Archive for dicembre 2010

Leggende/4

dicembre 31, 2010

Qualcuno lo festeggia ad agosto, tuttora, come gli antichi Egizi. La festa si svolge nell’arco di una settimana, in cui ogni giorno è caratterizzato da una precisa simbologia.
Sono cinque. I cinque giorni intercalari, tra un anno e l’altro, considerati fuori dal tempo. I giorni in cui nacquero i Neteru: Iside, Osiride, Seth, Nefi e Horus.
Per ogni giornata della festa del nuovo anno si celebrano riti, si riflette sul passato e ci si pongono obiettivi per il futuro. E si mangiano torte a forma di serpente per ricordare la sconfitta di Apep, la serpe che fu incarnazione di Isfet.
Il Caos.
L’anno nuovo inizia al sorgere della costellazione di Sirio.
Nel linguaggio cerimoniale egizio, il suo nome è Sopdet.

Buon anno.

Leggende/3

dicembre 30, 2010

La nascita e la morte sono legate: nella rappresentazione della Dea così come nelle leggende. Ci sono nascite e ci sono morti, in Sopdet, e aleggiano anche alcune leggende che al parto sono legate.
Curiosamente – o neanche troppo – molte si somigliano, anche se provengono da paesi fra loro lontanissimi. In Giappone, per esempio, gli spettri delle donne che muoiono durante il parto si chiamano Ubume. Appartengono al mondo degli Yuurei (parolina che i lettori di Esbat hanno incontrato), le anime dei morti che non riescono a lasciare il mondo dei vivi perché la loro fine è stata improvvisa o violenta, o perché  qualcosa le trattiene. E’ il caso delle Ubume, che si aggirano accanto alle loro case perdute comprando dolci per i figli ancora vivi,  traendo dalle pieghe delle bianche vesti  monete che si trasformano in foglie secche.
In Sardegna questi spettri si chiamano Panas, e sono condannate  a tornare sulla terra per sette anni, nelle ore notturne, per lavare i propri panni insanguinati in un fiume o torrente (anche qui, ricordate il tabù ebraico verso  il sangue femminile?). Lavando, cantano una straziante ninna-nanna. Non possono parlare, non possono interrompere il proprio lavoro. Unico modo per sottrarre una giovane madre a questo destino era seppellirla con un ago infilato, affinché il suo spirito potesse occupare il tempo a cucire il corredo per il neonato, invece di essere costretta al fiume.
Per alcuni, sarebbero donne morte di parto anche le Banshee, gli spiriti femminili della mitologia irlandese, di bianco o di verde vestite e con gli occhi arrossati dal pianto, che si aggirano accanto a laghi e fiumi e  sono  presagio di morte per chi le incontra.
Kipling racconta dei fantasmi indiani: quelli delle puerpere si chiamano Churel, vagano per i viottoli al crepuscolo o si nascondono nei campi. Emettono un richiamo seduttivo, come le yuki-onna giapponesi. Rispondere significa morire “in questo mondo e nel prossimo”. I loro piedi sono girati al contrario e il loro desiderio è  imprigionare giovani uomini finché non diventano vecchi (anche qui: non vi suggeriscono nulla i post precedenti?).
In Malesia questi spettri si chiamano Langsuir e sono vampiri, hanno capelli lunghissimi (come sempre: i capelli lunghi e sciolti sono simbolo di seduzione) e una fessura alla base del collo con la quale succhiano sangue ai bambini.  Alle donne morte di parto, per impedire la trasformazione, si infilavano aghi (rieccoli!) nei palmi delle mani. E pezzi di vetro fra le labbra. Silenzio, e operosità.
Anche i Civatateo aztechi erano vampiri, e in precedenza erano donne morte durante il travaglio: avevano volti e mani bianche e vesti decorate con le ossa dei viaggiatori che uccidevano. Servivano Tezcatlipoca e Tlazolteotl.
Le divinità della luna.

