Il problema è: sto scoprendo la prima persona. E mi piace non poco, anche se il rischio che si corre è quello di mettere nella storia troppe cose di se stessi. Una personalizzazione, insomma, che in ogni momento può sfuggirti dalle mani e diventare ombelicale, con danni collaterali, per il lettore, evidentissimi.
Ma il romanzo che svilupperò dall’abstract ochesco è a doppio punto di vista: quella che attualmente non è visibile è la controparte maschile di Lavinia (che non è Sam). Ed è una controparte fondamentale.
Non amando troppo la suddivisione in capitoli dice-lei/dice-lui, temo che dovrò tornare alla terza persona.
E un po’ mi dispiace.
Tag: Il gioco di Lavinia
febbraio 25, 2010 alle 9:11 am |
Credo che, effettivamente, con la prima persona il tasso di immedesimazione possa aumentare… ma posso chiederti perché non ti piace il dice-lui, dice-lei? Se fatto bene io lo trovo molto bello.
Ora son curioso di scoprire questa controparte top secret di Lavinia.
febbraio 25, 2010 alle 9:16 am |
Ho paura che possa risultare artificioso il doppio pov con titoletto Lavinia/Mike…Non so.
La controparte, come vedi, ha un nome. Ma non dico di più 🙂
febbraio 25, 2010 alle 9:23 am |
mmmmm la prima è coinvolgente lo so, ma ultimamente mi fa immediatamente venire in mente Bella Swan
febbraio 25, 2010 alle 9:34 am |
Be’, non esageriamo Eleas. La storia della letteratura è piena di romanzi straordinari scritti in prima persona!
febbraio 25, 2010 alle 9:43 am |
Vade retro!
Io ho ricordi di libri con la prima persona che son scritti bene… non mi ricordavo che Bella parlasse in prima persona però…
febbraio 25, 2010 alle 9:51 am |
lara lo so ma è istintivo tanto è il martellamento…
febbraio 25, 2010 alle 10:25 am |
A me interessa più discutere sulla tecnica. E’ anche vero che si può adottare una terza con punto di vista limitato, e centrato sui due personaggi in questione.
Certo che l’idea del monologo mi sta catturando, però…
febbraio 25, 2010 alle 12:45 PM |
Eleas, disintossicati.
Per il resto, in automatico a me viene la prima. E’ un po’ il prolungamento dell’identificazione col protagonista, se vogliamo. E’ anche più facile da scrivere da un punto di vista di costruzione del periodo, se vogliamo (il lettore sa sempre chi sta parlando e in genere non servono voli pindarici di pronomi per chiarire gli attori). Proprio nell’Oca sperimentavo, scrivendo in terza, osticità come la ripetizione dei vari “lui” e “lei” che sanno tanto di scene di sesso harmony (“lui le prese la mano e lei mugolò, lasciando che lui se la passasse etc” ^_^).
Per altri versi, la prima è limitante. Per ovvi motivi. Tu che pingponghi magistralmente coi povchar, lara, magari ti sentirai ancora più costipata. Però… ecco, la definirei più liberatoria, per chi scrive.
Rischio di personalizzare troppo? Fino ad un certo punto. Dopo tutto i personaggi sono sempre estensioni di una certa parte del “sé” dell’autore, almeno quelli pensanti (e povvanti :)) quindi un certo grado di personalizzazione ci può e ci deve essere, a mio avviso.
febbraio 25, 2010 alle 12:49 PM |
Molto vero, Ema.
In realtà quel che mi lascia più dubbiosa è la doppia prima persona. Appunto, la controparte maschile: che almeno per un bel pezzo agisce senza che Lavinia sappia della sua esistenza. E dal momento che Mike è determinante, non posso che ripiegare sulla terza, temo.
febbraio 25, 2010 alle 12:57 PM |
E della seconda che ne pensi? Se Mike è cosciente di Lavinia, potrebbe essere lui a raccontare le parti di lei (daje con lui e lei!!) come se le parlasse. Poi non so che caspita hai in mente quindi se è necessario che i pov siano stra-separati è impossibile…
febbraio 25, 2010 alle 1:18 PM |
I pov sono straseparati fino a un certo punto, dunque…
febbraio 25, 2010 alle 1:32 PM |
Per quanto possa valere la mia opinione… Io mi sono stufato di leggere libri in prima persona… Se posso in questo periodo li evito… Credo che sia più facile scrivere (per te) la parte femminile in prima persona, piuttosto che quella maschile. Comunque Jonathan Stroud ha scritto la trilogia di Bartimeus metà in prima (per il demone) e metà in terza (per il ragazzo)…
Potrebbe anche sorgere il problema, se non vuoi dividere i capitoli, di come far sentire ai lettori i pensieri degli altri personaggi (che potrebbero essere importanti). Un altro Edward Cullen che legge nel pensiero NO! 🙂
febbraio 25, 2010 alle 1:34 PM |
Scusa la mia presunzione che sminuisce le tue capacità di scrittrice. Mi sono reso conto che ho giudicato senza sapere. Chiedo venia… Please 😉
febbraio 25, 2010 alle 2:00 PM |
Penso che: è molto molto molto più difficile trovare un romanzo in prima persona scritto davvero bene. Questo avviene proprio per l’apparente facilità dell’identificazione ra lo scrittore e il personaggi. Mi fermo qui prima di parlare di Brecht, Kafka e fari “na capa tanta” 🙂
P.S.
I romanzi autobiografici in prima (sì, è un pleonasmo), magari ‘giovanili’ sono uno slogan vivente sul perchè non si dovrebbe scrivere in PP.
febbraio 25, 2010 alle 6:52 PM |
Ah be’, sui romanzi autobiografici sulla propria infelice giovinezza potrei tirar giù anatemi per ore.
Fabio, ma no, che urtato.
Comunque, deciso: terza. per forza. Terza e tempo presente.
febbraio 26, 2010 alle 2:13 PM |
Terza e tempo presente è, a mio parere (sarà che mi occupo di sceneggiatura e la scrittura cinematografica ha non poco peso anche sulla mia narrativa), l’equivalente dell’endecasillabo accostato al settenario raccomandato da Alighieri del De Vulgari Eloquentia: l’ottimo.