Gian Arturo Ferrari, già Mondadori, ora direttore del Centro per la diffusione del libro e comunque eminente figura nel mondo editoriale, ha rilasciato ieri un’intervista a L’Unità.
Due risposte mi hanno dato da pensare. Ovvero:
Cambierà il mestiere dell’editore?
«L’editore nasce per una ragione semplicissima: la pubblicazione, con il libro a stampa, è costosa. E poiché l’autore è una persona che ha talento e idee ma in genere non ha soldi, ecco che compare una figura diversa, l’editore appunto, che dice: caro autore mi fido di te, investo io al posto tuo, pago io la stampa. L’elemento centrale della rivoluzione digitale è proprio la possibilità di pubblicare a costo zero. Questo sicuramente influirà sul rapporto tra editore e autore».
Avremo un mondo senza editori?
«Il rapporto tra autore ed editore, per fortuna dei secondi, non si ferma alla copertura delle spese, ma è più profondo, intenso, quasi complementare. Non solo: ma una volta che un autore pubblica un ebook a costo zero, il pericolo è che nessuno o quasi venga a sapere della sua esistenza. E questa, probabilmente, sarà la ciambella di salvataggio a cui si aggrapperanno gli editori del futuro: esperti di marketing e comunicazione che aiuteranno gli autori a farsi conoscere, anche online».
E l’editing che fine fa? Delegato alle agenzie? Al betareading? A consulenti individuali? Voglio dire: non dovrebbe venire prima il testo e poi la comunicazione?
Nella visione del futuro che si va delineando, sembra un dettaglio trascurabile: eppure, questa è stata una delle ragion d’essere dell’editoria medesima. Forse sarà giocoforza liberarsene, ma la cosa non fornisce particolari motivi di entusiasmo.
Tag: Gian Arturo Ferrari
febbraio 23, 2012 alle 9:25 am |
da incubo!!! quindi con l’ebook vale tutto??!!!…la qualità, la fantasia, la forza d’un autore?? tutto lasciato andare nella voglia d’apparire, così come è, il vuoto!!!!
che tristezza….
febbraio 23, 2012 alle 9:34 am |
Va anche detto che al momento sono opinioni da “esterno”. Stiamo a vedere…
febbraio 23, 2012 alle 9:36 am |
L’editore come mero sponsorizzatore del libro. E’ l’idea che hanno in testa i pezzi grossi come Ferrari, evidentemente.
Il pezzo grosso però non capisce che se l’editore si riduce a questo, allora perde qualsiasi specifità professionale e rischia di diventare due volte superfluo. Se è questa la direzione che intendono intraprendere, allora Amazon se li mangerà tutti. Uno dopo l’altro.
febbraio 23, 2012 alle 9:42 am |
E’ proprio quello che mi stupisce, Wu Ming 4: come possono non mettere in conto il potere del competitor?
febbraio 23, 2012 alle 9:42 am |
Mi pare di capire che Gian Arturo Ferrari non possa essere entusiasta di un ipotetico futuro dal motto: “Dilettanti allo sbaraglio”. Una qualsiasi opera di corposa narrativa senza editing sarebbe un aborto letterario. Esistono già sin troppe case editrice, o tali, che spacciano la mera correzione delle bozze per editing. Ne esistono, a mio parere, anche di più cialtrone, e anche tra quelle potenti, che fabbricano un libro sopra un’idea originaria – magari dell’autore / autrice – attraverso un lavoro capillare di ghost writers, al soldo della stessa casa editrice, la quale talvolta becca l’onda giusta e sforna il suo “caso letterario”. Sai Lara, sull’argomento il confronto è interessante e la polemica infinita ma, come sempre, è il mercato e la sua legge a determinare il resto. Motivo per cui la convenienza e il risparmio traghetteranno le principali case editrici italiane, che sono aziende, imprese, questo non va mai dimenticato, verso le soluzioni di marketing ad esse più adatte.
febbraio 23, 2012 alle 9:51 am |
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
febbraio 23, 2012 alle 9:55 am |
Lo dico da una vita: il nome dell’editor andrebbe nel colofon, insieme al traduttore, se c’è, e all’art director. Forse ci aggiungerei anche il correttore di bozze.
Che i big dell’editoria si dimentichino dell’editor mi fa paura. Come se evoluzione significasse perdersi dei pezzi per strada.
febbraio 23, 2012 alle 10:17 am |
Mah, mi pare davvero assurdo che a questo si riduca la visione di Ferrari. Un editore che passa dall’essere un mero tipografo a consulente di marketing? E però io comincio a notarla questa, diciamo, nikeizzazione dell’editoria, cioè la smaterializzazione dell’originario progetto produttivo con conseguente complessivo alleggerimento della struttura aziendale finalizzato al potenziamento del lavoro sull’immagine e alla diminuzione di quello sul prodotto. La Nike così ha moltiplicato i profitti, puntando sulla valorizzazione/ mitizzazione del brand che sopperisce la qualità mancante della maglietta. Ma: 1. I libri non sono magliette e i lettori sono consumatori particolari, 2. Come già detto da voi, non mi pare che gli editori, anche i più grandi, brillino in quanto a capacità di marketing e rischiano davvero di partire per fottere e tornare fottuti.