Leggende/2

dicembre 29, 2010

In Sopdet appare più volte la parola ghoul, riferita ad uno dei personaggi di cui vi racconterò più avanti. Ghoul viene dall’arabo al-ghūl e indica, originariamente, un mutaforma.  Può apparire come animale  (soprattutto una iena) o essere umano. Dicono di lui che profani tombe per nutrirsi delle carni di chi vi è sepolto. O che uccida e mangi bambini.
Chi ha letto Lovecraft conosce ancora una diversa sfumatura del ghoul: fatta salva la natura notturna delle creature, la loro origine è umana, e la trasformazione avviene quando si sono cibati di un cadavere. Chi ha giocato a Vampire, The Masquerade sa anche che i ghoul sono umani che hanno bevuto sangue di vampiro.
Nella leggenda, i ghoul nascono come demoni. Anzi, come Jinn: ovvero, i demoni arabi che, similmente agli youkai e ai daimon, si pongono a metà fra umano e divino.  Il genio della lampada di Aladino, per dire, è un jinn.
Esistono anche ghoul di casa nostra, simili a demoni o a vampiri, che cercano di nutrirsi di bambini. Ce n’è una, femmina, in Sardegna. Si chiama surbile, e brama il sangue dei neonati: per averlo, muta la propria forma in mosca o gatto.
Per combatterla, si pongono scope rovesciate agli angoli delle stanze. Che è una delle consuetudini apprese  dalla protagonista di Sopdet.
(Per la cronaca, ricordo perfettamente mia nonna bruciare incenso ai quattro angoli della stanza quando ero bambina: per cacciare le streghe).

Leggende/1

dicembre 28, 2010

Ci sono molte piccole storie dentro la storia più grande. Sopdet, così come Esbat e Tanit, cammina su una strada di leggende.  Alcune vengono dal Giappone, altre sono italiane, e si mescolano senza distinzione.
Per esempio, è giapponese l’accenno al  Chochinobake, lo spirito della lanterna di carta.  Nel mio caso, è uno spirito che nasce dal dolore e dalla vendetta. Abitualmente, invece, le lanterne fantasma sono semplici  Tsukumogami: l’idea giapponese è che gli oggetti che arrivano a cento anni di esistenza diventano animati. Tutti, dalle spade ai giocattoli.  Con una sola differenza: se quell’oggetto è stato gettato via o utilizzato senza rispetto, diventerà uno spirito malvagio e infesterà la casa di chi lo ha posseduto.
La dama nella nebbia, invece, è una leggenda senza patria. Somiglia alla yuki-onna, che si manifesta nelle notti di tormenta e neve per adescare e uccidere. Ma somiglia anche ad una storia che si racconta a Milano. Sembra che nel Parco del Castello appaia, nelle notti dove la nebbia è più fitta, una figura vestita di nero, con un velo che le copre il volto. C’è odore di violette quando si manifesta. Ma, nonostante il velo, si percepisce come una donna bellissima. Il viaggiatore che si fermi, incauto, davanti a lei, si vedrà porgere una manina fredda. E se la prenderà, camminerà con la dama dentro la nebbia, fino ad arrivare al cancello di una grande villa. Allora, la dama si frugherà nella veste per trarne una chiave arrugginita e aprirà il cancello. Dentro la villa, la luce delle candele rischiarerà una stanza con le pareti nere, e poi saloni fastosi coperti da insegne funebri, e infine una sala enorme, dove un’orchestra invisibile inizierà a suonare. E l’incauto viandante danzerà e dimenticherà il suo nome, e seguirà la donna in un letto coperto da lenzuola di seta nera. La dama si spoglierà, ma senza togliersi il velo. E quando l’uomo l’avrà posseduta, avrà il coraggio di scostarlo dal suo viso. E impazzirà: perchè sotto il velo c’è un teschio.

(non vi suggerisce nulla, questa leggenda, alla luce di quanto raccontato nei post precedenti sul “pericolo” del Femminile?)

