Ieri la chiacchierata su Writer’s Dream è stata molto piacevole. Al punto che ho pensato di riportare qui alcune delle domande e risposte, saltando quelle su cui sono già tornata tante volte. Ancora grazie a organizzatori e partecipanti. E…l’ultima domanda era rimasta senza risposta, ieri, per cui approfitto e rispondo qui.
Rew: Nel capitolo 16 Sensei ricorda quando propose il suo Manga alla redazione della rivista. Da come hai descritto la scena sembra che Sensei ami disegnare. Col passare del tempo il suo amore verso i Manga è cambiato? Perchè all’inizio del romanzo sembra che sia solo una faccenda di soldi e fama, detto in parole povere.
La Sensei è un personaggio molto particolare: soprattutto perchè, in una storia dove tutti mutano, è quello che muta più profondamente, portando alla luce tutto quello che aveva ricacciato dentro di sè in vent’anni.
Ho cercato di immaginare cosa succede ad una donna che ama il proprio lavoro – arte, se vuoi – inizialmente con passione totale. Come è per Ivy. E che poi deve, giocoforza, adeguarsi alle regole. Non tanto quelle del mercato e dell’editoria. Ma le sue. La sensazione di “potere” che esercita nei confronti dei fan, e dei suoi personaggi.
La passione c’era e non c’è più, ecco la risposta.
Demonio pellegrino: prima ancora di pubblicare il libro, hai annunciato che era il primo di una trilogia. Due domande: non credi che questo possa aver alienato possibili lettori che non hanno voglia di un’ennesima trilogia? E in ogni caso, hai gia’ venduto i diritti per gli altri due libri?
Quando ho finito Esbat NON SAPEVO che sarebbe stato il primo di una trilogia. L’ho saputo dopo poco tempo, in realtà, perchè avevo la sensazione che, pur essendo una storia conclusa, avesse bisogno di chiudersi del tutto.
Quindi ho scritto gli altri due soprattutto…per me. E per le persone che leggevano su Efp.
Prima risposta: spero di no, perchè ogni libro è autoconcluso e ogni storia è profondamente diversa.
Seconda risposta: non ancora.
Pyros: Prima di essere definitivamente pubblicato, Esbat ha conosciuto un processo di editing? Se sì, come si è svolto?
Ho finito Esbat a ottobre 2007.
L’ho chiuso in un cassetto per dimenticarlo.
Poi l’ho ripreso esattamente un anno fa e ci ho lavorato fino a ottobre. Nel mezzo, ho avuto consigli lunghi e dettagliati da Gamberetta che mi sono stati preziosi per evitare alcune incongruenze di meccanismo.
Ho cominciato a lavorare con l’editor di Feltrinelli a novembre. A quel punto ero già alla terza stesura.
Fino a febbraio ho lavorato con lui, poi con una seconda editor fino agli inizi di maggio.
Questo per quanto riguarda i tempi.
Un editing ha due forme: i meccanismi e la psicologia dei personaggi, e il lavoro sul linguaggio.
In tutti e due i campi, mi sono state fatte delle osservazioni e io ho ragionato per trovare una soluzione.
Diciamo, visto che in giro si leggono molte cose ingiuste sugli editor, che nessuno, mai, mi ha proposto di uniformarmi ad uno stile non mio.
Pyros: Interessante. Nessuno di loro ha avuto problemi con ciò che ho segnalato io su Gamberi Fantasy?
Gamberetta aveva dubbi simili su Hyoutsuki, gli editor no.
Approfitto per risponderti però.
Tu hai segnalato la “gnokkaggine” del protagonista. Tra l’altro attribuendogli desideri e ambizioni (anzi, la mancanza dei medesimi) decisamente umani. Da come l’hai messa tu, più che un Demone sembrava un laureato in Scienze della Comunicazione che non si impegna abbastanza a costruirsi un futuro.
Ecco: bene o male che io l’abbia delineato, Hyoutsuki è un Demone. E’ “altro” dall’umanità. A mio modo di vedere, l’altro, il Divino, deve possedere una forma di bellezza annichilente. Mostruosa, in quanto perfetta. Per me essere “gnokki” è un’altra cosa: ma stiamo entrando, naturalmente, nei gusti personali, che sono legittimi. Purchè vengano espressi, a mio modo di vedere, con il garbo che va tributato a un lettore – ma anche a chi scrive.
