Se King non entra in classifica

Facciamo una premessa: delle classifiche di Amazon, al momento, mi fido poco.  Basta un minimo spostamento di vendite e si possono scambiare per best-seller titoli che sono stati acquistati, in quel giorno, da due persone. Per non parlare degli eBook.
Facciamone due: la classifica Nielsen risulta prevedibile, con un’eccezione, quella di Wisława Szymborska al primo posto (effetto Saviano più effetto Fazio congiunti, immagino).  E dunque amore-zucchero-cannella-camilleri-schiappa-volo- dieta-anche illustrata.
Detto questo, vi siete accorti che 22/11/63 non è praticamente entrato nella classifica del dieci libri più venduti? E che, nelle parti alte delle classifiche, è rimasto pochissimo?
Questo, nonostante si tratti del romanzo di King fra i più celebrati dalla critica statunitense, e decisamente fra i più belli che abbia scritto. Questione di promozione? Anche. Di certo, Sperling&Kupfer sembra essersi mossa molto più per Damned di Claudia Palumbo che per il suo storico cavallo di battaglia. Questione di costi? Avviene quel che si era previsto, ovvero che è il prezzo di copertina a determinare il successo di un libro e non il contenuto? Damned costa 15,90 euro. 22/11/63 ne costa 23,90. Otto in più. Certo, può fare la differenza.
Però, però, però.
Uno sguardo a questi dati ci fa vedere che il mercato dei paperback “massmarket” è precipitato: meno 41% è la differenza di vendita fra dicembre 2011 e dicembre 2010. Quanto costa un paperback?  Un libro della Kinsella in versione massmarket paperback si trova su Amazon a 7,99 dollari. Allora, è una questione di prezzo? Anche, certo, indubbiamente. Una questione di promozione? Poco ma sicuro. Una questione (nel caso della Kinsella) di saturazione? Può darsi.
Ma non basta ancora.
Ho molte domande e pochissime risposte. La più scontata è che si vada non verso il felice ritorno del romanzo di intrattenimento a prezzo basso: come pure, in un bell’intervento su Carmilla, scrive Marcello Simoni. Ma che si proceda alla cieca, investendo a caso e sbagliando politica dei prezzi (23 euro per King sono, obiettivamente, una follia). Come se ne esce?
Non solo con gli eBook, a mio parere.  Forse, con un soprassalto d’orgoglio da parte di chi fa l’editore. Forse.

 

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83 Risposte to “Se King non entra in classifica”

  1. Caterina Says:

    Per una volta ne vedrei una questione di immagine più che di tempo. Nel senso che King è stato mostruosamente letto (da tutti, ma proprio da tutti) in un momento storico che è finito, letteralmente finito, col suo incidente… quasi mortale.
    Da lì la china, discendente, dei suoi romanzi. Alla Sperling hanno avuto un mezzo colpo, dopo aver pagato fior di quattrini di anticipo per 3 romanzi (al buio) ed essersi ritrovati con 2 romanzi e un saggio (On Writing), che, per le loro aspettative di vendita, è stato un flop.
    E diciamocelo (da fan di King), il Re ha avuto un grosso passaggio a vuoto, con romanzi che non hanno fatto parlare, non hanno smosso animi, e hanno creato malcontento. Parlo di The Dome, Cell, etc etc.
    I veri fan (i puristi) son rimasti, ma la massa è andata persa.
    E ora il Re è tornato (come citavano tutti i giornaloni americani, compreso la mia bibbia il New Yorker), ma il pubblico ancora non lo ha scoperto.
    I librai (che negli ultimi anni han restituito più rese di Stephen King che dei libri di cucina di Suor Germana), all’ennesimo romanzo (22/11/63), han storto il naso… perché loro non lo sapevano che il Re era tornato… l’avevan visto nudo per troppi anni.

    Insomma a mio parere, nonostante la critica positivissima, il 10 in pagella del Corsera, il passaparola e tutto il resto, King non ha ancora risalito la sua persona china da autore di successi sicuri ad autore di romanzi mediocri (passaggio a vuoto ripeto)…

    Tornerà quello che è, spero, torni anche in classifica, perché questo romanzo lo merita, è un piccolo capolavoro, uno dei suoi.

    Forse in questo caso, il prezzo è stata la causa prima… Forse… speriamo….

  2. Lara Manni Says:

    Non concordo in nulla 🙂
    A mio parere, quella che è stata definita china discendente è semmai una crescita di King. Romanzi come La storia di Lisey o Duma Key (per citarne due) sono stilisticamente molto più maturi dei precedenti. Come mai questo in italia non è stato recepito? Come mai si continua a spingerlo come “re dell’horror” e non come il grande scrittore che è?
    E come mai non si riesce a far passare ai librai un messaggio semplicissimo? Io non ci credo, allo strapotere del libraio. Credo, invece, a scelte della casa editrice che preferiscono spingere sull’ennesimo paranormal con vampiri (perché questo vuole il pubblico: ma davvero? ma è questo il ruolo dell’editore?). E non aver saputo “monetizzare” On Writing, che è uno dei migliori saggi sulla scrittura esistenti, è forse colpa di King?
    No, proprio no.

  3. Paolo E Says:

    Io posso dare spiegazioni da semplice lettore, se possono servire. E due effetti che mi spingono a non leggere l’ultimo di King li identifico molto bene.

    Negli anni novanta e nei primi anni duemila King ne ho letto a tonnellate: a parte “Il miglio verde” che tratta di un argomento difficilissimo ed è un tale capolavoro che fa storia a se, semplicemente sono stufo di sentir parlare della middle class americana. E’ il mio paese che è in crisi di civiltà molto più che economica; è il mio paese che non capisco più e dove mi sento uno straniero: quindi è del mio paese che voglio leggere e non di Bangor, Maine. Società che peraltro in crisi non è per niente e che i suoi orrori invece che nasconderli li esibisce quasi con compiacimento.

    La seconda motivazione è che faccio fatica per ragioni di tempo a lleggere più di venti-ventiicinque libri l’anno, e quindi per forza di cose devo scegliere. Considerando che di King ho letto già sette-otto romanzi e che ci sono tantissimi altri autori anche italiani che meritano la mia attenzione, voglio variare. E poi, non me ne voglia Lara, per un lettore che non ha la sensibilità di uno scrittore per di più horror (e che quindi conosce il genere molto meglio di me), i libri di King davvero cominciano a sembrare tutti uguali. Anche se visto il suo talento immenso resiste meglio all’effetto macchina-di-salsicce rispetto, che so, a Clive Cussler.

    La terza ragione è il vile denaro. Io ventitre euro per un libro davvero faccio fatica a permettermeli. Specialmente se nella stessa libreria trovo “La macchia umana” di Philip Roth che secondo me è un altro capolavoro in offerta in edizione economica a SEI*EURO*SEI.

  4. Paolo E Says:

    Volevo dire “due o tre effetti” 🙂

  5. Lara Manni Says:

    E questa è una legittima scelta di lettore, Paolo. Posso dire però che il Maine immaginario di King è tutt’altro che localista, e molto, molto universale (e anche in profonda crisi economica, peraltro). Sul prezzo, ho già scritto che è una follia.

  6. In_mezzo_alla_segale Says:

    Forse è solo questione di gusti, ma non mi pare che King, dopo il botto, non abbia prodotto niente di pregevole.
    Colorado kid è passato sotto silenzio, ma per me è tosto assai, e mi sa che verrà apprezzato di più tra dieci anni che non adesso.
    La storia di Lisey non mi ha convinto del tutto, ma non è tra i peggiori.
    Duma Key e The dome sono a mio parere all’altezza del King pre-botto: magnifici, entrambi.

    Conosco kinghiani che hanno odiato Colorado kid, ma hanno amato alla follia La storia di Lisey, apprezzato almeno uno tra Duma Key e The dome, ma mi sembrano tutti concordi nel dire che zio Stephen ha ancora birra da spillare.

    La mia impressione è che il prezzo esorbitante di 24 € per 22/11/63 c’entri parecchio. Mi sembra irresponsabile per un editore spremere così il suo autore di punta, soprattutto in un periodo in cui si sta attenti anche al mezz’Euro.
    E poi… forse dico una boiata… ma secondo me, sulla lunghissima distanza King sta patendo di quest’inutile etichetta di Re dell’Horror. Mi sembra evidente che un autore così abbia travalicato i generi, li abbia mescolati, frullati, cambiati. Incasellarlo nell’horror fa comodo all’editore, non certo a lui.
    E allora possiamo dirlo? È l’editore che non è in grado di maneggiare un fenomeno epocale come King.

