Oh, mia Dea!

Per tutti quelli che si interrogano sul femminile mitico e letterario, Wu Ming 4 ha scritto un gran bel pezzo che si chiama (e per questo gli sia reso grazie-sai) La dea colpisce ancora. Lo trovate sul blog dei Wu Ming. Ne traggo però un brano, pur sapendo che estrapolare non è il massimo, che riguarda in particolare questo punto:

“Nel terzo saggio de L’eroe imperfetto io affermo che le figure di Baccadoro, Galadriel, Elbereth, Shelob – così come Atena ne l’Aiace, Morgana nel Sir Gawain e Ysobel ne La Santa Rossa – ricoprono la funzione che la Dea svolge in molti racconti mitici e letterari. Lo affermo assumendo il discorso e la terminologia gravesiani, a loro volta basati sulla ricorrenza di alcune costanti poetiche in miti e opere diverse. Le domande che dobbiamo porci sono quindi due:
a) La chiave di lettura prescelta disvela qualcosa che è presente nel testo o impone a esso elementi ulteriori provenienti dall’esterno, come nel caso della corrispondenza Valinor = Paradiso?
b) Cosa intendo per “Dea” nella mia lettura? Ovvero: di che cosa la Dea è l’incarnazione poetica?
Per rispondere alla prima domanda proviamo a buttare via la chiave, a dimenticarci Graves, a lasciare perdere il discorso sulla Dea e tutto il resto. Ciò che rimane è la specifica relazione tra i protagonisti maschili e le figure femminili nel Signore degli Anelli, che è innegabilmente parte integrante del racconto. Ebbene, a prescindere dall’interpretazione che vogliamo dare della sua figura, Galadriel svolge effettivamente una determinata funzione nei confronti degli Hobbit; Elbereth è effettivamente l’unica presenza “divina” che viene invocata in tutto il romanzo; Frodo sconfigge effettivamente Shelob con il dono di Galadriel; Éowyn uccide effettivamente il Capo dei Nazgûl in virtù della sua appartenenza di genere; e così via. Questi aspetti del racconto ci consentono di mappare la presenza e il ruolo del femminile nel romanzo e di constatare che nel Signore degli Anelli la relazione instaurata dai protagonisti maschi con le presenze femminili è determinante per la riuscita dell’impresa eroica. Il legame particolare tra eroismo e componente femminile è quindi un tema presente nel romanzo, non importato dall’esterno. La chiave gravesiana che io ho scelto di utilizzare per isolare questo tema è solo uno strumento, utile a dischiudere un significato che sta “dentro” l’opera, come giustamente pretende Testi, “per scoprirne tutta la ricchezza, l’architettura sottesa e i meccanismi letterari che la sorreggono”.
Detto questo, il fatto che il tema in questione compaia anche altrove nella storia letteraria, non è qualcosa che dipende dalle tesi di Robert Graves. E’ l’assonanza reale che spinge a cercare una chiave di lettura comune (nel suo caso la “Dea”), non viceversa. Graves ha soltanto offerto un modo tra i tanti possibili di leggere quelle coincidenze, non ha inventato le coincidenze stesse. Per rispondere quindi alla seconda domanda, è evidente che ho scelto di avvalermi del discorso gravesiano perché ritengo che dietro il reiterato e multiforme archetipo della Dea si celi la rappresentazione dell’elemento femminile e che il tema poetico a essa connesso – la necessità del suo apporto all’impresa eroica – abbia una portata universale, cioè rimandi a uno degli aspetti essenziali dell’esperienza umana: la complessa e contraddittoria relazione tra i generi. Del resto, la grande poesia e letteratura – direbbe Graves, ma anche Tolkien – fa questo: esprime verità parziali sulle cose, cioè sulla nostra vita. E’ ciò che rende possibile a un mito coniato nella notte dei tempi, a un poema medievale, o a un romanzo del secolo scorso, di parlarci ancora. E certo lo fanno usando il linguaggio che è loro proprio: quello poetico, composto di “rimandi”, “immagini”, “corrispondenze”, “figure”…”

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