Demoni e dei/10

dicembre 27, 2010

C’è una Dea che deve riprodursi e un Dio che serve a questo scopo, e subito dopo muore.
Una Dea che si ripiega sull’amore carnale e la maternità. Un Dio destinato alla fine, con un altro, simile a lui, che prenderà il suo posto.
A Micene era Potnia Theron, la Signora degli Animali, dominatrice dei leoni e delle montagne.
Per i frigi era Cibele, che un giorno si innamorò del giovane e splendido Attis. Quando il ragazzo venne destinato alle nozze con la figlia del sovrano di Passinunte, Cibele apparve al matrimonio e suscitò follia in tutti gli invitati. Attis si evirò sotto un pino, e in un pino venne trasformato dalla pentita Signora.
Per i Greci era Afrodite.  Il suo innamorato, Adone, nasce dalle lacrime di Mirra, trasformata in albero per la vergogna dell’incesto. Uscito dalla corteccia, Adone è così bello che Persefone, cui era stato affidato, non vuole più restituirlo. Zeus dispose allora che avrebbe passato quattro mesi con la Dea dei morti, quattro con Afrodite e quattro con chi desiderava. Quando Adone decise di trascorrere con Afrodite anche i quattro mesi di cui poteva disporre, un’altra Dea – Artemide – inviò contro di lui un cinghiale, che lo ferì a morte. Dal suo sangue nacquero anemoni rossi.
Non c’è dunque alternativa? Da una parte un Dio maschile che espelle ogni cosa del femminile, salvo il materno, dall’altra una Dea che per il materno uccide il proprio sposo?
A dire il vero, esiste una teoria che ho raccontato in Esbat e che tornerà in Tanit. Gilania.  C’è una storica e archeologa, Riane Eisler, che ha scelto questo nome – dalle parole greche gynè, “donna” e andros, “uomo”  – per indicare  una fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.c in rapporto soltanto al neolitico) fondata sull’ uguaglianza fra i sessi e sull’assenza di gerarchia e autorità. Per Eisler, e per un’altra studiosa, Marija Gimbutas,  i nostri antenati credevano in una Dea che governava l’universo e che era fonte di unità: era materna ma non crudele, saggia e lungimirante.
Le prove? Per Eisler, sono nell’arte  del paleolitico superiore, dove  non esiste alcuna rappresentazione di violenza: non una raffigurazione di guerre, di eroi guerrieri, di armi utilizzate da umani contro altri umani. È rappresentato soltanto quello che corrispondeva alla venerazione della vita: piante, animali, dee. Di più: queste società vivevano secondo un modello comunitario, attestato dalla loro architettura, e durante le cerimonie religiose,  i cui costi erano a carico dell’intera comunità, i poveri e i deboli sedevano al centro, occupando quindi un posto d’onore. Inoltre i siti funerari non mostrano alcuna differenza legata al sesso o alla condizione sociale, quindi nessuna rigida gerarchia. Nè schiavitù.  Non esistono tracce di fortificazioni militari: in queste società, le località d’abitazione non erano scelte in funzione della loro posizione strategica (vertice di una collina) bensì sulla base di criteri di bellezza del luogo, legati al mito del giardino dell’Eden, ancora molto presente.
Le società gilaniche furono distrutte tra il 4000 e il 2500 a.c, da orde nomadi venute dal sud della Russia, i Kurgan, «governate da classi sacerdotali e guerriere che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra».  In questo modo, violentemente, sorse la civilizzazione del dominio che sostituì quella fondata sul parternariato o gilania, portando alla nascita del patriarcato, delle classi sociali, dello Stato.
Così Eisler.
Questa età dell’oro, per me, è diventata qualcosa di più. Un’epoca dove umani e non umani potevano convivere. Fianco a fianco.
Ma questa è ancora un’altra storia. E forse è presto per raccontarla.

 

