Mala tempora

Scrivere secondo lo spirito del tempo o essere lo spirito del tempo? La riflessione non è una parentesi rispetto a quanto ho scritto negli ultimi post: ne è, probabilmente, la conseguenza pratica.
Dunque, su Repubblica di oggi, lo scrittore Pierdomenico Baccalario immagina il futuro della lettura e dell’editoria nel 2020. E dice:

“Già oggi, senza aspettare il 2020, gli scrittori cominciano a sognare di liberarsi dei loro editori leggendo le imprese di Joe Konrath, che guadagna migliaia di dollari al mese grazie ai thriller che si è pubblicato da solo sul Kindle Store di Amazon. Ma un maggiore accesso al pubblico non significa maggiore libertà editoriale, anzi: a dominarla saranno le mode e le forze di gravità sociale di Internet, che già oggi ci portano a selezionare i contenuti affidandoci a indicatori di gradimento puramente quantitativi (da cui le classifiche, i “mi piace”, e la ricerca di consenso). Pensate a John Greene, un giovane autore che ha visto il suo libro finire in testa alle classifiche prima ancora di essere pubblicato grazie al suo social network di amicizie. Gli scrittori giocheranno a fare marketing, raggruppando intorno a sé i professionisti necessari per creare un buon libro: editor e correttori di bozze, illustratori per le copertine digitali, traduttori per le lingue straniere. Solo che non tutti avranno il bernoccolo dell´imprenditore o l´umiltà necessaria per sorbirsi i rimproveri di un editor che stanno stipendiando. Qualcuno farà flop. E gli editori? Saranno tornati a fare il loro mestiere: non più esperti di distribuzione e di movimentazione dei cataloghi, ma selezionatori di buone storie. Le loro etichette serviranno da bussola per orientarsi tra le infinite scelte a disposizione. Perché alla fine sarà il nostro istinto di lettori, solleticato da questo ribollire di stimoli, a determinare il futuro dell´editoria”.

Scenario inquietante, soprattutto per quanto riguarda la faccenda della popolarità autoindotta dello scrittore. Perché una cosa è stare in rete e  dialogare con i lettori e con gli altri scrittori: un’altra è essere gradevoli, simpatici, astuti e piacevoli (e magari anche di bell’aspetto, mi voglio rovinare) come condizione per poter vendere un libro.  E’ vero, accade già. Ma teorizzarlo mi spaventa, ma prevederlo mi fa ancora più paura. Lo scrittore che  fa marketing di se stesso è un’immagine spaventevole, a mio modestissimo avviso: lo scrittore deve scrivere buone storie, non trovare il modo di pubblicizzarle diventando personaggio e suscitando simpatie. Non è il suo lavoro, non è il suo patto con il lettore e prima ancora con se stesso. E poi, non sembrava che il mondo dei furbetti stesse crollando?
(Qui mi rispondo da sola: no, quel castello non crolla. E ci sta. Quello che non ci sta è far prevalere il personaggio sul testo.  Questa non è una previsione: è un distopian fatto e finito).

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16 Risposte to “Mala tempora”

  1. Autori che si promuovono da sé? Non Editour? Ahiahiahi! | Pagine di Fabrizio Valenza Says:

    […] Si sta diffondendo in queste ore una piccola (per il momento) polemica riguardante un articolo di Pierdomenico Baccalario sul quotidiano Repubblica di oggi, nel quale ipotizza la realtà editoriale del 2020, dove sarà lo scrittore personaggio autoprodotto a scalare le classifiche con un marketing autogestito. Insomma, uno scenario deprimente e sinistro, come giustamente nota Lara Manni. […]

  2. pierdomenico Says:

    Ciao,
    mi hanno segnalato il tuo intervento e vorrei ringraziarti per il commento. La parola chiave dell’articolo è “giocheranno”: ovvero molti scrittori lo faranno per auto-convinzione e senza le necessarie capacità (che secondo me sono invece appannaggio degli editori). L’innesto di auto-produzione e promozione degli scrittori nel tessuto editoriale, da altri segnalato come una rivoluzione democratica, è secondo me potenzialmente dannoso. Ma temo che ci aspetterà esattamente questo: un grande rumore di fondo, valanghe di scrittori a fiammata e tante momentanee calamite. E’ ovvio che tra loro si nasconderanno anche i bravi, che usciranno (sono ottimista) per la bontà delle loro storie. Che è esattamente il nocciolo della questione: non solo fare del proprio meglio per scrivere buoni romanzi, ma anche accorgersene e parlarne tra gli appassionati. Tutti responsabili, quindi, della salvezza delle storie degne di essere salvate. Un caro saluto.