    PS – Funzionano anche nei commenti i tag HTML?
    Prova
    Prova
    Prova

  7. Caterina Says:

    Contenta di avere pareri differenti (e grazie a Dio in un mondo che ha fatto dell’uniformità la legge) :).
    Per il resto, accetto al 1000% (in barba alla matematica) il tuo apprezzamento di libri che io, pur avendo letto, non ho amato. Anche se concordo sulla maturità stilistica, li ho trovati drammaticamente privi di anima. Ma, come ho detto prima, per fortuna i lettori (tu ed io in questo caso), hanno gusti e pareri differenti sui medesimi libri.
    Per il resto, purtroppo devo dissentire sul potere dei librai. Ho visto titoli bellissimi profondamente sostenuti dalle case editrici (tra tutti, molti libri eccezionali di autori scandinavi, che, per anni relegati in cantina, hanno visto la luce solo dopo il successo della trilogia Millennium), caldamente e animatamente promossi da editor innamorati di stile, ambientazioni, storie che davvero valeva la pena di leggere, respinti con la stessa convinzione, da una forza vendita e da una serie di librai profondamente convinti che “gli svedesi non vendono…”.
    Poi ogni libro è storia a sé, però davvero, nel grande gioco, c’è un ruolo reale dei “distributori”… come in ogni marketing mix

    • Lara Manni Says:

      E’ vero, Caterina. Però se un promotore spinge, e decide di spingere fino in fondo, il libraio se lo piglia, prima o poi. Almeno, da quel che nel mio piccolo so. Il problema è che, nel caso di King, Sperling non ha spinto. Non nel modo giusto. Basta studiare le campagne promozionali fatte per il romanzo di King e per Damned, ripeto.

  8. Lara Manni Says:

    Concordo in pieno con In mezzo alla segale. Io sono fra quelli che ha amato Colorado Kid e lo ha trovato un esperimento geniale: per conoscitori compulsivi di King, certo. Ma geniale. Quanto all’etichetta: temo che sia cecità continuare a definire horror la produzione kinghiana. 22/11/63 (ma anche The Dome) non hanno nulla dell’horror. Ammesso che King, produzione precedente inclusa, si possa a pieno titolo inserire nel genere.

  9. Davide Malesi Says:

    Quando provo a leggere i libri che scrive King ora, mi sembra terribilmente vecchio.

    E dire che sono stato, per anni, un suo fan. Credo di aver letto, nel tempo, una dozzina di romanzi suoi più “On Writing”. E considero “La lunga marcia” e “L’uomo in fuga” due capolavori tout court. Così come “L’ombra dello scorpione”, a suo tempo, l’ho riletto diverse volte.

    Ma se apro un suo romanzo – di quelli che scrive oggi – mi annoia. E non è nemmeno un problema di traduzione: anzi, “22/11/63” tradotto da Wu Ming 1 beneficia di un lavoro di traduzione assai migliore dei libri suoi che leggevo vent’anni fa.

    Oggi se cerco una narrazione in cui si intreccino componenti di mistero, orrore, thrilling – e che sia sintonizzata sulle angosce, le paure del nostro tempo – piuttosto che prendere in mano i libri che King scrive attualmente, preferisco vedere una puntata di “Fringe”. Lì, davvero, c’è quella capacità di ricostruire lo zeitgeist di un’epoca, attraverso il genere (anzi, la mescolanza di generi) che in King non sento più.

    Tutto questo IMHO ovviamente.

  10. Lara Manni Says:

    Per intenderci, lungi da me l’idea di sindacare sul gusto dei lettori. Ma quello che scrive Davide mi conferma che, essendo mutata la scrittura di King (imho, non la sua capacità di restituire lo zeitgeist: bastino i soli quattro racconti di Notte buia, niente stelle), è insensato continuare a proporlo come se fosse ancora l’autore delle Notti di Salem.

  11. In_mezzo_alla_segale Says:

    Nella triade malefica editore-distributore-libraio si passano l’un l’altro il cerino acceso, ma a rimanere con le dita scottate, chissà perché, è il lettore. Non so dove stia la verità, forse da nessuna parte, ma una cosa mi sembra evidente: se nella trimurti ognuno rema in una direzione diversa, c’è qualcosa che non va. Lo scopo dovrebbe essere comune: vendere roba buona e guadagnarci su. O no?

    Forse Colorado kid non è soltanto per drogati di King. Mi sembra che sia un esperimento interessante per qualunque lettore curioso. Tra tutti i blablatori che teorizzano sui canoni della scrittura, zio Stephen ha buttato lì una bella pietra angolare. Ha disossato il romanzo, l’ha privato della sua struttura tradizionale. Eppure la storia regge, e non è nemmeno pura accademia.
    È vero che, conoscendo King, è quasi il punto d’arrivo logico di una parabola annunciata da lustri, con tutti i discorsi sul piacere del cammino insieme eccetera eccetera, ma sono convinto che Colorado kid verrà riscoperto anche da non-kingofili.

    PS – A chi dovesse interessare: nei commenti funzionano solo alcuni tag HTML, se inseriti a mano: italico e bold di sicuro, underscore no.

  12. Lara Manni Says:

    Su Colorado Kid consiglio questa splendida recensione di Wu Ming:
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa9.htm#coloradokid

    Ps. A me interessa ma non so come porre rimedio 😦

  13. Samuele Giacomella Says:

    Secondo me tutte le opinioni hanno qualcosa di valido ma non prendono in considerazione la totalità dell’analisi di Lara. Un editore ha come obiettivo quello di monetizzare il più possibile i libri che propone: pubblicizzando, curandone l’edizione, proponendo un prezzo adeguato.

    Purtroppo Sperling (come la quasi totalità di altre case editrici e non solo di libri) sta seguendo l’onda lunga del successo mondiale di Twilight e non dimentica mai di strizzare l’occhio alle mode del periodo come diete, problem solving, ricerca dell’autostima. In tutto ciò non troverei nulla di sbagliato se non fosse per il fatto che questo sta andando a discapito della narrativa dei grandi autori o, meglio, le politiche editoriali li stanno lasciando indietro.

    Cerco di spiegarmi: la stessa casa editrice ha pubblicato e pubblicizzato brutalmente “Damned” (prendo solo l’ultimo esempio non me ne voglia Chiara Palumbo), un romanzo di una nuova autrice sul quale si è avuto il coraggio di puntare. Il prodotto è tuttavia mediocre a livello qualitativo e gli scafati editors della Sperling lo sanno e quindi hanno invaso il mercato di pubblicità con una campagna virale e quanto mai fruttifera. A ciò ha contribuito un prezzo sensato per un’autrice emergente e per un libro che avrebbe potuto cadere nel limbo delle opere “ispirate a”.

    Tutto ciò invece non è stato fatto per King, autore di punta (insieme alla fin troppo prolifica Danielle Steel) della Sperling. Nelle librerie è arrivato quasi in sordina se non in alcune di grossa portata, la visibilità che gli è stata data a livello nazionale non è stata in grado di eguagliare quella internazionale e si è lasciato che fosse il nome del solo autore a costituire la totalità della pubblicità. Da qui ne è derivato, a mio avviso, anche il prezzo esorbitante in quanto il mercato a cui ci si voleva rivolgere è rimasto unicamente quello dei fan di Mr. King.

    Purtroppo gli ultimi romanzi del Re non hanno riscosso il successo di critica che ci si attendeva e hanno fatto molto discutere libri come Duma Key, La storia di Lisey e The Dome. Ciò non significa che siano libri da buttare o scritti in serie (come i 3-4 all’anno della succitata Steel che però tanto piace proprio per questo), semplicemente hanno diviso il pubblico che ha trovato uno scrittore di solida affidabilità che ha iniziato un percorso di ricerca e approfondimento del proprio stile. Può non piacere ma è un passaggio obbligato per arrivare a produrre opere di livello. King c’ha messo 3 romanzi ed una raccolta e poi è arrivato 22/11/’63.

