La conosco da una foto tessera, quelle in cui abitualmente si viene male, e che si nascondono in tasca o in borsa (“no, dai, sono orribile qui”). Giorgiana Masi, invece, era bella anche in quella fotografia. Gli occhi erano tristi, però. Ci sono delle immagini che, per un motivo insondabile, preannunciano la morte, perchè lo sguardo è fisso lontano, verso un orlo sfilacciato. Dopo quell’orlo, il buio.
Effetto retroattivo. Eppure, mi fa quell’impressione.
Giorgiana Masi è figlia di un parrucchiere e di una casalinga. Frequenta il quinto anno del liceo scientifico Pasteur. Ha un ragazzo, si chiama Gianfranco Papini. E’ con lui, intorno alle 19.30 a Ponte Garibaldi.
La ricorda bene una bambina di undici anni: la bambina si chiama Simona, è uscita dalla scuola di danza, si trova coinvolta nel disastro in cui si è trasformato il lungotevere. La bambina guarda, affascinata e spaventata. Finchè una ragazza la prende per un braccio. “Vattene via, qui è pericoloso. Fra poco qui sparano”. La accompagna fino all’inizio di Ponte Garibaldi. Simona capisce, infine, il pericolo, si mette a correre. Mentre scappa vede, su lungotevere Anguillara, “uomini con divisa con un fucile o un mitragliatore non so, puntato ad altezza d’uomo”. Sente i colpi d’arma da fuoco. Corre più forte.
Il giorno dopo, Simona vede sul giornale una fotografia di Giorgiana Masi. La riconosce: è stata a lei a prenderla per il braccio, e a farla fuggire.
Ma è ancora il giorno prima.
E Giovanni Salvatore sta correndo. Si rende conto che la ragazza che ha superato è caduta a faccia avanti. Si volta. Vede che è ancora a terra. Torna indietro per aiutarla ad alzarsi. Non ce la fa, chiede aiuto, mentre gli spari continuano. Arrivano altre tre persone. Sollevano Giorgiana. Sono nei pressi di Piazza Belli. La portano di corsa nello slargo vicino al capolinea degli autobus. La ragazza geme, “Oddio che male”. Cercano di rassicurarla. Non c’è sangue. La adagiano a terra. E, nota Giovanni, il corpo della ragazza si irrigidisce improvvisamente, “le mascelle serrate, le braccia tese, gli occhi sbarrati”.
Arriva un altro ragazzo. Si china su di lei. Racconta dettagliatamente il modo in cui è vestita (jeans, camicetta bianca, un giacchetto di lana marrone chiaro con grossi bottoni). Nota che ha la bocca chiusa e i denti serrati, gli occhi “grandi, neri, sbarrati”. Pensa a un attacco di epilessia. Non perde sangue. Arriva un medico che le solleva il capo e le tocca le braccia. Si ferma una macchina, un’Appia bianca, la ragazza viene sollevata e adagiata sul sedile posteriore. Mentre la caricano, si porta una mano sulla pancia.
La pancia. Qualcuno diffonde la voce che è stata ferita frontalmente.
Invece è stata colpita alla schiena. E i colpi, racconta Lelio, un altro testimone che era accanto a lei, venivano solo dalla parte dove era schierata la polizia.
A dirlo sarà anche una donna di trent’anni, Elena Ascione. Sta fuggendo verso piazza Sonnino nello stesso momento. Viene colpita alla coscia. Cade. Sopravvive.
Giorgiana muore prima di raggiungere l’ospedale.
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novembre 23, 2010 alle 9:10 am |
Niente sangue, irrigidimento del corpo (forse sintomi di una crisi epilettica), dolore al ventre. Si scoprirà che è stata colpita alla schiena. Da un colpo di pistola?
novembre 23, 2010 alle 9:22 am |
Sì.
novembre 23, 2010 alle 9:38 am |
Sparavano ad altezza uomo a persone già in fuga. Non si tratta di un poliziotto che ha perso la testa, l’ordine doveva essere “uccidetene qualcuno”, non “disperdeteli”. In questo caso per, perlomeno per come la vedo io, la responsabilità non è più solo di chi ha dato l’ordine, ma anche di chi – in coscienza – non si è rifiutato di eseguirlo.
novembre 23, 2010 alle 9:46 am |
Sarà stato un colpo di fucile o una pistola con proiettile sottile, il quale ha colpito un nervo della colonna vertebrale.
Strano che non c’è stata perdita di sangue.
novembre 23, 2010 alle 9:47 am |
Calibro 22. Emorragia interna.
Pistola non di ordinanza. Come quelle degli agenti in borghese.
novembre 23, 2010 alle 9:56 am |
La regola d’oro di ogni assassino: non lasciare tracce che riconducano a te.
novembre 23, 2010 alle 11:21 am |
Peggio: le tracce sono infinite. E nonostante questo, come vedrai, non si arrivò alla soluzione. Nè alla condanna.
novembre 23, 2010 alle 12:33 PM |
Regola numero due: semina tracce contraddittorie, la confusione e il dubbio sono la miglior copertura possibile.
novembre 23, 2010 alle 12:40 PM |
Anche in questo caso, le ricostruzioni sono state cristalline. Ma ignorate.