Archive for luglio 2008

Sex and the demon

luglio 31, 2008

Ci siamo. Il capitolo tredici di Sopdet è stato duro da scrivere (perchè lo volevo molto, ma molto cupo), ma il quattordici mi sta già guardando malissimo.

Parliamone fuori dai denti: come vi trovate a scrivere una scena erotica? Perchè c’è poco da fare, nonostante tutto (e per tutto intendo la facilità con cui si scrive di sesso un po’ ovunque, mica solo nelle fanfiction), per me la faccenda resta complicata.

Numero uno: perchè ho paura di scadere nella macchietta (esempio classico di tre quarti di fandom: “urlarono e vennero”. Il che, come ha sottolineato un’arguta commentatrice, sembra la didascalia dell’offensiva dell’esercito mongolo).

Numero due: perchè ho paura di essere poco credibile: è dannatamente difficile descrivere bene, con la dovuta tensione e la giusta passione, un amplesso. Per esempio: come definire le…ehm…parti coinvolte? Nome anatomico? Nomignolo? Censura e si trova un sinonimo? Altro?

Numero tre: il famoso point of view. Finchè è femminile, nessun problema. Ma poi la ripresa cambia, e si passa al personaggio maschile. E qui, si va per ipotesi e tentativi, per forza di cose: a meno di non essere un ermafrodito (no, non è il mio caso).

Numero quattro: il lettore. Sì, proprio tu/voi. Quanto ne rimarrà turbato? Quanto coinvolto? Quanto emozionato? Certo, vale per ogni scena, ma ho come idea che in questi casi l’attenzione di chi scrive vada raddoppiata per non infrangere il famoso “patto”.

Numero cinque: la delicatezza. Le scene di sesso “una botta e via” non mi hanno quasi mai convinta. Da lettrice, ho amato semmai quelle più lente, quasi esasperanti: che sono molto più difficili, però.

Ma chi caspita me lo fa fare, eh?

Come fare paura

luglio 30, 2008

Come fare paura? Vediamo. Ci sono delle situazioni che attirano il brivido per definizione.

Il buio, per cominciare. Sarà che il nostro cervello rettile funziona sempre egregiamente in assenza di luce e con amplificazione di scricchiolii e rumori vari. Ottima anche la nebbia, passabile la penombra e tutte le circostanze in cui la visuale è scarsa.

Al secondo punto metterei l’inaspettato. Ricordate gli Scary Movies? Laddove una fanciulla si trova i fili del telefono tagliati ed è sola in casa, si può scommettere che la sua anima volerà presto nel paradiso delle comprimarie. Invece la paura VERA era nei primi film di Dario Argento: il riflesso che non cogli, la stanza dove un armadio si spalanca improvvisamente, una canzoncina che echeggia da un luogo non identificabile. Ora, tutto questo è diventato maniera. E allora paura è, per esempio, la signora che entra in un camerino a provarsi un vestito e il vestito medesimo diventa vivo e le succhia via il sangue (sto andando a braccio, eh).

Al terzo posto vanno le paure reali: la perdita, in primo luogo. Un amante, un figlio, un genitore, un amico: la fine di un personaggio legato da questi rapporti con il protagonista è di per sè qualcosa che ti scaraventa in una sacca fredda di terrore.

Al quarto metterei l’inganno: quando un personaggio si pensa in salvo, e il lettore pensa la stessa cosa, e invece trova un’orribile fine proprio mentre già il respiro stava tornando regolare.

Al quinto pensate voi, vero?