    Forse questo percorso evolutivo non è stato notato in Sperling e l’ultima opera è arrivata da noi quasi in sordina o, meglio, alla stregua di un qualsiasi altro romanzo. Ecco quindi che nella classifica delle vendite non è salito di molto ed è scomparso dopo una o due settimane dalla top ten in favore di opere, a mio giudizio, minori per contenuti ma di più ampia portata pubblicitaria.

    Un passo falso in un panorama letterario saturo di moda vampiresca e moralista in cui poche sono le perle che spiccano e il pubblico è ormai schiavo delle classifiche e del mainstream. Si naviga (come ho già detto in altro loco) a vista in acque basse quando invece si potrebbero spiegare le vele con un po’ più di oculatezza e di senso del businnes letterario (perché di questo stiamo parlando non dimentichiamolo) in propensione strutturale e futura.

  14. Lara Manni Says:

    Parole. Sante.

  15. Davide Malesi Says:

    Ecco, questo mi incuriosisce. Non voglio stuzzicare i fan di King: ma cosa c’è di nuovo nei racconti di “Notte buia, niente stelle”? Io ho letto solo “Maxicamionista” (era pubblicato su una rivista, mi pare) e l’ho trovato più vecchio, come impostazione, delle cose che Palahniuk faceva già diversi anni fa. Molto ben scritto. Ma vecchio.

    La mia non è una domanda retorica, né sto facendo del benaltrismo. Magari gli altri racconti di quella raccolta sono pazzescamente innovativi. Ma mi chiedo: in cosa consisterebbero gli elementi “di rottura” della produzione kinghiana attuale? Perché quella degli anni Ottanta ne aveva, oh se ne aveva. Era “troppo avanti”, per usare una espressione gergale. Solo a me sembra che le cose oggi stiano diversamente?

  16. Lara Manni Says:

    Davide, sono racconti oscuri e pessimisti. Culminano, a mio parere, in un quinto che è fuori raccolta e di cui qui si è parlato, “Herman Wouk è ancora vivo”. Non è solo cambiato King: sono cambiati i tempi in cui lui, e noi, stiamo vivendo. Non c’è redenzione alcuna nei racconti (c’è, incredibilmente, in 22/11/63: ma solo perché, a mio parere, l’aver compiuto una scelta, come direbbe Wu Ming 4, offre una possibilità in più al protagonista). Io non so quale sia il tuo criterio di “vecchio” e “nuovo”. Se parliamo di stile, non sono d’accordo: lo stile di King, a mio parere, è cresciuto enormemente negli anni. Se è una questione di storie: non mi interessa che la storia rompa con uno schema. Non mi interessa la letteratura fine a se stessa, non mi interessa lo scrittore che mostra il bicipite dicendo “guardate cosa sono capace di fare”. Mi interessa essere coinvolta. Mi interessa capire cosa sta attraversando il mio mondo, quali le paure, quali gli orrori, quali le speranze. E questo King me lo dà.

  17. Davide Malesi Says:

    Non voglio entrare in polemica, anche perché la tua risposta è esauriente (e poi perché sulla letteratura “fine a se stessa oppure no” e sulla rottura degli schemi si rischia di mettersi a girare in tondo, quando se ne parla, senza arrivare da nessuna parte). Né voglio andare troppo OT rispetto al tuo post.

    Per tornare nel seminato, aggiungo una sola considerazione che si ricollega a quanto ho scritto: valide o meno che siano le mie osservazioni, ho la sensazione di non essere il solo ex-fan di King ad averle (o ad averne di simili) e che qualcosa, di questo clima, sia stato percepito anche da chi pubblica i libri di King in Italia.

    Per cui magari in S&K ragionano così: “Mettiamolo a 23 euro, tanto lo zoccolo duro dei fan (uno zoccolo che ha ancora dimensioni ragguardevoli, anche se non sono più quelle degli anni d’oro) se lo compra lo stesso. Mentre è difficile che prenda nuovi lettori, adesso vanno di moda altre cose”.

    Naturalmente le mie sono illazioni, non conosco nessuno in S&K e non so quali siano le loro strategie editoriali.

  18. Lara Manni Says:

    E’ molto possibile, Davide. Anche perché, ripeto, in questo caso l’editore (italiano: negli Stati Uniti la promozione di 22/11/63 è stata diversissima) continua a sfruttare un’immagine che non corrisponde a quel che King è ora. Per fare un esempio stupido, è come se James Joyce, immaginandolo come uno scrittore di oggi, venisse raccontato da editore e promotori come l’autore di The Dubliners mentre sta uscendo Ulysses.
    L’errore mortale è che questo King potrebbe eccome incontrare nuovi lettori: che magari all’horror non sono interessati affatto. Ma non sanno che quel romanzo non appartiene al genere, perché non gli è stato detto.
    Ps. Disponibilissima a parlare di rottura degli schemi. Quando effettivamente vengono rotti. Murakami Haruki lo fa, per esempio. Altri? 🙂

  19. Caterina Says:

    Lara dice: “Non mi interessa la letteratura fine a se stessa, non mi interessa lo scrittore che mostra il bicipite dicendo “guardate cosa sono capace di fare”. Mi interessa essere coinvolta. Mi interessa capire cosa sta attraversando il mio mondo, quali le paure, quali gli orrori, quali le speranze. E questo King me lo dà.”
    D’accordo al cento per cento con l’analisi di Lara, non mi trovo nelle conclusioni. In un libro cerco l’essere coinvolta, purtroppo i libri citati del periodo (a mio parere buio) tra l’incidente e 22/11/63 proprio questo non hanno fatto… Non mi hanno coinvolta… Per questo li sentivo privi di anima. Ma ripeto, qui è questione di gusti. C’è chi si imbriglia nelle pagine di Coelho e chi lo trova di una noia mortale. Chi va pazzo per la Allende e chi la odia profondamente… Ripeto, la diversità è un bene che dobbiamo preservare…

    In_mezzo_alla_segale dice: “Nella triade malefica editore-distributore-libraio si passano l’un l’altro il cerino acceso, ma a rimanere con le dita scottate, chissà perché, è il lettore. Non so dove stia la verità, forse da nessuna parte, ma una cosa mi sembra evidente: se nella trimurti ognuno rema in una direzione diversa, c’è qualcosa che non va. Lo scopo dovrebbe essere comune: vendere roba buona e guadagnarci su. O no?”
    E’ vero che è facile passarsi il cerino, io non lavoro più in una casa editrice, ma è assolutamente reale che, di fronte ad un insuccesso, i responsabili di una filiera (in differente misura, ma pur sempre tutti responsabili) tendano allo “scaricamento del barile”. La verità è che lo scopo comune (vendere roba buona e guadarci su) non è sempre così comune… per capirci: potrebbe esserci un obiettivo convergente ma non sovrapposto o semplicemente presupposti diversi. La “roba buona” non è un parere oggettivo, non è bianco o nero, e ciò che è buono per me non è buono per te e viceversa (la famosa diversità di cui sopra). Moccia è roba buona se vende un milione di copie, poi possiamo discutere del suo valore letterario. E’ buono? Non voglio entrare nel merito dell’autore (non mi interessa), ma sono certa che tanti editor italiani non lo reputassero roba buona, visto che prima di essere pubblicato ha fatto la muffa per una decina di anni, almeno, sulle scrivanie di tutte le case editrici d’Italia. Larsson fu rifiutato da diverse case editrici prima di essere pubblicato da Marsilio… oggi persino gli Americani (con vari anni di distanza, perché ciò che europeo “non funziona” per partito preso) lo hanno “scoperto”. Ma Marsilio ha stravolto il suo bilancio con Larsson e ha aperto la strada ai nordici come mai prima di lui, almeno nel nostro paese…
    Di Connelly (altra miniera d’oro) pochi sanno che prima di essere pubblicato da Piemme fu pubblicato da altra casa editrice (italiana, non si fan nomi per non scontentare il prossimo) e fu un flop. Insomma la roba buona, non è buona per tutti e ci sono davvero tanti elementi differenti che caratterizzano il successo di un libro… e tanti pregiudizi.

