.

Nessuna mappa, nessun universo, per quanto perfetto, può sostituire questo. Credo, eh.