La strada corre senza fine

luglio 29, 2008

Mese nuovo, vita nuova. Vabbè, luglio non è ancora finito, ma facciamo finta. Promesse solenni per i prossimi trenta giorni: finire Sopdet. Cominciare, almeno, la riscrittura di Esbat. Cercare di non mangiare troppe schifezze. Evitare di bere due mojito di fila come ieri sera. Leggere Ellroy (perchè fa bene alla salute). Non rimuginare sulle delusioni subite. Voltare pagina, insomma.
Quando ero bambina, e qualcosa andava storto, la mia migliore amica diceva: d’accordo, la medicina è stata presa. Adesso ti tocca il dolcetto. Voglio proprio pensare che sia così.
Confessione: spesso devo lottare con me stessa per non regalare un lieto fine ai miei personaggi. Ma non per sadismo, davvero: forse sono io a non credere fino in fondo negli happy end nel mondo reale. O forse penso che una sospensione, un’ipotesi di futuro, sia qualcosa di più accettabile rispetto ad un destino chiuso. E che un’ombra che oscura la luce sia qualcosa che la buona narrativa deve mettere in conto.
Penso a Il signore degli anelli, in questo caso: in particolare, a quello che sembra essere il coronamento del sogno d’amore tra Aragorn e Arwen. Ma che, il lettore lo sa, è già velato da quel che accadrà: e l’arrivo del corteo nuziale elfico con gloriosi stendardi adombra il giorno in cui Arwen si sdraierà tra i fiori per assaporare quanto sia amara la propria rinuncia all’immortalità.
Oggi va così, eh.

In procinto

luglio 28, 2008

Diciamolo, dà una gioia notevole. Qualcosa che si pregusta da giorni. Qualcosa che è bello immaginare prima di chiudere gli occhi, la sera. O che ti accompagna mentre cammini, e sei talmente dentro la visione che spesso le automobili ti passano a un millimetro. Ma non ti investono, perchè sei in stato di grazia. Sei luminosa. Hai la pelle liscia. Improvvisamente, tutti ti trovano bella.
Ed è bello dilungarsi nei preparativi.
Si predispone l’ambiente giusto, per cominciare. Luci basse, come è conveniente, per nascondere quel che va celato ed evidenziare ciò che occorre sia visto. Musica: non indispensabile, ma aiuta.
Poi, l’abbigliamento: che sia curato nei minimi particolari, per evitare che un laccio o un fiocco siano di impiccio al momento clou.
Ah, il trucco, certo. I capelli. Insomma, l’aspetto. Si deve essere bellissimi quando si va ad un appuntamento del genere.
Quindi, lo stato d’animo. Brividi di eccitazione, scontato. Attesa. Ma non bisogna aver fretta. Sarebbe un peccato essere precipitosi e andare per le spicce, affrettando il culmine. E’ delizia pura soffermarsi sugli istanti che passano. Lenti. Molto lenti.
Infine, il dopo. Va pensato anche questo: non c’è niente di peggio che essere sbrigativi dopo un’esperienza del genere. Attenzione ai dettagli, ai gesti, alle parole.
Quando capita, occorre gustare ogni fase.
Perchè è  meraviglioso, uccidere un proprio personaggio.

Di mano in mano

luglio 25, 2008

Oh, farsi mandare un poco in crisi da Neil Gaiman è la cosa più bella del mondo. Non so quanto lo amiate: io moltissimo, da quando, molto tempo fa, ho scoperto Sandman, e a seguire i suoi romanzi.

Ecco, il venerato Neil ha rilasciato un’intervista all’Espresso dove afferma ciò:

“Scrivere a mano aiuta a non dilungarsi. Quando usi il computer, se ci sono due cose che puoi inserire nella storia tendi fatalmente ad inserirle entrambe. Se scrivi a penna, invece, ne scegli una. Quando lavori col computer e devi consegnare 1.000 parole di un articolo e ti accorgi che ne hai scritte 1.100, pensi ‘Ok, ora devo tagliare 100 parole’. Poi spendi mezz’ora sfrondando frase per frase, ma quando vai a ricontare il pezzo è diventato di 1300 parole! Con la penna non succede. Questo non significa che poi non dovrai tagliare: per il mio American Gods, scritto a mano, molte delle pagine originali sono finite nel cestino. Forse dovrei ripescarle e metterle sul mio blog come se fossero pezzi nuovi!”

Io, invece, scrivo sempre al computer: me lo porto dietro anche durante le passeggiate, nello zaino. A mano prendo solo appunti che riguardano una scena o la struttura di un capitolo. Magari, una di queste volte, provo. Anche per dare ragione ad Angelo, che scrive a mano anche lui…

Robe di Kappa

luglio 24, 2008

Dunque, mentre procedo con la scrittura, le passeggiate, la mia immensa pigrizia, sono incappata in un capitolo di Un giorno cose terribili che mi ha dato da pensare.