    Per cui magari (come dice Davide) in S&K ragionano così: “Mettiamolo a 23 euro, tanto lo zoccolo duro dei fan (uno zoccolo che ha ancora dimensioni ragguardevoli, anche se non sono più quelle degli anni d’oro) se lo compra lo stesso. Mentre è difficile che prenda nuovi lettori, adesso vanno di moda altre cose”.
    Naturalmente le mie sono illazioni, non conosco nessuno in S&K e non so quali siano le loro strategie editoriali.
    Non mi stupirei… King era un titolo che si vendeva da solo… poi non si vendeva più (se non allo zoccolo duro) ed è rimasto quello che si vende alla zoccolo duro… che in buona sostanza era il mio discorso iniziale. L’ultimo King l’ha comprato lo zoccolo duro, forse per abitudine, forse per un posizionamento di prezzo sbagliato (anche se in hard cover King è sempre costato tanto), forse semplicemente perché a quel pubblico lo aveva destinato chi ha scelto per lui (non solo Sperling, ma anche i librai e i distributori). Ma, ed è un mio personale parere, tutte le scelte fatte (ad ogni stadio) sono state influenzate dall’immagine che Stephen King ha oggi nel nostro paese: non è più il libro per tutti, non è più il libro che vende ad ogni categoria di lettore, non è più il libro “da aeroporto” (come lo si chiamava ai tempi) o “da supermercato”, come lo si chiamerebbe oggi….

  20. wuming1 Says:

    A occhio e croce, comunque, da novembre a oggi 22/11/’63 dovrebbe aver venduto come minimo sessantamila copie. Sono quindicimila al mese. Non sono gli sfracelli del King anni ’80, è vero, ma di questi tempi, e considerato il prezzo, non è poco.
    (Ricavo i dati molto empiricamente, in base a un ipotetico “coefficiente Anobii” per Kingi, che potrebbe essere tra 1 : 40 e 1 : 50, vedi qui)

    A quanto ne so, la flessione c’è stata eccome, ma fino a “Duma Key”. Già con “The Dome” c’è stata una ripresa e gli ultimi titoli hanno venduto meglio di quelli dell’immediato periodo post-incidente. Fermo restando che, tra quei libri, per me c’è almeno un capolavoro, cioè “Lisey’s Story”.

    Mi sento di spezzare una lancia a favore di Sperling & Kupfer: il tentativo di far uscire King dal “ghetto” horrorifico (absit iniuria, s’intende!) c’è stato, almeno con gli ultimi due titoli. L’idea stessa dello “scrittore tradotto dallo scrittore”, con conseguente menzione in copertina, scelta che ha suscitato molte polemiche in una parte dello “zoccolo duro”, faceva parte di questo tentativo.

    Tentativo che a questo punto verrà quantomeno ripensato, dato che io ho rinunciato a tradurre SK, per i motivi spiegati qui:
    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=7144

    • Caterina Says:

      Nella settimana dal 12 al 18 febbraio, (dati Nielsen, quindi solo librerie e non GDO, che ad oggi fa davvero la differenza), King ha venduto 802 copie. Se facciamo il conto della serva e moltiplichiamo per le 15 settimane di permanenza arriviamo a circa 15.000 copie. Ma nelle prime 4 settimane King ha venduto molto di più. Sempre da dati Nielsen è entrato con circa 9000 copie. Quindi presumibilmente (se martelliamo un po’ i dati per via delle vendite alla GDO) concordo pienamente con Wu Ming sui 60.000, anzi direi qualcosa di più probabilmente.
      Sono dati da super best seller…

      • Lara Manni Says:

        E di questo esulto. Ma rilancio. Quante copie, allora, occorre vendere per entrare oggi in classifica?

      • Caterina Says:

        Se parli di Nielsen, mi rifaccio sempre alla settimana dal 12 al 18 febbraio (è quella che ho sottomano), per entrare in top 10 (sono quelle pubblicate dai giornali tipo Corsera e Repubblica) precisamente servivano almeno 3249 copie vendute (in quella settimana). Sono quelle vendute da Uscita di Sicurezza di Tremonti piazzatosi decimo nella classifica generale.

      • Caterina Says:

        Nella classifica della fiction italiana invece ne servivano “solo” 1552 (10 posto di Bianca come il latte, rossa come il sangue) e nella fiction straniera (dove finirebbe cmq anche King, in doppia classifica se rientrasse nella top ten) 2363 (The help al decimo posto, appunto)

  21. Lara Manni Says:

    Caterina, ma è a forza da inseguire il libro da supermercato che si stanno facendo sfracelli. Intendiamoci: sul tempo breve paga. Ma ci si vuole rendere conto o no che prima o poi le giovani lettrici cui si destina Damned cresceranno e abbandoneranno il filone vampiro-tritone-altro sexy? Si vuole o no investire su un progetto a lungo termine? Ecco, “questo” King per quel progetto era ed è perfetto. Ma ho la sensazione che di progetti, in casa nostra, non si voglia sentir parlare. E sarà male, malissimo, per tutti.

    Ps. Non avevo visto il commento di Wu Ming 1 che era in moderazione. Lo ringrazio per i dati forniti e per tutto quello che ha fatto come traduttore di King.

    • Caterina Says:

      Su questo Lara, non ci piove… Mi trovi con te ad un milione per cento…
      La mia non era davvero una difesa alle scelte “editoriali” e di marketing, era solo una mera fotografia della realtà… Davi spiegazione del King “non in classifica”, ne aggiungevo una mia. Senza avvallarne la qualità e la validità, intendo. A parte il fatto che, da lettrice, potevo comprendere l’abbandono di tanta parte del popolo dei lettori, non c’era nel mio intervento un giudizio di valore, solo un altro angolo di prospettiva.
      E di nuovo, come fotografia della realtà, su quello che dici, i progetti a lungo termine hanno un più alto valore di rischio (per l’aleatorietà del successo e del tempo, ovviamente) e in tempi di crisi è sempre più difficile trovare chi è disposto a scommettere sul “lungo termine”, soprattutto se confrontato con risorse limitate e guadagni quasi sicuri (le varie, vampirescamente parlando, hit del momento).

      Detto questo, per la letteratura, per i lettori, per il bene della varietà… per il valore stesso del creare e del leggere, mai stata tanto d’accordo con qualcuno come lo sono con quello che sostieni

    • M.T. Says:

      Preoccupazione che condivido. Non si ha sentore di futuro, si pensa ad arraffare quanto più possibile come se si fosse su una nave che affonda, non considerando che con certe scelte ci si brucia e si rimane con in mano solo la cenere.

  22. Alessandro Says:

    22/11/’63 è stato il mio primo libro di King (che ho spesso pensato fosse uno scrittore di serie B), convinto dalle numerose critiche positive: per questo ho letto con piacere l’articolo di Lara ed i commenti a seguire.
    Non posso far paragoni con altri testi di King, ma ho trovato la lettura di 22/11/’63 noiosa, molto noiosa (perdonatemi il giudizio assai semplice e stringato).
    Un alto prezzo di copertina ed una cattiva distribuzione possono non aver aiutato le vendite: ma se il romanzo fosse stato “coinvolgente” (non necessariamente genere horror o thriller), il passaparola dei lettori avrebbe compensato.

  23. Lara Manni Says:

    Dipende dai lettori, Alessandro. Rispetto profondamente il tuo giudizio. Però, attenzione a non sopravvalutare il passaparola medesimo: perché ultimamente noto che diventa difficile distinguere fra passaparola guidato e passaparola spontaneo. Per questo esprimevo dubbi sulla possibilità reale di una community valutativa, nel post di ieri. Basta dare uno sguardo ai social network di lettori. Libri con due stelline che magari sono in classifica, libri con cinque stelline ricevute dagli amici. Ecco, approfitto del tuo commento per riflettere su come, oggi, sia necessario trovare dei punti di riferimento che non siano solo quantitativi, su Internet. Grazie!

    • M.T. Says:

      Sulla community valutativa mi viene in mente il torneo Io Scrittore ( http://www.illibraio.it/ioscrittore/home.htm ) dove la bontà dell’opera viene giudicata dai lettori/concorrenti: questo sistema è davvero sinonimo di qualità oppure c’è il rischio che essendo in gara l’uno con l’altro non si giochi “sporco”, penalizzando volutamente un buon lavoro per non averlo come concorrente da superare?

