Bene. Se le regolette di Leonard non vi convincono, proviamo con questa. E’ di David Foster Wallace.
«Ho finito col convincermi che ci sono una specie di vitalità e di sacralità senza tempo nella buona scrittura. Il talento c’entra poco, anche quello che salta agli occhi […]. Il talento è solo uno strumento. È come avere una penna che funziona anziché una che non funziona. Non dico che senza sarei comunque in grado di dare compiutezza al mio lavoro, ma si direbbe che la grande distinzione fra l’arte che vale e l’arte così-così sia da ricercare nell’intento posto al cuore dell’arte, nei programmi della coscienza che si celano dietro il testo. C’entra invece l’amore. La disciplina necessaria a far parlare quella parte di sé capace di amare anziché quella parte che vuole solo essere amata»
Tag: David Foster Wallace
ottobre 5, 2010 alle 8:19 am |
Sì.
ottobre 5, 2010 alle 8:47 am |
Oh sì! Andiamo già meglio in effetti 😀
Pienamente d’accordo. Mettere cuore in ciò che si fa è un merito, una buona qualità che si ha se e quando si decide di averla, che presuppone impegno e dedizione. Il talento è solo un incidente di percorso, è solo una questione di “fortuna”.
ottobre 5, 2010 alle 9:27 am |
questo suona più liberamente interpretabile 😉 ma il discorso sulla disciplina può benissimo ricollegarsi alle regole di zio Elmore, ingiustamente maltrattato a mio parere. Quelle regole non sono imposizioni da seguire, ma il frutto di un percorso di autodisciplina (amore per la scrittura), e sono state gentilmente donate a noi, che possiamo farci quello che ci pare.
Riuscire a scrivere un dialogo dove i punti esclamativi e i “disse in tono rabbioso, ironico, acido, allegro” diventano superflui, significa dare una tale forza e vita propria alle battute che tutto il resto non serve. Ma è un traguardo, mica un imposizione.
ottobre 5, 2010 alle 10:31 am |
Quoto! In effetti sembrano due facce della stessa medaglia 🙂
ottobre 6, 2010 alle 8:33 am |
Quoto anche io. Perchè non è che DFW non avesse regole, eh…
ottobre 6, 2010 alle 8:38 am |
Sì sì. Ho appena letto il saggio di Zadie Smith su Piccole interviste a uomini schifosi.
In effetti aveva delle regole belle solide ^_^
ottobre 6, 2010 alle 10:23 am |
“La disciplina necessaria a far parlare quella parte di sé capace di amare anziché quella parte che vuole solo essere amata”.
Mi ricorda il concetto di onestà nella scrittura di cui parlavano Bukowsky e King. Essere veri con la penna in pugno. Usare la forma attiva anzichè la passiva, fregandosene del parere altrui, fregandosene di non-essere-all’altezza e di non essere amati. Scrivere perchè si ama, non perchè ci si ama. Fico.
Se David Foster non si fosse onestamente esposto nella sua fragilità, non sarebbe diventato quello che è, credo. Nonostante fosse un genio.
Mattia (un tuo lettore)