Laurie: Premesso che non mi sembra tu ami molto le etichette, pensi che horror sia un buon modo per descrivere il tuo libro (o una buona categoria a cui ricondurre il tuo libro)?
Forse sì. Penso che laddove ci sia oscurità ci sia horror.
Hamish: Ora ti chiederei se Masada non poteva farsi i fatti suoi e lasciar morire la Sensei al capitolo 14; ma non la trovo una domanda consona alla situazione xD
Certo che poteva. Ma non sarebbe stato da lui: la amava.
(però questo sarebbe un ottimo spunto per una fan fiction: cosa sarebbe successo se…)
Hamish: Iniziando con il dire che tutti i personaggi hanno qualcosa dell autore (in questo caso Autrice): ce n’è uno in cui ti rivedi particolarmente?
Uh. Più di uno.
Ivy, naturalmente. Che, tengo a ribadire, non è la goffa fanciulla che diventa cigno: perchè non lo diventa. Anzi, secondo alcuni lettori della fan fiction, Ivy è troppo “normale” per essere un’eroina.
Ma io volevo proprio creare un personaggio “normale”. Un’adolescente come sono stata io, molto goffa, anche crudele e vigliacca, molto sognatrice.
E poi, in parte, la Sensei. Perchè, come lei, anche io tendo a reprimere molte cose di me. Salvo poi esserne travolta. Ma penso che accada a molti.
Rohchan: perchè hai scelto proprio Hyotsuki e Yobai come protagonisti, uno freddo e distaccato e l’altro calcolatore e intelligentissimo, invece di usare personaggi più, come dire, semplici -o forse meglio caratterizzati già in precedenza?
Per il motivo che tu stessa hai indicato. Mi interessavano due Altri, due non-umani, mossi da due opposte ambizioni. Hyoutsuki che vuole rimanere esattamente come è sempre stato, immobile in un mondo perfetto, e Yobai che intende possedere e poi ribaltare quel mondo, per imporre le proprie regole “contro” quelle prestabilite. Ordine e Caos.
E mi interessava portare tutti e due al punto opposto da cui sono partiti
Di fatto, è Hyoutsuki quello che cambia più profondamente, e Yobai quello che conferma un ordine prestabilito.
Rohchan: Roma è una città immensa. Tutti i posti che usi per ambientare la storia li hai visti davvero, li conosci, o solo di fama? C’è una casa in particolare che hai immaginato essere quella di Ivy?
Sì, li conosco tutti.
Dalla metropolitana agli adolescenti di piazza del Popolo, fino alla casa perbene di Ivy che somiglia moltissimo a quella della madre di una mia amica. Impeccabile e gelata.
Io sono una ladrona. Persino la fontanella che starnuta (che non è in Esbat, come qualcuno sa) è vera. Guardo e poi prendo appunti.
Demonio Pellegrino: Altra domanda: cosa cerchi di tramsettere di piu’ al lettore con quello che scrivi? Vuoi colpire il lettore con la storia, e trasportarlo dentro senza che se ne accorga? Vuoi che il lettore venga ammaliato dalle atmosfere che sai creare (esempio: un Mishima, un Murakami, ma anche un Calvino)? Vuoi che chiuda il libro pensando che il tuo stile di scrittura e’ particolare e solo tuo (King e’ riconoscibile anche senza copertina, per esempio).
Posso dire sì a tutto?
In realtà, forse è la storia quella che mi interessa più di tutto: mi piacerebbe che chi legge dimenticasse dove si trova. Come succede a me quando leggo King. Questo è prioritario anche rispetto allo stile (anche se una storia senza lingua, e dunque senza stile, non si regge).
Però non si regge neanche senza atmosfere: quelle di Murakami, in particolare, sono luminose e crudeli insieme. Ma quella è Purissima Arte.
Io mi accontento di fare – se ci riesco – Buon Artigianato.
Hamish : Io ho una domanda che mi è balenata ora alla mente:
Hai mai pensato che qualcuno potesse fare fanfiction di Esbat? Hai mai pensato a come la prenderesti vedendo FF OOC o Yaoi? ò.O
Mi divertirei FOLLEMENTE!
E poi, come Rohchan può confermare, è stato aperto su Efp un contest su Esbat. Quindi mi auguro di leggerne.