Demoni e dei/9

dicembre 24, 2010

Ho immaginato, in tutte le mie storie, che gli youkai aspirassero all’Ordine, e insieme ne fossero il simbolo e i custodi.
Hyoutsuki si sente parte di quello che considera un ordine naturale e magnifico e intangibile.  Yobai, pur inconsapevolmente, vi aspira.
Ho sempre pensato a Hyoutsuki come al Maschile Puro. Come, se Graves non mi lincia dall’oltretomba, a un Dio Bianco.
Ma ho sempre attribuito ad Axieros il Caos, il Mutamento, il Potere. Ho sempre pensato ad Axieros come al Femminile Puro. Il Femminile non domato. Il Femminile prima che il dio geloso della Bibbia prendesse il sopravvento.
I motivi sono evidenti, credo.
Il corpo femminile muta, in modo più evidente di quello maschile. Il corpo femminile nasce “chiuso”. Ha un’imene che ne certifica la verginità. Il corpo femminile si “apre” e in virtù di quell’apertura partorisce.
Quell’apertura, per i popoli più antichi (e in fondo anche oggi) adombrava un legame con ciò che non vediamo. Con la vita. Ma anche con il mondo dei morti.
L’apertura della donna è un’apertura al cosmo e al mistero dell’universo: la mette in collegamento con gli dei e con la schiera silenziosa e tremenda  dei morti. Per questo, il potere femminile è considerato, anche, malefico.
“Il contatto con una donna mestruata trasforma il vino in aceto, uccide le sementi, devasta i giardini, rende opachi gli specchi, fa arrugginire il ferro e il rame, fa morire le api, abortire le cavalle, e così via“, scrive Plinio il Vecchio nella Historia Naturalis. Nella tradizione ebraica le donne mestruate sono impure. E impura è la donna che ha appena partorito. Il sangue mestruale è veleno. Sono le streghe a usarlo per i loro incanti: e le streghe, così come le fate, conoscono il segreto dell’aldilà. Possono passare fra i mondi.
Il sangue è potere.
La Dea, sempre fertile, sempre sanguinante, è potente.
E sempre ambigua: perchè maternità e morte sono legate. La morte è quasi sempre femmina.
E’ stato il Cristianesimo a far quadrare il cerchio: una vergine che partorisce,  restando (nonostante le dispute infinite su questo punto) vergine anche dopo la nascita di suo figlio. Mantenendo chiuso quel varco attraverso cui spettri e anime perdute possono passare.
Anche Eva è vergine prima di cogliere il frutto. Ireneo, in Adversus haeres, lo certifica. La perdita della verginità di Eva porta la morte nel mondo (come è avvenuto per altre dee disobbedienti di altre culture). Occorre attende l’arrivo di un’altra vergine per sanare la ferita.
Maria è vergine. E’ puro tramite ed è perfetta. E’ Madre ma privata di sessualità e di forza creatrice. Vaso, viene spessa definita. Vaso spirituale e Tempio sono fra gli appellativi ricorrenti di Maria.  “La mia natura divina scese nel vaso sigillato senza frattura né violenza”, dice Gesù a Santa Brigida.
Lilith non è vergine.  Come le sue sorelle che furono Dee e Madri, conosce l’amore carnale e il parto, non rinuncia all’uno in favore dell’altro. E questo spaventa. Perché lo sposo della Dea finisce col prendere il suo posto nel regno dei morti, e svanire.
Un’ombra di quel terrore resta anche su Maria. Quando appare nell’Apocalisse: “Una donna, avvolta di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo, essendo incinta grida per le doglie del parto”.
Ma Maria non è temibile davvero. Mai entra in contatto con Dio.  Nell’Occidente cristiano, nessuna Dea Madre potrà più competere con il dio geloso.
Nessun Disordine potrà turbare l’Armonia.
Forse.

Demoni e dei/8

dicembre 23, 2010

Ne accennavo ieri, ma voglio tornarci: la  definizione di “dio geloso” viene dalla Bibbia.
Esodo, 20,5:
Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano.

Non è solo questione di odio: questo Dio non vuole che si adorino altre divinità. Yahweh è l’unico, accentra su di sé la potenza creatrice, rivendica a sé i sacrifici.
Di animali.
Ma in due casi, anche umani: Isacco, che infine viene salvato. E una donna, la figlia di Iefte, che invece va a morire. L’episodio è nel Libro dei Giudici: Iefte chiede a Yahwe di aiutarlo a sconfiggere gli Ammoniti: «Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalla porta di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vincitore sugli Ammoniti, sarà del Signore e io l’offrirò in olocausto». Li vince. Torna a casa. E gli viene incontro, “con timpani e danze”, la sua unica figlia. Di lei non conosciamo neanche il nome. Il padre si straccia le vesti ma non può revocare la promessa: né la fanciulla lo vuole. Chiede solo due mesi per “piangere la propria verginità” sulle montagne, in compagnia delle amiche. Passati i due mesi, si riconsegna al padre, e viene uccisa.
Solo con il Cristianesimo il femminile torna ad essere preponderante. con Maria o Miryam che dir si voglia: ma del femminile viene riconosciuto soltanto il materno. E il verginale. Ogni aspetto oscuro viene eliminato.
O riversato in Lilith, che secondo la cabala ebraica è la prima sposa, poi ripudiata, di Adamo.
Ma Lilith è interessante. In Mesopotamia era il demone delle tempeste e del vento. E della morte. Per i sumeri era Lil-itu, o Ninlil, la signora dell’aria. Nell’Ebraismo era da una parte legata ad Astarte. La Grande Madre. Ishtar. Ma nell’immaginario popolare era uno spirito della notte che appariva in forma di civetta: era  il femminile temibile, la donna votata ad adulterio, stregoneria e lussuria. Ed era dannosa per i bambini maschi. Ai neonati di sesso maschile si poneva al collo un amuleto con i nome di tre angeli  (Senoy, Sansenoy e Semangelof detti anche Sanvi, Sansavi e Semangelaf) per proteggerli da Lilith. Attorno alla loro culla si tracciava un cerchio per proteggerli. Ai ragazzi non si tagliavano i capelli per ingannare Lilith e farli credere fanciulle. Si temevano le eiaculazioni notturne perché Lilith le utilizzava per generare demoni, i jinn della tradizione islamica. Nel Libro dello Splendore, lo Zohar, “Ella vaga a notte fonda, vessando i figli degli uomini e spingendoli a rendersi impuri”. Nel Libro dei Proverbi si dice:

