Archive for 3 agosto 2011

Non aprite quella porta e appendete il vischio

agosto 3, 2011

E poi c’è Sam Raimi, che in Drag me to hell (era il 2009) si accorse fra i primi che le banche americane scricchiolavano, e che non era il caso di concedere proroghe sul mutuo a vecchie gitane con le unghie sporche. Raccontava molte cose, quel film, oltre alla vicenda ben nota della maledizione e della Lamia vendicativa: per esempio, la fine dell’utopia yuppie incarnata dalla bionda e tailleurata protagonista, che per fare carriera (e la carriera si fa calpestando gli altri, specie se malvestiti, poveri e con il fazzoletto fetido) piomba in un incubo. Ma raccontava anche che all’inferno si continua a venir sbranati, per l’eternità: e che, insomma, erano in arrivo i tempi oscuri. Detto, fatto.
Non è una novità, non è un’intuizione originale il sostenere che ogni filone del fantastico non nasce a caso, che lo spirito del pioniere americano si rifletteva nella gloriosa fantascienza stellare e che tutte le ragazze che facevano sesso anzitempo venivano punite – perchè così va fatto – in uno stuolo di B-movie orrorifici dei tempi pre-pillola e che i vampiri sono tornati ad affacciarsi dopo gli anni oscuri dell’Aids, per esempio (e non erano affatto buoni).
Magari, varrebbe la pena di interrogarsi sul perchè le narrazioni fantastiche oggi prevalenti siano quelle con risvolto sentimentale. Anzi, nessun risvolto: primo piano assoluto. Al punto che, come ho già detto altre volte, diventa molto difficile convincere il culture di un singolo filone del macrogenere che urban fantasy non significa romanzo rosa. Al di là della confusione – certo, spesso dettata dal proliferare di storie dove ci sono un lui e una lei a scuola e il lui non è quel che sembra ma è angelo/vampiro/altro purchè non umano – è interessante capire i motivi.
I filoni, appunto, non nascono e soprattutto non si sviluppano a caso. E quando parliamo d’amore, in queste storie, non parliamo di empatia, sostegno o più genericamente Bene. Parliamo quasi sempre di “arriva il principe azzurro, peccato abbia le zanne, o le corna, o le ali”. Cosa significa? Bisogno di certezze, potrebbe dire chi sa di psicologia. E potrebbe essere.  Bisogno di concentrarsi su micromondi, dal momento che quello più vasto presenta qualche problema. Potrebbe essere anche questo.
Dal mio punto di vista, ci leggo la mancanza di curiosità. Tutta la vecchia narrativa fantastica si basava su questo: porte che si aprono e che non si riesce più a richiudere, astronavi che finivano dritte su pianeti proibiti, libri maledetti, case infestate, pozioni nefaste, ambizioni che degeneravano in hybris e conducevano alla catastrofe.
Possibile che tutto l’armamentario si sia ridotto a una fede da portare al dito?  O meglio: possibile che l’unico antidoto agli scricchiolii del nostro mondo sia chiudersi in casa con il proprio fidanzatino, sia pure alieno?
Ho un ricordo molto preciso di cosa significhi “curiosità”. Avevo dodici anni, e alla mia migliore amica (più o meno: era uno di quei rapporti amore-odio che si possono avere solo fra ragazzine) morì la nonna, una vecchia signora con la schiena dritta e un’autorità da Papessa. Andai a trovarla, e per tutto il tempo le chiesi di vedere la nonna morta: ero curiosa, ero morbosamente e vergognosamente curiosa di vedere come fosse una persona senza vita. La mia amica lo capì, e guardandomi fissa negli occhi mi disse: “Aspetta il tuo turno, e il tuo morto”.
Roba da brividi, non è vero? Li provai davvero, quel pomeriggio, perchè sapevo che aveva ragione e che prima o poi avrei avuto “il mio morto”. Pagai, per così dire, la mia curiosità, come sempre avviene in tutte le storie fantastiche. Ma senza quella molla la storia non c’è. Ora, bisognerebbe capire come nasce il disinteresse per aprire le porte (il cadavere della vecchia signora era, appunto, dietro una porta chiusa) insieme al desiderio disperato di chiuderle, sbarrarle e dotarle di vischio attira-baci.
Proverò a farlo, dal momento che l’estate è propizia sia per la curiosità che per i ricordi.