      • Lara Manni Says:

        Ecco, non so rispondere ma la domanda coglie il senso di quel che intendevo. 🙂 Quanto sono affidabili i meccanismi di una comunità, a meno che quella comunità non PREESISTA ai meccanismi?

    • M.T. Says:

      Infatti, mi faccio le stesse domande 🙂 e anche se si discute molto i dubbi rimangono. Spiace dirlo, ma temo si sia arrivati a un punto in cui c’è molta diffidenza e poca fiducia.

  24. Davide Malesi Says:

    Lara, il problema di cui parli non è relativo solo a King. Se uno scrittore è stato venduto per anni promuovendolo in un certo modo, sarà difficile per lui staccarsi di dosso la propria etichetta, qualora abbia intenzioni di fare cose diverse da quelle che ha fatto fino ad allora. L’editore sarà scettico, una parte dei suoi lettori rimarrà contrariata, le reazioni delle redazioni culturali saranno imprevedibili. Uno degli scrittori che ho divorato da ragazzo, noto come autore di “police procedural” col nome di Ed McBain, si è cimentato con più generi – usando uno pseudonimo diverso per ciascun genere – anche per evitare questo problema. Nel caso di King, la sua storia di “maestro dell’horror” pesa come un macigno.

    Quanto alla rottura degli schemi, bisognerebbe – come dicevi anche tu – capire cosa intendiamo tu ed io, nel parlarne. D’istinto, se penso a cosa intendo io per “rompere gli schemi”, mi vien da dire che Murakami Haruki è uno che sa il fatto suo. Anni fa mi stregò letteralmente con “L’uccello che girava le Viti del Mondo”.

  25. Lara Manni Says:

    Caterina, Davide. Non è che mi stia preoccupando “per” King, anche se sono una kinghiana inscalfibile. Mi preoccupo per noi, in questo caso usando King quasi come pretesto (quasi).
    Davide, una domanda: le redazioni culturali, secondo te, riescono davvero a influire sui lettori, oggi come oggi? Ripeto, ho più domande che risposte, ma noto che da un po’ di tempo a questa parte non sono disattente nei suoi confronti.
    King, come saprai, ha provato a fuggire quel macigno utilizzando uno pseudonimo, poi scoperto. Credo che a questo punto se ne infischi. Non me ne infischio io, da lettrice, e da autrice.

    Rompere gli schemi, per me (ma parlo di narratori, non di “letterati”) significa rompere gli schemi di genere, per esempio. E King lo fa, oggi più di ieri (e Murakami pure).

    • Caterina Says:

      Preoccupati per i lettori e per gli “usufruito” – mamma mia che orrore di parola – (da lettori e da produttori di contenuti) siamo in tanti.
      Concordo con te sul fatto che l’omogeneità delle proposte (e quindi dell’offerta che riceviamo) appiattisce il panorama e ci mette in bocca (o in testa) gusti non nostri (almeno in parte).
      Del resto, sin dal primo intervento, mi son felicitata dei nostre diverse posizioni in fatto di King, perché in un mondo omogeneo, dove ci vengono proposte minestre riscaldate (che vendono per carità, ma rimangono minestre riscaldate), adoro la possibilità dello scambio e della pluralità. E adoro anche il diritto di non leggere e di leggere qualsiasi cosa… (grazie a Pennac)….
      Ma credo che in percorsi di scelta (di lettura e di altro ) ognuno di noi si stia cercando una sua strada. Non aiutano le proposte urlate dal marketing (troppo uguali, troppo sempre se stesse), ma credo che “voci” non inquadrate esistano anche nel panorama del passaparola.
      Non penso ci sia, ancora, un controllo così capillare delle idee.
      Certo ho paura per il futuro (e in questo, come minimo, siamo in due), ma confido nell’essere umano che fino ad ora, anche in epoche di oscurantismo, ha saputo tirar fuori il modo di sostenere ciò che amava, voleva, credeva fosse giusto. Anche in termini di letteratura.
      Forse son solo un’ottimista 🙂

  26. Ilaria Says:

    Oltre alle analisi che fai tu (prezzo, promozione, trattamento editoriale ecc.), sto cominciando a pensare che forse King è diventato un autore troppo “difficile” per la “massa” di oggi. Ventanni fa, ragazzini tredicenni che odiavano leggere erano capaci di bersi le oltre mille pagine di It o de L’ombra dello scorpione restando avvinti alla pagina per pomeriggi interi, rinunciando temporaneamente a videogiochi o altri interessi perché rapiti dalla lettura. Penso a tanti miei amici, per es., che riuscivano a leggere solo lui, a fidarsi solo di lui per andare nei posti estranei dove ti porta la letteratura, che a loro stessi sembrava così noiosa. Insomma King era un autore per tutti; per i lettori forti che andando oltre i pregiudizi ne coglievano la qualità di grande autore contemporaneo, e per i non lettori, che trovavano un linguaggio che comunque sapeva parlare anche a loro. Oggi temo che, un po’ per l’evoluzione dello stile di King ma soprattutto per i cambiamenti sociali, la scrittura di King sia troppo ardua e impegnativa per i non lettori di oggi, che si buttano sulle Kinsella, sui Volo o sulle Stephenie Meyer.
    Io sono di quelli che sono cresciuta con King e che non riesce a capire questa diceria secondo la quale dopo l’incidente King avrebbe perso la sua vena. Anzi trovo che gli ultimi romanzi siano meravigliosi. Perché è invecchiato? Forse anche per questo. E meno male. Duma Key lo trovo eccezionale. Ma The dome ancor di più. Mi ha fatto tornare la voglia di rileggermi La repubblica di Platone, per i problemi filosofico-politici che lui affronta in quel romanzo (in modo sempre avvincente). E 22/11/63 è un capolavoro, sì. Ma penso davvero che questo King sia troppo impegnativo e non tutti riescano ad avere più la capacità di concentrazione per leggerlo.

    • M.T. Says:

      E’ interessante il punto di vista che proponi. In King si è sicuramente modificato lo stile, si è “elevato”, facendosi meno immediato, ma non per questo così difficile da essere impegnativo.
      Non è che invece si è abbassato, forse troppo, il livello medio dei lettori? Non è che si possiede una cultura così bassa da rendere dura da assimilare qualsiasi cosa che non sia lineare e scontato?

      • Sakura87 Says:

        Io mi ritrovo a concordare con voi. Ho venticinque anni e, se mi rivolgo indietro a guardare la generazione a me precedente – i miei zii di circa vent’anni più anziani di me – mi accorgo che il livello medio di lettura presso i giovani si è tragicamente abbassato.
        I miei zii (ma anche i miei genitori), da adolescenti, trascorrevano pomeriggi e nottate a leggere Il Signore degli Anelli, L’ombra dello scorpione, Anna Karenina, I miserabili, e altri classici della letteratura antica e moderna dalle dimensioni e dai contenuti notevoli. Provate adesso a suggerirne la lettura a un quindicenne.
        A cos’è dovuto? Semplice: guardiamo chi c’è sugli scaffali della letteratura rivolta agli adolescenti. Christopher Paolini, Licia Troisi, Stephenie Meyer, Fabio Volo, Federico Moccia, e possiamo andare avanti all’infinito. Libri i cui periodi – dati in mano – difficilmente superano le tre righr.
        C’è poco da fare. Si è persa l’abitudine a una lettura più impegnativa.

  27. Lara Manni Says:

    Credo che il punto di vista proposto da Ilaria abbia molto senso, e sia insieme molto preoccupante. Sempre per rifarmi al linkato articolo di Marcello Simoni: se si mettono a confronto i romanzi popolari a cui si riferisce e quelli di oggi salta all’occhio l’impoverimento di lessico, struttura, lingua. Non lingua “letteraria”, ma narrativa. Al decimo testo che, aperto, mostra “X aveva i capelli color oro – o inchiostro, o rame” in prima riga, cadono le braccia.
    Caterina: 3249 copie vendute. Sbaglio, o la soglia si è abbassata?

  28. Caterina Says:

    Sì Lara, la soglia si è abbassata, ma perché Nielsen copre solo le librerie e ci sono tantissimi libri (il conto economico di un libro si è davvero stravolto negli ultimi 7 anni) che fanno i cosiddetti “numeri” sulla GDO… E i best-seller entrano tutti (e dico tutti) in GDO. Al supermercato spesso paghi lo stesso libro con il 15% di sconto e quindi spesso le vendite lì sono anche il doppio di quelle in libreria. Ormai anche i forti lettori acquistano facendo la spesa.
    Poi considera che stiamo parlando di una settimana di febbraio. Se vai a vedere la settimana del lancio delle strenne ovviamente devi vendere molto ma molto di più per entrare in classifica.