I suoi cancelli sono cancelli di morte
e dall’entrata della casa
se ne va verso Sheol.
Nessun che entri tornerà mai
e coloro che la possiedono scenderanno l’Abisso.

Lilith può avere artigli da rapace o coda da sirena. Ha capelli lunghi, forse rossi. Ha pelle blu e occhi di fuoco. E ha le ali: perché le ha ottenute dopo aver pronunciato il nome segreto di Dio.

Lilith e la mia Axieros si somigliano molto.

Demoni e dei/7

dicembre 22, 2010

Anche Ishtar, la Dea della Mesopotamia che governa l’amore e la guerra, scende agli inferi e può risalire soltanto quando ha lasciato, al suo posto, il proprio sposo. E’ la Dea delle tempeste, dei sogni, dei presagi, dell’amore. Come la fenicia Astarte. Come, in Tracia e Anatolia, fu Ecate.
Ecate non si limita, però, a scendere una sola volta agli inferi. Ecate è  in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli Dei ed il regno dei Morti. Spesso è raffigurata con delle torce in mano, proprio per questa sua capacità di accompagnare anche i vivi nel regno dei morti. E’ la Dea degli spettri e del Triplice. Tre sono le sue facce: giovane, adulta, vecchia. Il punto in cui le strade si incrociano e diventano tre la accolgono. Tre sono i suoi corpi e i cani infernali la accompagnano. Perché è la Dea del parto, ed è la Dea della morte.
Ecate è una delle Grandi Madri. Signora dei luoghi. Signora della vita. Signora delle Storie.
La Dea è femmina, ci ricorda Robert Graves. Almeno finché un dio geloso non si impone come unico, e onnipotente.
E persistente.
Consiglio: leggete La Dea bianca di Graves. E leggete L’eroe imperfetto di Wu Ming 4. Per capire quanto, nella nostra vita quotidiana e non solo nelle lettere, abbiamo dimenticato della Dea.

Demoni e dei/6

dicembre 21, 2010

Non di padre nè di madre
fu il mio sangue, fu il mio corpo.
Mi formai da nove fiori
fiori d’ortica, di quercia e di rovo
nove poteri di nove fiori
nove poteri combinati in me.
Lunghe e bianche sono le mie dita
come la nona onda del mare.
Ho suonato a Lloughor
ho dormito nella porpora
la mia corona è di rossi gioielli
conosco molte canzoni
la mia tunica è tutta rossa
ma non profetizzo alcun male.
Un milione di angeli
sono sulla punta del mio coltello.

Sono un vento su un lago profondo
sono una lacrima che il sole lascia cadere
sono un falco alto sulla scogliera
sono una spina sotto l’unghia
sono una collina dove camminano i poeti
sono una marea che trascina alla morte.