Come già detto, Laurent Botti se la cava piuttosto bene nell’affrontare il classico topos del paese infestato, della nebbia sovrannaturale e delle morti misteriose.

A un certo punto, però, fa collegare il suo protagonista tredicenne a messenger. Notare che il ragazzino, fin qui, è decisamente anomalo rispetto ai suoi coetanei: sappiamo che legge molto, che la sua libreria è ben fornita, e che ha un cultura di tutto rispetto. Sappiamo che ama le carte di Magic perchè permettono di entrare in mondi narrativi che lo fanno sognare. Un gran bel tipetto.
Però, appena apre Msn, il nostro si trasforma come se avesse preso la pozione del Dottor Jekyll e ci dà dentro con le Kappa e le abbreviazioni.

Kome stai? Ti ho agg. kome kontatto.

Va avanti così per due pagine. E  non mi torna: io parlo via msn con diversi amici, anche giovanissimi, e nessuno usa le kappa o le abbreviazioni. Faccine sì, ma di quelle non si ritrova traccia nel libro di Laurent Botti. Non è plausibile, insomma, che un adolescente che viene descritto come estremamente sensibile alla lettura e alla scrittura si trasformi in un kappomane appena apre il computer.

Praticamente un corollario a quello che scrivevo ieri sui dialoghi: peccato, perchè una scivolata di questo genere mi rende meno credibile il personaggio costruito nella sessantina di pagine precedenti.

(per la cronaca, nella prima versione di Esbat ho commesso l’errore diametralmente opposto: il dialogo via msn fra Max e Ivy è esageratamente lungo e denso, e assolutamente improponibile con messenger. Infatti è il punto su cui sto lavorando, lavorerò al più presto)

Il femore del dinosauro e le parole dei personaggi

luglio 23, 2008

Una delle cose che trovo più difficili è adattare il dialogo ai personaggi.
Mi spiego: non tutti parlano allo stesso modo, evidentemente. E’ molto improbabile che un Demone di alto rango tiri bestemmie, è altrettanto poco veritiero che un adolescente timido dica, che so, “preparati ad affrontare il tuo Fato” ad un avversario che gli si para davanti (molto più probabile che la frase sia “Oh, cazzo”).

Sembra facile, messa così. Invece è uno dei terreni su cui scivolo più di frequente. Perchè la tentazione numero uno è quella di “mettere in maschera” il linguaggio: ho un personaggio di estrazione popolare, magari incline a svolte poco lecite della sua esistenza? Il rischio è di farlo parlare parafrasando il noir: “Bastardo – disse Joe – tu e la tua fottuta sorella”. Non regge. Avete mai sentito qualcuno nelle medesime condizioni che si esprime così? E poi io non conosco nessun Joe.

Riflettevo su questo, stamattina, e mi è tornata in mente la metafora del dinosauro usata da (ma dai, non indovinate?) King in On writing, quando dice che scrivere un romanzo è come fare gli archeologi. Il dinosauro è tutto intero sotto la sabbia: bisogna tirarlo fuori  senza lasciarne dei pezzi sepolti. E senza che la terra resti attaccata alle ossa, nascondendole.

E credo che pennellare via lo sporco, specie nel parlato, sia l’operazione più delicata. Perchè non bisogna che le ossa si incrinino (ops, un femore!)

Draghi, calendari e una pubblicità progresso

luglio 22, 2008

Signore? Ehi, signore! Dico a lei! Lei che è venuto qui a cercare “YouTube e il bracciale del drago dorato”. Guardi che proprio non ne so nulla. 
Sì, lo so che queste sono le chiavi di ricerca che ha immesso su google e che ho trovato nelle statistiche del blog, insieme a “dietologia e tette” . Ecco, di tette so di aver scritto una volta, ma il bracciale del drago dorato proprio non me lo ricordo. Anche perchè… venga qui, si sieda sotto quest’albero insieme a me. E’ comodo? Vuole un po’ di tè freddo? Un cuscino? Perfetto.
Adesso senta: lei ha presente i draghi, giusto? Sì, lo so che ormai con i draghi di Tolkien ci fanno anche i calendari, neanche fossero veline poveracci. Maggio: Chrysophylax sullo sfondo di una spiaggia delle Maldive. Vabbè. Dicevamo, i draghi.
Quello che volevo farle capire è che nessun drago che io conosca, che sia cinese o nibelungo, babilonese o greco, va in giro con i braccialetti. Intendiamoci, le creaturine hanno una vera passione per i gioielli: anelli, sfere, cose così.
Ma io un drago col bracciale …ahh, ma lei intende questo? Poteva dirlo subito. Peccato però. Mi sarebbe piaciuto che fosse una storia da inventare: il giovane orfanello YouTube contro un drago amante della bigiotteria. Non la faccio ridere, eh?

