“Che ci crediate o meno (ho cominciato a scrivere) intorno ai sei o sette anni, copiando dai fumetti e trasformandoli in storie mie. Ero casa con la tonsillite e scrivevo a letto per passare il tempo. Mi ispiravano anche i film. Li ho amati dall’inizio. Mia madre mi portava al Radio City Music Hall a vedere Bambi. Whoa, la dimensione del luogo, la foresta in fiamme….mi ha fatto una grande impressione. Così, quando ho cominciato a scrivere, lo facevo per immagini perché era quello che conoscevo al tempo”.
“Quello che faccio è come una crepa nello specchio. Se prendi in considerazione i libri da Carrie in poi, quello che vedi è l’osservazione della vita quotidiana della middle-class americana al tempo in cui quel particolare libro veniva scritto. In ogni vita trovi un punto dove inserire qualcosa di inesplicabile, che sia il dottore che ti dice che hai un cancro o uno scherzo telefonico. Così, quando parli di fantasmi o vampiri o nazisti stiamo parlando della stessa cosa, un’intrusione dello straordinario nell’ordinario. Come tutto questo influisce sui nostri caratteri e le nostre interazioni con gli altri e la società mi interessa molto più di mostri vampiri e fantasmi”.
“Penso di aver perso lettori in molti punti della mia carriera. E’ un processo naturale. La gente va avanti, trova altre cose. E poi sono cambiato io come scrittore nel senso che non sono lo stesso di ’Salem’s Lot, The Shining o The Stand . Ci sono persone che sarebbero felicissime se fossi morto nel 1978, quelle che vengono da me e dicono, Oh, non scriverai mai un libro buono come The Stand. In genere dico loro che è deprimente sentirsi dire che qualcosa che hai scritto ventotto anni fa è il tuo miglior libro. Dylan si sentirà dire le stesse cose a proposito di Blonde on Blonde. Ma tu provi a crescere come scrittore e non puoi fare la stessa cosa sempre e sempre”.
“Mi definiscono il Maestro dell’horror, il Maestro della spazzatura, il Maestro della paura, il Maestro della suspense. Ma non ho mai detto che è quello che faccio. (…) Ricordo una conversazione con Bill Thompson, il mio primo editor, da Doubleday. Avevano appena pubblicato Carrie, che fu un grande successo, e volevano altri libri. Gliene diedi due che avevo già scritto, ’Salem’s Lot e Uscita per l’inferno, che venne pubblicato più tardi con il mio pseudonimo, Richard Bachman. Gli chiesi quale voleva pubblicare per primo. Mi disse: la risposta non ti piacerà. Disse che Uscita per l’inferno era un romanzo onesto – il romanzo di un romanziere, se capisci quel che intendo – ma che voleva pubblicare ’Salem’s Lot, perchè avrebbe avuto un gran successo commerciale. Ma, mi disse, tu verrai etichettato. Etichettato come?, gli chiesi. Come uno scrittore horror, rispose. Mi misi a ridere. Cosa? Come M. R. James e Edgar Allan Poe e Mary Shelley? Ho detto, non m’interessa”.
“Non mi sto intenzionalmente allontanando dal soprannaturale, come non mi ci sono intenzionalmente avvicinato. Come scrittore, lavoro sulle intuizioni. Quando mi viene l’idea per una storia, mi metto a scriverla. Prima di iniziare, però, mi faccio sempre una domanda: “Cosa rende questa storia tanto importante da essere scritta?”
Sì, è un cut’n’paste da Stephen King. Ne sentivo il bisogno.