    • Lara Manni Says:

      Lo supponevo 🙂
      Grazie per i dati. Comunque, il fatto che la permanenza kinghiana in classifica sia stata fugace, continua a darmi molto e molto da pensare. Non sarà che adesso la classifica è roba per diete Duncan e poco altro?

      • Caterina Says:

        Io rabbrividisco ogni volta che la vedo… sarà che le diete mi fan tristezza, sarà che la classifica è deprimente… Spero che chi legge, anche chi legge poco, perché i forti lettori spesso si affidano a ben altri parametri. non guardi solo quella… Speranza vana la mia? Sono ancora troppo ottimista?

  29. Davide Malesi Says:

    Secondo me gli schemi “di genere” sono caduti da un pezzo. Non sono caduti (in Italia, presso alcuni critici imbolsiti e alcuni scrittori che, anche se talora giovani, ragionano da vecchi) gli steccati tra “letteratura alta” e “bassa”, col “genere” collocato nella seconda. Ma mi sembra che gli autori e i recensori più intelligenti se ne freghino, i lettori anche. Questa è la mia sensazione – se sbalio mi corigerete.

    Quando parlo di “rottura degli schemi” io intendo qualcosa di più forte – la capacità di un libro di raccontare qualcosa (una o più storie, uno o più personaggi, un’ambientazione, tutte queste cose e altre ancora) facendo sì che chi legge abbia la sensazione di trovarsi davanti una cosa che non ha visto prima. Penso alla mia esperienza – abbastanza recente – di lettore con libri come quello di Roy Lewis sugli uomini scimmia, o di Christopher Ross sulla spada di Mishima. La prima volta che mi è capitato è stato da ragazzino, leggendo la novella di Pirandello sull’uomo dal fiore in bocca. Sapevo benissimo cos’era il cancro – per dolorose vicende familiari vissute, per così dire, in presa diretta – ma è stato come se l’autore mi avesse menato abbestia, come si dice dalle mie parti.

    Non so se le redazioni culturali abbiano chissà che influenza. So, per esperienza personale basata sul riscontro di vendite, che apparire su “Repubblica” quattro volte in un mese – tra quotidiano e supplementi – aiuta. Così come aiutano cose come l’intervista su Radio Deejay o RDS, la collocazione in libreria, la copertina che si vede a cinque metri di distanza tipo faro nella notte, il prezzo di copertina competitivo.

    Aiuta, insomma, tutto ciò che contribuisce a far incontrare un libro alle persone che potrebbero comprarlo. In questo senso, da ex-fan di King, posso raccontare un aneddoto.

    Nel mio caso, il mio incontro coi suoi libri avvenne perché nella mia città, Roma, fu proiettato al cinema un film tratto da un suo racconto (anche se, come scoprii dopo, il racconto è un po’ diverso). In quel film trovai atmosfere affini a quelle di un autore, Ray Bradbury, da me molto amato (e continuo a pensare che il King di quell’epoca abbia molto più a che fare col Bradbury di “Molto dopo mezzanotte” che con l’horror come è comunemente inteso). Cortocircuito mentale: io amavo i libri di Bradbury (specie quelli di racconti), mi era piaciuto da matti il film, ergo dovevo leggere Stephen King. Andai subito a comprare tre o quattro libri suoi e non rimasi deluso. Anzi, posso dire che me ne innamorai.

    Ecco, su questa base posso dire che forse la recensione sul Corsera non è lo strumento ideale per far avvicinare un nuovo “potenziale lettore di King” ai suoi libri di adesso. Mentre – per fare un controesempio – un autore come Mordecai Richler, per dire, trasse a mio avviso un notevole vantaggio dal fatto che si parlasse di lui, sui giornali, in termini entusiastici. Ma è solo una sensazione e potrei sbagliarmi.

    (Mi scuso per il lunghissimo commento)

    • Caterina Says:

      Davide adesso vogliamo sapere il titolo del film!!! Guessing: Stand by me???
      Grazie per il tuo lunghissimo commento… soprattutto per le citazioni in corsivo, le ho amate 🙂

      • Davide Malesi Says:

        Caterina, sì, è “Stand by me”. Se hai mai letto i racconti di Ray Bradbury, sai bene quanto siano affini. Sennò, è una ottima occasione per leggere Bradbury. Io ogni volta che rileggo “A Story of Love” e “The Miracles of Jamie” piango come una vite tagliata (esagero, ma nemmeno tanto). Per non parlare di “Long after Midnight” che mi dà una stretta allo stomaco pure se so benissimo come va a finire 🙂

      • Caterina Says:

        Conosco Bradbury e capisco quando parli di affinità elettiva tra “Stand by me” e i suoi racconti. Per questo il guessing mi è venuto facile…. perché ho sentito sul palato (scusa l’espressione di gusto) la sensazione che cercavi di passare nelle parole…

  30. Lara Manni Says:

    Non essendo amante di Mordecai Richler e continuando a ritenere La versione di Barney un divertissement per schiere elette (perdono, perdono, perdono) concordo in pieno.
    Invece devo smentirti: gli steccati di genere, purtroppo, resistono. E se il punto d’osservazione è, come nel mio caso, all’interno del genere stesso, posso aggiungere che dal punto di vista dei lettori e della gran parte degli autori sono più forti che mai. Anzi, si erigono steccati all’interno degli steccati.
    Sulla rottura degli schemi. Ancora una volta, dipende. Ripeto che l’ultimo Murakami sta cercando di realizzare qualcosa di simile. Però, dipende anche dal gusto e dalle esigenze del lettore: personalmente, più che cercare la novità, cerco piacere e conferme e rispecchiamenti. Mi interessa meno se l’effetto viene ottenuto con un testo dirompente. Per dire, amo più The Dubliners che Ulysses, anche se è stato il secondo a cambiare la faccia della letteratura del Novecento. 🙂

  31. Davide Malesi Says:

    Io non parlavo di storicizzazione, ma di esperienza di lettura. In tal senso “The Dead” è una bella sberla, dài 🙂

    (La richiesta di perdono per l’opinione su Richler non serve, io non ho totem letterari di sorta)

    Sugli steccati: davvero c’è ancora un pregiudizio sul genere da parte dei lettori (e degli autori, perfino)? Visto il successo commerciale di molte opere “di genere”, e la loro collocazione in collane prestigiose, rimango basito – tipo personaggio di “Boris” 🙂

    Sul serio, “Pericle il Nero” di Ferrandino è entrato in Adelphi (!), e via discorrendo. Trent’anni fa sarebbe stato impossibile.

  32. Lara Manni Says:

    Ah, Davide, ecco l’equivoco. E’ proprio il successo commerciale di “parte” del filone a schiacciare il giudizio sul genere intero. Vecchi discorsi, da queste parti. Il genere NON E’ quel che finisce in classifica, per esempio. Quella è la parte che viene resa visibile del medesimo (vampiri e compagnia copulante).
    Il pregiudizio è semplicissimo (da parte di lettori e autori): una cosa è il genere, una cosa è la literary fiction. Evidentemente non vale per tutti, ma vale per la maggioranza. E questo è un problema non di poco conto.
    Pericle il Nero è entrato in Adelphi molto tempo fa, credo. La domanda è: adesso sarebbe possibile? 🙂

  33. Lara Manni Says:

    Ps. Ovviamente, in questo caso, parlo di genere fantastico. Diverso discorso andrebbe fatto per gialli, thriller e polizieschi.

  34. Davide Malesi Says:

    Su Ferrandino: sì, sarebbe possibile. Guarda il caso di Andrej Longo, più recente. E potrei fare altri esempi: Don Winslow, per dire, è in Einaudi Stile libero. Trent’anni fa sarebbe finito nei Gialli Mondadori, e amen.