Allora provi con la nuova fan fiction di Angelo, Professione Betareader. Un altro sorso di tè?

Posto di blocco

luglio 21, 2008

Tanto vale che lo dica: ho un po’ di blocco. Non sono al punto di vomitare quando lancio Word, come fa Mike Noonan in Mucchio d’ossa, ma oggi non sono riuscita a combinare niente: testa altrove, molto altrove, e un filino di panico del tipo “non immaginerò mai più nulla, non potrò più raccontare”. Fa molto ridere, mi rendo conto, trattandosi dell’esternazione di una tipa che di serio nulla ha scritto e forse nulla scriverà mai: prendetela come viene, non mi sto dando arie, lo giuro sui gelsomini che ho di fronte.

Stamattina, in compenso, ho letto Panorama e un articolo allucinante su una donna quasi fatta fuori dal marito diversi mesi fa, a Macerata (non so se ricordate, il marito l’aveva pestata come una zampogna e infilata in un cassonetto). L’articolo si apriva con le dichiarazioni del sacerdote che si occupa del pestatore e che ha invitato la pestata al perdono e alla riconciliazione, con la giustificazione “nessuno l’amerà mai come lui”.

Quel che ci voleva per il mio umore, giusto?
Comunque, se avete consigli e rimedi antiblocco, dite.

Nei panni altrui

luglio 20, 2008

Sono stata in giro con le mie amiche, sono tornata, mi sono fatta una lunghissima doccia, mi sono depressa, mi sono tirata su, mi sono preparata tonno e rucola per continuare a tirarmi su e mi sono anche bevuta vino bianco. Dopodiche, davanti ad un calice di rhum (ottimo),  formulo la domanda che mi ha fatto rimuginare durante il viaggio in macchina, prima di tornare e deprimermi e prepararmi il tonno.

Il punto è che ci siamo raccontate un bel po’ di storie stregate, con le amiche. Una di loro conosce un vampiro, per esempio. O meglio, conosce un signore molto magico e interessante, che a sua volta conosce un mucchio di storie. Fa il pittore e sa tutto in materia di case stregate, per esempio. Odia l’aglio, odia lavorare con il sole e quando mangia con le posate d’argento non si sente troppo bene.

Ovviamente io ho drizzato le orecchie e ho detto: “mio!”. Ci faccio una storia. A seguire, lunga discussione sull’argomento: quanto è facile per una donna scrivere con il point of view di un maschio? Vale il viceversa, naturalmente, ma essendo io femmina parlo per me.

E’ difficile, diciamolo. Difficile sempre, non soltanto quando si va sulle scene di sesso (in questo caso è difficilissimo): ogni volta io faccio collage dei miei amici e conoscenti chiedendomi cosa farebbero e penserebbero in determinate circostanze. Sarebbe più semplice prendere sempre un pov femminile, ma la cosa non mi convince. Non nelle cose che scrivo, almeno: mi piace cambiare la visuale e cercare di essere sempre “terza” rispetto ai personaggi.

Però è anche molto bello: penso che sia uno dei rari momenti in cui si condivide (si crede di) davvero lo stato d’animo dell’altro sesso.

E poi ci sono i libri meravigliosi scritti da donne sugli uomini (Memorie di Adriano) e dagli uomini sulle donne (è necessario che vi dica a chi penso? Mi sa di no…),

Ps. In macchina la mia amica aveva abbandonato, con nonchalance, una copia di Novelle orientali di Yourcenar: l’ho sfogliato. Straordinario. La favola di Kali mi rimarrà nell’anima a lungo…