Come dicevo, io la tendenza l’ho notata in una costante diminuzione della cura dell’editing, per esempio, e una spesso eccessiva (a mio avviso) preoccupazione preventiva su come posizionare il tale libro sul mercato (col risultato che a volte un libro buono non lo si fa perché è difficile da catalogare nelle stringhe già predisposte dal mercato). Stiamo a vedere. Ma cerchiamo pure di agire.
febbraio 23, 2012 alle 10:24 am |
E’ molto vero quel che dice Kai Zen: la tendenza è già in atto e ho la sensazione che andrà a rafforzarsi (specie in Mondadori) nei prossimi mesi. Del resto credo che sia proprio all’interno di molte case editrici che stia diminuendo la centralità della figura dell’editor. Messa così, è un suicidio.
febbraio 23, 2012 alle 10:50 am |
E mettici pure una sempre maggiore (e sospetta) uniformazione dell’offerta. Adolescenti problematici e romantici uber alles, nella speranza di replicare precedenti successi editoriali tramite loro doppioni.
febbraio 23, 2012 alle 10:59 am |
È una tendenza cominciata almeno dieci anni fa, se non più. Conoscevo un correttore di bozze mostruoso. Riconosceva d’acchito un centinaio di font, trovava un’unica lettera in italico in una pagina fitta fitta, valutava a occhio se il testo era dieci o undici punti. Calava sulle bozze come un’aquila su un topo addormentato, trovava un refuso da una parte all’altra della stanza.
Quando è andato in pensiono non lo hanno sostituito. Nemmeno ci hanno messo un giovincello che non riconosceva il Times New Roman dall’Arial, no, semplicemente hanno sparso la correzione bozze su tutti quelli che maneggiavano il testo.
Il prodotto finito non ci ha guadagnato.
Basta guardarsi attorno. Pubblicità televisive con errori nei testi, giornali con strafalcioni, prodotti di grande diffusione con scritte incomprensibili.
La filiera corta può andar bene per l’ortofrutta, non per i libri. Dal produttore al consumatore è una bella idea se si tratta di ridurre i costi dei pomodori senza che la qualità ne risenta; per un testo, di qualsiasi tipo, ci sono passaggi che non si dovrebbero saltare.
febbraio 23, 2012 alle 11:42 am |
Aggiungo un’altra cosa: la contrazione del lessico. E’ una mia sensazione, o il numero delle parole che vengono usate, anche nei romanzi, sta diminuendo?
Non è per innalzare lamenti, ma è che questo è uno dei campi dove un buon editor può fare moltissimo (laddove non lo abbiano fatto prima lo studio e la lettura)
febbraio 23, 2012 alle 11:56 am |
Leggevo delle statisriche qualche tempo fa. Il vocabolario medio dell’italiano medio si è ridotto a circa 300 termini. Togli “cazzo-figa-culo-tette”, togli “calcio-rigore-arbitrocornuto”, e temo non rimanga granché. Che la parola scritta segua a ruota è una brutta sorpresa, ma avremmo dovuto aspettarcela. Se vuoi entrare in contatto con qualcuno devi intercettare il suo linguaggio.
febbraio 23, 2012 alle 1:00 PM |
Già adesso e nel passato recente si sono visti testi privi di editing e si è anche affermato che prima veniva la sponsorizzazione, poi se il libro aveva buoni riscontri di vendite, nelle pubblicazioni successive si sarebbe fatto il lavoro sul testo.
Queste sono le parole di un’addetta ai lavori di Casini Editore, Sara Deodati, sul romanzo Amon (estratto da un intervento su FM http://www.fantasymagazine.it/forum/viewtopic.php?t=15373 ): “L’ideale è avere un livello ottimo su tutti gli aspetti del prodotto, ma non sempre se ne ha la possibilità. Per quanto riguarda il primo volume della saga di amon, abbiamo scelto di impiegare più risorse sulla promozione per lanciare in maniera importante la serie, per poi dedicarci molto di più agli aspetti intrinsechi del testo nei volumi seguenti, partendo già da un numero di lettori piuttosto elevato. Sono strategie che ogni casa editrice fa per ogni volume: il primo obiettivo lo abbiamo raggiunto. Se il secondo volume piacerà anche a coloro che hanno aspettative più alte, come alcuni di voi, allora tutto sarà andato nel modo migliore. Altrimenti avremo sbagliato qualcosa e ne faremo tesoro per il futuro!”
Senza qualità il prodotto si brucia e non si ha futuro.
febbraio 23, 2012 alle 6:38 PM |
Andiamo bene. Almeno, comunque, lo hanno detto. Mi sarei risparmiata l’affermazione secondo la quale ogni casa editrice fa la stessa cosa. Non è vero, non per tutte, e non sempre.
febbraio 24, 2012 alle 2:29 PM |
[…] scanso di equivoci, prima di inciampare soffocando nel mio vomito, andate a leggervi questo e questo dal blog di Lara Manni – a proposito il 17 febbraio è uscito il suo Tanit e no non […]
ottobre 10, 2013 alle 6:12 PM |
[…] scanso di equivoci, prima di inciampare soffocando nel mio vomito, andate a leggervi questo e questo dal blog di Lara Manni – a proposito il 17 febbraio è uscito il suo Tanit e no non […]