    Sulla separazione tra “genere” e “literary fiction”, mi pare tu stia dicendo la stessa cosa che dicevo io qualche commento fa: Non sono caduti (in Italia, presso alcuni critici imbolsiti e alcuni scrittori che, anche se talora giovani, ragionano da vecchi) gli steccati tra “letteratura alta” e “bassa”, col “genere” collocato nella seconda. Ma mi sembra che gli autori e i recensori più intelligenti se ne freghino, i lettori anche. O sono io che ho capito male?

    Il genere fantastico è un caso un po’ a parte, perché per anni il livello letterario di ciò che si è pubblicato in Italia è stato davvero basso. Trovare qualcosa di ben scritto era davvero un problema. Magari c’era, ma da noi non arrivava (chissà perché nessuno ha mai tradotto “Wizard of the Pigeons” di Megan Lindholm, per dire). Quindi il pregiudizio tra i recensori (e gli autori, e i lettori…) può darsi sia un po’ più forte.

  35. Lara Manni Says:

    Diciamo la stessa cosa ma l’ambito è molto più largo e include anche i lettori, se non soprattutto.
    Non concordo affatto sul livello basso degli autori italiani: il problema, appunto, è che restano seminascosti rispetto alla punta dell’iceberg. Valerio Evangelisti, Chiara Palazzolo, Tullio Avoledo, Eraldo Baldini battono in qualità non pochi autori americani o inglesi.

  36. Andrea G. Colombo Says:

    Difficile dire tutto quello che andrebbe detto nello spazio di un commento, ma proverò a essere conciso. Primo aspetto che mi viene in mente: la promozione. Come è già stato sottolineato, la promozione di King è stata davvero soft (per usare un eufemismo). Praticamente non c’è stata una campagna promozionale degna di questo nome. A questo aggiungi una certa confusione che da qualche anno (un decennio) si fa su King nel tentativo di “salvarlo” dal “soffocante abbraccio dell’horror”. Non credo sia un caso che nel momento in cui questo lavorìo ha avuto inizio, ci sia stato un progressivo calo di lettori.

    Bada bene, tale lavorìo non è da addossare completamente all’editore, anche King ci ha messo del suo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ed è al di là di qualsiasi interpretazione si voglia dare dei numeri. Parte dello zoccolo duro dei suoi lettori, quelli che avrebbero comprato qualsiasi cosa scritta da lui, si è stufata. Alcuni lo comprano per abitudine, ma non lo leggono avidamente come ai tempi d’oro. Ci sarebbe a tale proposito una luuunga disamina del fatto in sè, ma non mi pare la sede. Chi ha pensato di riposizionare King aveva messo in conto questa emorragia di lettori, probabilmente, ma era certa che ne avrebbe conquistati molti di più nel mainstream, andando quindi non solo a colmare il vuoto, ma guadagnandoci.

    I numeri mi pare siano qui a dimostrare che così non è stato. E più ci si affanna a proporre King come autore mainstream, negando le sue origini, più il divario con lo zoccolo duro aumenta e diminuiscono i lettori. E’ una trappola in cui si sono andati a ficcare, autore ed editori, mano nella mano. E’ una delle lezioni che King stesso insegnava: mai prendere in giro i lettori perché non perdonano.

    • Lara Manni Says:

      Io penso che sia avvenuto il contrario. 🙂 King non si è mai considerato un autore horror puro e duro, e lo dimostrano le tante interviste rilasciate negli anni. Nè credo che abbia voluto accreditarsi nel mainstream, sinceramente: ha semplicemente scritto quel che voleva. Il tentativo di Richard Bachmann è stato proprio quello di svincolarsi da un’etichetta non sempre appropriata (Misery non è horror, nè Dolores Claiborne, Il miglio verde, Il gioco di Gerald ecc.ecc.). Insomma, non credo che la cosa possa imputarsi a King. Nè sono del tutto convinta che la promozione sia stata adeguata. Fermo restando quello che diceva Wu Ming 1 (scrittore tradotto da scrittore), a me sembra che la spinta dell’editore sia stata quasi di routine. Considerando cosa avevano per le mani. Molto più di un Damned che verrà travolto dai gorghi vampireschi nel giro di qualche settimana, per dire.

      • Andrea G. Colombo Says:

        Lara un autore che si fa una villa coi pipistrelli sulla cancellata, mi pare che abbia bene chiaro come proporsi al pubblico. Se però vi innervosisce sentire “affibbiare” a King “l’etichetta” horror, beh è un problema “vostro”. Io non ci vedo nulla di male e con me, tutti i lettori che lo hanno sostenuto negli anni ’80 e ’90, quando ogni suo libro in uscita era un evento. Adesso – nel momento in cui dire che King scriveva horror pare un reato di lesa maestà – i lettori non si azzuffano più in libreria per i suoi libri.

  37. Ilaria Says:

    @M.T.: Non è che invece si è abbassato, forse troppo, il livello medio dei lettori? Non è che si possiede una cultura così bassa da rendere dura da assimilare qualsiasi cosa che non sia lineare e scontato?

    Con “soprattutto per i cambiamenti sociali” intendevo proprio quello che dici tu, purtroppo! Penso che per tutta una serie di motivi, la capacità di lettura di una persona media sia incredibilmente diminuita.

  38. Giobix Says:

    Devo ancora leggere 22/11/63, ma ho un piccolo dubbio: non sarà che ai lettori italiani interessa poco il tema? Immagino che un 11/09/01 avrebbe creato più coinvolgimento.

  39. Lara Manni Says:

    Andrea, ma io mica voglio “togliere” King all’horror, intendiamoci. Non è lesa maestà. Dico solo – e lo dico da una vita – che gabbie troppo strette fanno male a chi scrive e a chi legge. Imho.

  40. Caterina Says:

    Sull’annosa questione di genere e letteratura (e ancora stiamo ad citarli separatamente, ad indicare che, in qualche modo, la differenza sopravvive come un bacillo dentro le nostre menti) credo abbiate ragione entrambi (sia Lara che Davide)… o meglio che la verità stia in mezzo.
    E’ vero che il successo (mainstream) di alcuni romanzi di genere ha fatto vacillare i ponti a lungo costruiti su baluardi di immobilità, ma è anche vero che la cosiddetta letteratura di genere è ancora, in parte, ghettizzata…
    Gli editor delle case editrici più “snob” (passatemi il termine, non vuole essere in nessun modo offensivo) hanno aperto, negli ultimi tempi, le loro porte a romanzi che in passato non hanno mai pubblicato, ma in nome del loro bisogno di identità (e sto parlando di linea editoriale) si aprono fino ad un certo punto….
    A tal proposito vi lancio una domanda da un milione di dollari…
    Se foste una casa editrice oggi puntereste su romanzi che hanno nell’originalità il loro punto di forza o su romanzi che sia chiaramente “mainstream” (cioè dedicati a raccogliere il più alto consenso di pubblico) spesso a scapito dell’originalità?

    • Davide Malesi Says:

      Né l’una né l’altra. Se aprissi una casa editrice inizierei con una collana di nonfiction tipo “Principio attivo” di Chiarelettere o “Controcorrente” di Newton Compton, affidando i primi titoli a giornalisti di una certa notorietà ma non strafamosi (per evitare che l’investimento sul singolo libro sia oneroso).

      Poi farei, probabilmente, una collana di classici a costo supercompetitivo.

      Solo dopo aver portato il bilancio in attivo – quindi dopo 4-5 anni, se va bene – farei una collana di fiction, mettendoci dentro libri che piacciono a me. La considererei un modo per vivacizzare il catalogo e metterei in conto anche di poterci rimettere soldi.

      • Lara Manni Says:

        Andresti, dunque, su una strada già battuta? I libri giornalistici sono all’ordine del giorno, e così la collana di classici a prezzo bassissimo (Newton Compton) 🙂
        Sicuro che seguire un filone già esistente ti porterebbe in attivo? 🙂

  41. Lara Manni Says:

    Punterei sul primo punto, e sicuramente andrei in perdita. Ma la questione è che stanno andando in perdita anche quelli che puntano sul secondo 🙂

    • Davide Malesi Says:

      In questa vita non esistono certezze. Mi limito ad osservare che, laddove la maggior parte degli editori lamentano ristrezze economiche e difficoltà di bilancio, Chiarelettere e Newton Compton producono utili cospicui (e qui parlo con cognizione di causa: conosco entrambe dall’interno). Evidentemente fanno cose per cui esiste una domanda. 🙂

      • Lara Manni Says:

        Ma seguire l’apripista non è utile. Pensa a quelli che ne hanno imitato le idee 🙂

      • Davide Malesi Says:

        Guarda che Chiarelettere, per esempio, non è l’apripista. Ha copiato dalla collana Futuropassato di Rizzoli, per dire.