  3. Lara Manni Says:

    Ciao Pierdomenico, grazie del chiarimento. Dunque, il tuo è uno scenario temuto: non avevo capito questo passaggio. Il problema della promozione, ad ogni modo, esiste: discutevo su Facebook, ieri sera, con diversi scrittori e lettori. Alcuni sostengono che l’autopromozione sia necessaria: ma temo sia quasi impossibile, oggi, realizzarla in un momento in cui quasi tutti la praticano. Un amico mi faceva un esempio preso dal mondo musicale: se dieci anni fa una band poteva sperare di farsi conoscere inviando un cd, e più tardi un mp3, oggi anche le etichette più indipendenti sono sommerse dalle mail e non riescono a seguire tutte le richieste. Idem per quanto riguarda i destinatari, gli ascoltatori, o i lettori.
    E qui vengo alla questione del “parlarne fra gli appassionati”. Il passaparola “virtuoso”, quello che si riferisce ai buoni romanzi, mi sembra ugualmente cosa difficile, in questo momento. Dove? Su aNobii, dove è difficilissimo districarsi, ormai? Su quale blog-sito-portale?
    Io, al momento sono pessimista.
    Un caro saluto a te, e grazie per aver sollevato la questione.

  4. M.T. Says:

    Scrittore manager di se stesso? Forse sbaglierò ma questa è l’arte che si piega all’economia. L’ennesimo colpo del consumismo che uccide la letteratura: puro materialismo, si perde lo spirito originario.
    Condivido i dubbi di Lara: c’è veramente troppa roba in giro. E il troppo soffoca.

  5. Hersilius Klein Says:

    La comunicazione nel web diventa orizzontale. Questo cambia le regole. Il primo risultato è la rottura di schemi prefabbricati, di un sistema fatto di spazi limitati, occupati in base a criteri di potere e gestiti in modo che definire nepostistico è a volte un triste eufemismo. Dai premi letterari fino agli spazi in libreria il peso dell’editore conta molto di più della qualità dell’opera. In internet questo vale meno, come confermano le classifiche di vendita degli ebook che vedono ai vertici piccoli e medi editori che mai avrebbero potuto sognare di arrivare più in alto dei colossi nostrani. Perché in un contesto che sposta la propria attenzione verso la rete, come principale canale di approvvigionamento  culturale, gli spazi non essendo più limitati non consentono più quel tipo di gestione. È meglio una piazza in cui tutti parlano, per quanto rumorosa possa essere, in cui essere liberi di ascoltare chiunque, di un vicoletto in cui per parlare c’è bisogno della tessera di un club. E poi, lo scrittore di bell’aspetto che fa marketing da sé esiste da un pezzo, grazie alla televisione. Il web, semmai, tenderà a ridimensionare questo aspetto. 

  6. Lara Manni Says:

    Hersilius, teoricamente sono d’accordo con te, in pieno. Frequentando il web da un po’, penso che sul piano pratico le cose non siano così rosee, invece. Provo a spiegare perché.
    1) Non mi convince il discorso delle caste e del potere. Non perché non esistano, ma perchè non è ovunque, sempre e per tutti così. Istigare “dalli al raccomandato” è una semplificazione, e spesso un’autogratificazione (eh, dal momento che IO non sono raccomandato questo è il motivo per cui ecc.ecc.: il che permette di non dirsi mai che, forse, il proprio testo non è precisamente un capolavoro. Perché capita anche questo).
    2) Dei premi letterari me ne infischio. Nel momento stesso in cui si scrive genere, si accetta di essere comunque tagliati fuori dalle elette schiere. Amen.
    3) I gruppi di potere esistono anche in rete, sorpresa. Su cosa si basano? Sulla facilità con cui possono far leva su quello che King chiama “il senso della folla”. E non aggiungo altro, se non che non sono disposta a usare lo stesso metodo per vendere un quarto di copia in più.
    4) La piazza dove tutti parlano è una delle mie utopie: purchè non si trasformi nel palcoscenico di un reality o nel luogo di un’esecuzione.