OOC…be’, l’OOC non è esattamente qualcosa che amo. Ma dipende dalla storia, naturalmente. Quanto allo yaoi: non ne ho mai scritto. Ma esiste un Bonus Chapter, che ho riportato sul blog, che include un abbozzo di scena yaoi. E’, naturalmente, un’autoparodia.
Demonio Pellegrino: Uno dei problemi – a mio avviso – della letturatura contemporanea italiana e’ che pare tutto si riduca al proprio tinello: anche quando la storia puo’ essere interessante (tipo Caos Calmo) non mi pare ci sia quasi mai uno sforzo di andare oltre la propria citta’, la propria casa, il proprio bar (ci sono eccezioni, ovviamente, la migliore delle quali mi pare siano i Wu Ming).
E qui la domanda: cosa ti ha spinto a cercare di “andare oltre” il tuo tinello? Certo sarebbe stato piu’ facile ambientare tutto in Italia: quanta ricerca in piu’ hai dovuto fare per rendere il tutto piu’ credibile? Quanta fatica?
La risposta, forse, è banale: ho cercato di scrivere quello che desideravo leggere. Certo, ho faticato e sto faticando ancora: se Esbat aveva il problema dell’ambientazione geografica, Sopdet ha quello della tripla ambientazione temporale (Prima Guerra Mondiale, Repubblica di Salò, 1977…OLTRE ai nostri giorni e OLTRE la dimensione parallela)…E Tanit è il testo dove si tirano i fili di tutti e tre i libri quindi richiedeva un ulteriore salto mortale.
Credo però che la ricerca sia non solo fondamentale. Ma anche immensamente divertente
Rohchan: quando sei in un posto, e poi lo inserisci nella storia…com’è il processo? Ti guardi intorno e ti dici “ah, questo posto potrebbe andar bene per…”, oppure i tuoi personaggi “piombano” nel luogo in cui ti trovi senza darti scampo?
No, in realtà funziona tutto a posteriori. Sto scrivendo E in quel momento mi viene in mente la casa col pianoforte o la fontana che starnuta e dico “qui”. Ci sono stati capitoli dove la storia ha preso una direzione opposta a quella che pensavo, ed è avvenuto mentre li scrivevo.
Il bicchiere che la Sensei rompe da bambina è un episodio della mia infanzia che mi si è catapultato davanti all’improvviso, e a cui non pensavo più…è abbastanza automatico, in prima fase.
In altri casi, come la signora messicana che mi ha regalato la collana – ne ho parlato nel blog – succede il contrario: “ehi, parto da questo episodio per…”.
Ma sono più rari.
Hamish: Ora, probabilmente me lo sono perso per strada, ma: qual’è il vero nome della Sensei?
La Sensei non ha nome, ed è una scelta voluta. Volevo che fosse fortissima l’identificazione tra persona e autrice del manga e idolo del fandom. Era un modo per rendere più forte l’azzeramento emotivo che aveva fatto prima che il Demone entrasse dalla finestra.
Demonio Pellegrino: Una domanda personale: come influisce sulla tua vita sociale il fatto di essere una scrittrice? Mi spiego: quanto credi influenzi gli altri il fatto che tu dica “sono una scrittrice” quando li conosci. E quanto influenza te nel rapportarti con gli altri.
Credo che non influisca, perchè non sono riuscita ancora a dirlo. Al massimo dico “sono una che scribacchia”. E’ che faccio resistenza, sai? Mi viene subito in mente Totò che fa “lei non sa chi sono io”.
Quindi, a me non influenza affatto nel rapportarmi con gli altri. E mi auguro di cuore che non influenzi gli altri: perchè una cosa sono i testi, un’altra le persone. Spero.
Rohchan: Chi ti piacerebbe leggesse il tuo libro? Nel senso che diresti….’caspita, anche tu? sono onorata!’
e…se potessi invitare a cena venti persone per festeggiare Esbat…chi inviteresti? famose o meno, eh…^^
La prima risposta è scontata quanto impossibile. Ovviamente, Mister King. Ma non accadrà mai. La seconda: inviterei le venti persone (ci siamo, più o meno) con cui ho condiviso la pubblicazione di Esbat su Efp, e che hanno seguito più da vicino la stesura della trilogia, aiutandomi con i loro commenti e le loro critiche o semplicemente leggendo. E non è detto che non lo faccia, prima o poi.