E’ una canzone degli Ataraxia ed è dedicata ad Axieros. A una Dea che non è definibile con i concetti di Bene e Male, come è giusto.
Il nome di Axieros viene da lontano. Da Samotracia. Axieros è una delle tre entità che permette l’iniziazione al culto dei Cabiri, insieme a Axiokersa e Axiokersos.
Secondo gli studi più recenti, Axieros è il maschile: “Axieros è il Fuoco Solare, il Creatore, la Mente nell’atto generante della creazione. Axiokersos è il Distruttore/Perfezionatore, il Fuoco Vulcanico, la Mente nell’atto formativo della creazione. Axiokersa è il Riconciliatore/preservatore, il Fuoco Astrale o Anima Spirituale. Mentre questi Dei passano, il candidato regge in mano il Tetraedro o Piramide di Fuoco, che rappresenta simbolicamente tale Triplicità in questi tre aspetti”.
Apollonio Rodio, però, la identifica con Demetra, e associa  Axiokersa a Persefone, Axikersos ad Ade.
A me piace pensare che siano tre facce della stessa divinità, e che quella divinità sia femminile, e che distribuisca, insieme, fecondità e morte.
Axieros, per me, è anche Inanna, la dea dei Sumeri che governa l’amore e la guerra. Inanna che perde il dio che le è stato promesso perchè quel dio, impaurito dalle ostilità che si opponevano alle nozze, fugge e si sfracella da una rupe, vicino a una cascata.  Inanna che da quel momento seduce e uccide uomini e dei, e che Gilgamesh rifiuta perché “nessun uomo è rimasto vivo fino all’indomani mattina, dopo avere giaciuto con lei nella notte”.
Inanna che un giorno scende nell’oltretomba con i suoi abiti e la sua ancella, per rendere omaggio alla sorella che governa la terra dei morti, e il cui sposo è stato ucciso proprio da Gilgamesh.
Sette sono le porte che attraversa, e ad ogni porta le viene tolto un indumento, finchè, nuda, si trova davanti ai giudici degli inferi, che la condannano a morte. L’ancella fugge, chiede al dio Enki soccorso: e il dio, con la terra sotto le sue unghie, modella due creature che non hanno sesso, non generano e dunque possono sfuggire alla morte:  il Kurgarra e il Galatur. Le creature volano fino alla dea della morte,  Ereshkigal, e la seducono.
Chiedono, in cambio, il cadavere di Inanna. Lo ottengono. Versano sul suo corpo l’acqua della vita. Inanna si risveglia, ma non può tornare dagli inferi senza fornire qualcuno che la sostituisca. I Galla (demoni del destino) le propongono diversi sostituti: la sua ancella o i suoi figli. Infine, sarà lo sposo di Inanna, che non porta il lutto per lei, a scendere nell’oltretomba.
Un’altra Dea ha compiuto lo stesso cammino. Una Dea a cui Axieros molto deve.
Ishtar.

Demoni e dei/5

dicembre 20, 2010

Quel che mi ha sempre affascinato nella mitologia giapponese è la coesistenza di creature che variano in apparenza e sostanza. Il termine youkai, in effetti, può essere utilizzato non solo nel significato di semidio e di daimon su cui ho scelto di soffermarmi nelle mie storie, ma si estende ad esseri apparentemente meno temibili.
In Esbat, per esempio, fa una fugace apparizione un bakeneko, un tipo di youkai felino  in cui un gatto propriamente detto si può trasformare quando raggiunge un’età avanzata.  Il bakeneko è un gatto gigante e cammina sulle zampe posteriori.
Vi ricorda niente? Esatto: ne esiste una versione che si chiama Behemot, ha il mantello nero e appare ne Il maestro e Margherita di Bulgakov, in accompagnamento a un demone.
Anzi, a un diavolo, il Professor Woland.
E se qualcuno avesse dubbi sul motivo per cui dialogo con un gatto fantasma, sappia che “gatto fantasma” è una delle traduzioni di bakeneko.
Molto più complicato, invece, trovare nella sola mitologia giapponese le origini della mia Dea.  Anche se Izanami potrebbe essere una degna fonte di ispirazione. Izanami è la dea creatrice. E, come sempre avviene, contiene in sè il Bene e il Male. Compagna del dio Izanagi, si nutre di cibo infernale e si trasforma in demone malvagio. Izanagi scende nel regno del male, lo Yomo-Tsu-Kumi, per riportare la propria sposa sulla terra. Izanami, spaventata, si avventa su di lui per ucciderlo. Izanagi fugge e sbarra le porte dell’inferno con un masso. Izanami urla che avrebbe preso la vita di 1000 umani per ogni giorno di lontananza, Izanagi le risponde che lui allora avrebbe dato la vita a 1500 umani per ogni giorno.
E’ in questo modo che la morte entra nel mondo.
Per mano di una Dea.