  7. Hersilius Klein Says:

    Scusa Lara ma ridurre la questione degli spazi e della loro gestione a un discorso di presunte invidie personali lo trovo un po’ miope. Stavamo parlando del web e di come il digitale sta cambiando la scena. Bookrepublic ha pubblicato i dati degli ebook più venduti sul portale. Il maggior numero di download lo hanno registrato i libri pubblicati da 40k, che ha superato la Mondadori. Fuori dal web sarebbe stato possibile per una piccola casa editrice sorpassare un colosso come quello di Segrate? Non credo, proprio per le posizioni di dominio dalle rubriche dei giornali, ai premi (che contano molto in termini di vendite, promozione, visibilità e ristampe) fino alla disposizione dei libri negli scaffali delle librerie. Questo non vuol dire che internet sia immune dai potentati, ma che in internet può diventare un potentato anche un semplice blog, che guadagna lettori non perché tizio decide che caio potrà occupare quello spazio, ma perché chi scrive in quel blog sa di cosa parla e si guadagna la referenzialità che i suoi lettori gli riconoscono. E mentre altri ambiti possono diventare luoghi di esecuzioni (in varie forme che comprendono anche l’ostracismo), la rete è forse l’unico in cui questo non avviene, proprio perché gli strumenti del confronto sono accessibili a tutti. 

  8. Lara Manni Says:

    Non mi sembra di aver ridotto la questione all’invidia, nè di aver mai pronunciato questa parola (piuttosto, sembra che si vada in automatico quando si attribuisce a chi è pubblicato questo atteggiamento nei confronti degli altri, e non è vero). Ho detto, semmai, che non è sempre e necessariamente reale che l’editoria sia divisa in caste. Esistono editori medio-piccoli che non ne fanno parte, e anche all’interno delle mega-corazzate esistono degli spazi di autonomia.
    Questo, senza nulla togliere al grande lavoro che stanno facendo 40k e Bookrepublic. Di più: sono anche io del parere che case editrici piccole e agili agiscano ora e agiranno molto meglio nell’ambito del digitale rispetto alle grandi che, a quanto intuisco, non hanno compreso che cosa hanno per le mani, e forse non lo comprenderanno mai.
    Però è un errore, a mio umilissimo parere, dire che tutto il cartaceo è fatto di potentati. Una casa editrice nanoscopica ha pubblicato Hertha Muller, un premio Nobel. Un’altra casa editrice nanoscopica ha pubblicato Indignatevi ed è finita in classifica. Non mi piacciono le semplificazioni, non mi piace il “noi buoni vuoi corrotti”, questo intendevo dire. Perchè nei due ambiti esistono milioni di sfumature di cui occorre tenere conto.
    Inclusa la possibilità che per essere autorevoli in rete le strade siano molte: dalla serietà con cui si trattano gli argomenti alla condiscendenza verso l’istinto della folla. Come vedi, non esiste solo il bianco e solo il nero, nè la rete è immune dall’ostracismo.

  9. Hersilius Klein Says:

    Citavi l’istigazione “Dalli al raccomandato” da parte di chi non riesce a farsi pubblicare. Io ho tradotto “invidia” e non credo che siano solo gli invidiosi a condividere una visione non del tutto entusiasta del mondo editoriale. Per questo l’atteggiamento con il quale in molti guardano ai cambiamenti indotti dal digitale è di segno esattamente opposto al tuo, che ti definisci “pessimista”. Ma ti assicuro: non abbiamo tutti problemi di bicromia. Io credo che gli spazi di libertà che consente internet siano un valore che nessun altro media garantisce in questa dimensione. E questo vale molto. Abbastanza per digerire persino quella che definisci “l’immagine spaventevole” di uno scrittore che si promuove per conto proprio. Che poi è una cosa che gli scrittori, almeno in una certa fase della loro carriera, hanno sempre fatto. Sull’ostracismo in rete poi non capisco: uno può essere escluso da un sito, da un circuito di siti, ma può comunque ritagliarsi i propri spazi. Il prezzo da pagare è mettersi in discussione. Chi non è disposto a farlo si esclude da solo. 