        Così come Stampa Alternativa ha fatto classici a prezzo stracciato, pur essendo arrivata dopo Newton Compton, ed è andata benissimo: con risultati di vendita addirittura stellari in certi casi.

        L’originalità non è il passaporto per il successo. Giocano tanti altri fattori. 🙂

  42. Andrea G. Colombo Says:

    Lara, che King negli ultimi anni abbia scritto cose palesemente diverse che agli inizi, credo sia sotto gli occhi di tutti. Che queste ultime cose non facciano breccia nel cuore dei suoi lettori come le vecchie storie, altrettanto. Sta tutto qui.
    Il fatto che poi non venga promosso adeguatamente, è una riprova di quanto ti ho appena detto. Non sanno come collocarlo, cercano di proporlo mistificandone il passato. Non può essere un caso che mentre, sul sito, ricevo comunicazioni – con preghiera di diffusione – per ogni libro in uscita (spesso a sproposito) questo, per KING non viene più fatto da anni.
    King a giusta ragione scrive quello che vuole. E non credo che si preoccupi se vende qualche copia in meno: il successo che ha raggiunto, gli darà pure la libertà di scrivere libri anche “strani”, e meno graditi al pubblico, no?
    Anzi, se ben ricordi, lo aveva anche scritto, tempo addietro, quando voleva smettere di scrivere. Aveva annunciato che avrebbe scritto quello che gli pareva, anche per pochi intimi. Lasciamoglielo fare.

  43. Davide Malesi Says:

    Lara, la mia non voleva essere una polemica sugli autori italiani di oggi rispetto agli stranieri (che non mi sembra un argomento molto interessante, peraltro). Io ho scritto: Il genere fantastico è un caso un po’ a parte, perché per anni il livello letterario di ciò che si è pubblicato in Italia è stato davvero basso. Quel “per anni” e l’uso del passato prossimo stavano a indicare una situazione che si è protratta a lungo, e non riguarda il presente.

    Ovvero: negli anni in cui ero appassionato di genere fantastico e leggevo con passione Stephen King (o Poul Anderson, Clive Barker, Michael Moorcock o Jack Vance…) a parte un (limitato) numeri di autori di un certo livello, le cose che si pubblicavano in Italia erano molto brutte. Bada, non solo le cose italiane, che tra l’altro erano poche davvero; anche quelle di autori stranieri, perlopiù anglofoni. Basta guardare il catalogo di quegli anni del principale editore di narrativa di genere fantastico in Italia, la Editrice Nord (sto parlando, grossomodo, degli anni tra la metà degli Ottanta e il 1993-94). E credo che la situazione durasse da prima. Perciò suppongo che il basso livello qualitativo della produzione di quegli anni (non solo italiana ma internazionale) possa aver creato un pregiudizio che, in qualche modo, si sconta ancora adesso.

  44. wuming1 Says:

    Ma a me non sembra che 60.000 copie in 4 mesi siano l’esito dell’acquisto di “pochi intimi”. E parliamo dell’Italia, un mercato minore. Mi risulta che

    Né mi sembra che “mainstream” sia l’etichetta più consona per libri stranissimi come certi che King ha scritto negli ultimi dieci anni o giù di lì. Libri che se li avesse firmati uno sconosciuto sarebbero stati definiti “New Weird” 🙂

    Anche sul mancato riscontro da parte dei fans mi sembra si stia ragionando su premesse fallaci. Certamente su Anobii si incontra un campione significativo di lettori kinghiani, e mi sembra che nei circa 300 commenti oggi disponibili dominino le 4 e 5 stelle, tant’è che la media generale è di 4,5 stelle.

    Preciso due cose:
    1) a me questa storia delle stelle fa abbastanza cagare, ma visto che esiste, teniamone conto perché qualcosa comunque esprime;
    2) per me 22/11/’63 non è il capolavoro che è sembrato a molti: contiene molte cose buone, anche eccelse (tutta la parte di Derry è ad altissimi livelli), ma nel complesso soffre di lungaggini ed è discutibile sotto molti aspetti. Tuttavia, i lettori che si sono espressi, in media, lo hanno apprezzato parecchio, quindi mi fa strano leggere, sulla base non so bene di cosa, che il libro sarebbe dispiaciuto ai fans. Forse io sarò un po’ strano, ma se vedo che un libro vende bene ed è commentato bene, tendo a pensare che sia piaciuto.

  45. wuming1 Says:

    E’ saltato un pezzo di frase nel primo capoverso: “Mi risulta che il libro stia andando bene in tutti i paesi.”

  46. Di questi tempi si parla molto del prezzo | Sproloqui e Deliri Says:

    […] libri. Qui trovate un post interessante, commenti compresi. Io però vorrei chiedervi un esercizio di pensiero […]

  47. Lara Manni Says:

    Ma infatti, Wu Ming 1, c’è stata una sorta di deriva nei commenti 😀 Io sono partita dal fatto che il romanzo fosse stato per pochissimo tempo in classifica, a differenza di altri che ci hanno fatto il nido per mesi. E dalla diversa spinta promozionale data dall’editore rispetto a quanto ho constatato nelle ultime settimane.
    60.000 copie sono una cifra da far sbiancare, di questi tempi: ma le mie domande riguardavano i meccanismi di promozione e vendita, soprattutto. Neanche io penso che i fans kinghiani abbiano gridato al tradimento. La questione è: “che cacchio succede alle classifiche, ai mercati, all’universo”.

  48. Davide Malesi Says:

    60.000 copie sono tante e non si discute. Ma ho la sensazione (non so le cifre esatte, né saprei dove cercarle) che negli anni Ottanta e nei primi Novanta King vendesse MOLTO di più.

  49. wuming1 Says:

    Senz’altro vendeva di più, però erano altri tempi. Ho letto che nel Natale 2011 le vendite di libri hanno registrato un 40% in meno rispetto al Natale precedente. In un frangente così duro, vendere sessantamila copie di un libro che costa 23 euro is quite an achievement!

  50. Lara Manni Says:

    E ne sono felicissima, Wu Ming 1. La cosa buffa è che altrove questa discussione, che nasceva da miei interrogativi su classifiche e best seller, è divenuta spunto per parlare di King e della sua piena e inossidabile adesione all’horror. Che non era evidentemente il punto. Sulla piena e inossidabile adesione ritorno oggi. Grazie ancora per le puntualizzazioni.

  51. In_mezzo_alla_segale Says:

    Scusate se sono fuori tempo massimo, ma vorrei tornare su un passaggio di Paolo E che mi era sfuggito.

    È verissimo che si cambia come lettori, e magari non ci piace più quello che prima adoravamo. Succede con la musica, con il cinema, addirittura con le persone.
    È vero anche che se lo stile di King è cambiato, non sono cambiati i suoi totem. Zio Steven ha tre/quattro argomenti (ossessioni?) che ha “ricicciato” in tutte le salse. È uno dei suoi grandi pregi, ma è anche uno dei suoi limiti. Riesce sempre a trovarci una sfumatura nuova e a riproporli con una mano di vernice fresca sopra.

    Posso capire che una fetta di lettori si sia stufata con l’andar del tempo e che abbia cercato altrove gli stimoli che non trovava più. Non credo vera, invece, la teoria dello scrittore in declino. King si evolve lungo un suo percorso, che non coincide con tutti i suoi vecchi lettori. Mi pare un divorzio consensuale e anche molto naturale. Esattamente come succede in altre forme d’arte o d’intrattenimento.

  52. Lara Manni Says:

    Se vuoi, il cut’n’paste di oggi è indicativo, in proposito. 🙂

  53. In_mezzo_alla_segale Says:

    Sì, ho letto. E devo dire che mi sono emozionato. Per più ragioni. Mo’ commento.

  54. Lara Manni Says:

    🙂 Grazie. Anche perché ho trascorso quasi una giornata a sgolarmi su questo punto, e ogni volta che si parla di King non esclusivamente come scrittore horror vien giù l’apocalisse.

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