  10. Lara Manni Says:

    Non ci capiamo, e probabilmente non riesco a spiegarmi. Non mi sembra di aver mai nascosto, in questo blog, una visione più che pessimista del mondo editoriale. Questo, però, non mi porta a vedere il sol dell’avvenire in rete: pur se nella rete credo, nella rete vivo, nella rete lavoro. Cerco di evitare di vedere tutto rosa o tutto nero.
    E’ vero, Internet garantisce enormi spazi di libertà: bisogna vedere come vengono usati, però.
    Quanto all’autopromozione: una cosa è promuovere UN TESTO, una cosa è promuovere SE STESSI. Intendo: la propria immagine amabile, amichevole, piacevole e bla bla. Sono due cose estremamente diverse.
    Quanto al mettersi in discussione: non capisco dove vuoi andare a parare, e sospetto un pizzichino di pregiudizio (oh, ecco la solita scrittrice che non vuole essere criticata, come tutti quei brutti presuntuosi). Essere in rete E’ mettersi in discussione. Dialogare, come sto facendo ora, con persone che hanno opinioni diverse dalla mia E’ mettersi in discussione. C’è un confine, però, fra mettersi in discussione e diventare un bersaglio che ho sottolineato altre volte, in altri post, e che non può essere negato.
    Il prezzo da pagare, per essere in rete, e va pagato da tutti, per me è un altro: responsabilità.
    Sicuramente meno divertente,a mio parere più importante. Per quel che conta, eh.

  11. Lara Manni Says:

    Peraltro, Hersilius, ho dato un’occhiata a Goodthing e mi rendo conto che le nostre posizioni non sono affatto distanti. Però per essere vincente, la rete deve adottare buone pratiche, pratiche di responsabilità (e i Wu Ming che citi ne sono un esempio perfetto), appunto. La mia osservazione, dall’interno, è tesa solo a sottolineare che non è automaticamente così. 🙂

  12. Hersilius Klein Says:

    Al contrario, mi sembra che la discussione sia molto chiara. Hai intitolato questo post “mala tempora”, hai definito “spaventevole” l’immagine di uno scrittore che promuove se stesso e descrivendo lo scenario digitale ti sei definita “pessimista”. Io sono di un parere opposto. Secondo me l’avvento del digitale porta aria nuova e assolutamente benefica, trovo apprezzabile un autore che si mette in gioco e presenta il proprio lavoro in internet dove il popolo dei lettori può rispondergli e interloquire con lui (anche a rischio di qualche troll). Preferisco questo scenario agli scrittori ospiti di talk show che fanno l’occhiolino al pubblico (in tv promuovono sé stessi o l’opera?), usufruendo di inviti che sono in buona parte veicolati dalle case editrici più forti (il tema della gestione degli spazi). Questo non vuol dire vedere le cose in due colori, vuol dire guardare con ottimismo (good thing) ai cambiamenti che il digitale sta portando con sé, nonostante le storture e le crepe che sono in ogni cosa. Comunque, benvenuta su goodthing, spero che tornerai a farci visita. See you later. 

  13. Lara Manni Says:

    Sai qual è il problema? Che entrambe partiamo da esperienze diverse, e la diversità delle medesime fa sì che continuiamo a non capirci. Sì, è vero, trovo spaventevole l’immagine di uno scrittore – e lo ripeto – che si mostra non disponibile, non amichevole, non pronto a discutere, ma – passami la parola – RUFFIANO nei confronti dei propri lettori. Che li lecca e li adula e fa la fusa come fino a dieci minuti prima ha fatto con un direttore editoriale. Trovo spaventevole la furbizia. Perchè una cosa è ragionare INSIEME ai lettori, da undici anni, come hanno fatto i Wu Ming (che pure, giustamente, sbarrano la strada ai troll). Un’altra è dire “carissimi, vi amo, credo in voi, meno tasse per tutti”. Forse, ora, sono stata più chiara, a rischio di sembrarti ingenua e utopista.
    Sai qual è il mio pessimismo? E’ che quegli scrittori che fanno l’occhiolino si stanno moltiplicando per mille: e, a volte, il risultato è “ehi, ma quanto è simpatico XY, ma quanto è ironico, lo mandi a fare in culo e lui ride”. E i testi? Ripeto, non mi interessa se XY fa spanciare dalle risate. Mi interessa come scrive.
    Ciò detto: non sono ancorata alla carta. Mi interessa molto il digitale. Mi fanno paura molti esseri umani – specialmente in questo paese e specialmente nell’attuale clima di questo paese – che agiscono nello stesso. Spero di essere stata chiara, stavolta, e di non essere annoverata fra i luddisti 🙂

  14. In_mezzo_alla_segale Says:

    Non mi fido dell’essere umano, soprattutto quando ci sono di mezzo i soldi. Perché l’e-book dovrebbe cambiare le cose? Non è mica una bacchetta magica, dietro ci sono sempre uomini. Ci vorrà un po’ per andare a regime, ma poi si ripeteranno gli stessi meccanismi.

    Gli autori che fanno i piacioni in TV lo faranno anche sul web. Anzi, potranno permettersi di farlo molto di più. I grandi editori avranno sempre più fondi dei piccoli, e li faranno pesare. Pensate se la Mondadori (giusto per non far nomi) rinunciasse del tutto alla distribuzione e dirottasse tutte quelle risorse sulla promozione degli e-book: come potrebbero controbattere i piccoli editori?

    Tra… diciamo dieci anni, quando gli e-book avranno preso piede anche in Italia e il marasma si sarà assestato, cosa pensate che vedremo? I giganti si saranno spartiti il mercato e ci bombarderanno di pubblicità; i piccoli torneranno a essere di nicchia; lo scrittore one-man-band, che s’impagina, si corregge, si produce e si promuove da solo avrà la sua corte dei miracoli di qualche centinaio di apostoli che lo adoreranno, spargeranno il verbo e passeranno da un flame all’altro.

    Nel mezzo ci saranno, spero, tanti che avranno continuato a fare il loro mestiere seriamente, supportati da professionisti, e scriveranno sempre belle storie con un linguaggio all’altezza. A quel punto, carta o bit poco importa.

  15. Lara Manni Says:

    Ci sono un paio di cose che vorrei dire sull’eBook, a costo di veder arrivare qui le truppe cammellate. Sono sinceramente stupita da tutti coloro che presentano l’avvento del libro digitale come l’arrivo del fratello maggiore buonissimo che finalmente farà giustizia di tutte le esclusioni e dichiarerà la morte delle caste dei pubblicati.
    Caste? Ma quali caste? Si pubblicano CENTOSESSANTA novità AL GIORNO. Alla facciaccia della casta. Si pubblica molto, molto più di quanto non si legga. E questo è il primo punto.
    Secondo punto. Lo scenario più probabile, nel momento in cui la pubblicazione diventa indiscriminata, è la creazione di un nuovo “classismo”: da una parte i cartacei, dall’altra il mare magnum dei digitali. Indistinto. Forse che i grandi editori hanno dimostrato, fin qui, di voler affidare all’eBook i libri su cui puntano? Au contraire: relegano proprio quelli in cui NON credono al digitale. Ma ci sono i piccoli, ma ci sono i medi!, si dirà. Benone. Aspettiamoli alla prova. Perché da quello che sto leggendo in rete, di questi tempi, c’è la caccia dei piccolissimi all’esordiente, quasi come le EAP. Esordiente senza editing, senza cura, allo sbaraglio, blandito come genio incompreso.
    Poi c’è Amazon, appunto. Benone. Posso esprimere i miei dubbi sul fatto che esista un soggetto che detiene il monopolio di distribuzione e pubblicazione, o farlo è leso ottimismo?
    Oltretutto, fin qui, in Italia, parliamo di cifre minime quanto a diffusione e lettura degli eBook.
    Come dice Wu Ming 1 in una interessantissima discussione da Buoni Presagi: “tutte le notizie trionfalistiche che abbiamo su Amazon che stravende gli ebook come fossero cornetti caldi… le abbiamo da Amazon, che produce e vende il Kindle. Per carità, non dico che siano notizie inverosimili, ma nessuno ha la possibilità di verificare, e Amazon non fornisce cifre.”
    La discussione, davvero da seguire, è qui:

    Di ebook, copyleft e formati

  16. Born to be eat | Il Sito Ufficiale di Francesco Falconi Says:

    […] parlava tempo fa anche Lara Manni. La trasformazione dello scrittore è così vicina? Anche noi, quindi, dobbiamo cadere in un […]

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