Archive for febbraio 2010

De te fabula narratur

febbraio 26, 2010

Vi è mai capitato di leggere qualcosa e di scoprire che quel qualcosa parla di voi? A me sì, stamattina, leggendo una recensione di Sandro Veronesi su un romanzo che si chiama Nonchalance e che voglio procurarmi subito.
Leggete queste parole:

“Attorno a lei vortica il dolore, che lei vede e riconosce col fiuto dei depressi, e poi scansa accuratamente. Ed è proprio quel suo accanito tentativo di tenersi lontana dal dolore che non funziona, che non può funzionare – anche quando tutti noi, leggendo e sprofondando nel suo stesso errore, lo consideriamo sensato. È lì che la sospensione diventa la più comune, la più invisibile e la più pericolosa delle malattie contemporanee, verso la quale la nostra civiltà mostra la stessa fatalistica indulgenza che i russi mostrano per l´alcolismo: l´autoreferenzialità. Per chiudere il varco al dolore, per non farlo entrare nella sua vita, per non provarlo, la protagonista finisce per impiombarsi in un – visto che siamo a Parigi – antibovarismo che è quasi peggio del suo celebre opposto. Anzi, è peggio, perché è fondato sul falso assunto che sia possibile risanarsi evitando, omettendo, rimuovendo, e lasciando agli altri il dovere di soffrire”.

Questa sono io. Questa è Lara. Paura.

Prima e terza

febbraio 25, 2010

Il problema è: sto scoprendo la prima persona. E mi piace non poco, anche se il rischio che si corre è quello di mettere nella storia troppe cose di se stessi. Una personalizzazione, insomma,  che in ogni momento può sfuggirti dalle mani e diventare ombelicale, con danni collaterali, per il lettore, evidentissimi.
Ma il romanzo che svilupperò dall’abstract ochesco è a doppio punto di vista: quella che attualmente non è visibile è la controparte maschile di Lavinia (che non è Sam). Ed è una controparte fondamentale.
Non amando troppo la suddivisione in capitoli dice-lei/dice-lui, temo che dovrò tornare alla terza persona.
E un po’ mi dispiace.

Goth club

febbraio 24, 2010

C’è una cosa che da una parte mi diverte, da una parte mi fa piacere. Noto che molte autrici che fino a qualche mese fa erano “le più rappresentative del thriller italiano”, ora sono diventate “le più rappresentative della nuova scena gotica italiana”.
I motivi del divertimento sono trascurabili.  Quanto al piacere: trovo una gran bella cosa che il termine “gotico italiano” si diffonda.  Mi ci riconosco molto, forse perchè la definizione è più corretta di “horror” o di “fantasy” e horror-urban-fantasy è un po’ troppo lunga, e  il termine “narrativa fantastica”,  il più amato, viene considerato troppo generico.
Dunque, cari amici del goth club, ci stiamo ampliando: ottimo segnale, direi.

Il gioco di Lavinia

febbraio 23, 2010

Discorsetto sulla cattiveria. Anzi, sulla presunta cattiveria dei personaggi femminili: i miei.
Dopo due romanzi (Sopdet e Tanit) in cui avevo lavorato sull’ambiguità più che sul lato oscuro di un’eroina, con Lavinia torno ai tempi della Sensei. In modo molto diverso, però: perchè la Sensei è, tutto sommato, impigliata in un meccanismo molto più grande del suo cedimento sentimentale ed esistenziale. E’ un’assassina, certo: ma è anche una vittima.
Lavinia sceglie. Lavinia è una donna ferita, e non accetta di esserlo: non accetta, cioé,  di essere stata usata, ingannata, abbandonata con noncuranza. Non accetta l’indifferenza con cui viene trattata. Non accetta di essere solo un tassello di un gioco: vuole giocare in prima persona, e a modo suo.
Quello che per ora è quasi un abstract per Il gioco dell’Oca (quanto amo questo progetto!) e che diventerà un romanzo con il titolo provvisorio “Il gioco di Lavinia”, nasce da questo concetto: e nasce anche da una considerazione reale. E’ così facile calpestare le persone, ultimamente: non solo in ambito sentimentale. E’ come se gli esseri umani fossero davvero avatar su cui è sufficiente cliccare un “termina gioco” per liberarsi di loro, qualora ci intralcino il cammino. La risata oscena degli imprenditori corrotti a poche ore dal terremoto dell’Aquila ne è solo una delle testimonianze.
Lavinia è come V: è, per usare le parole finali di Evey, “Edmond Dantés. Ed era mio padre e mia madre, mio fratello, un mio amico, era lei, ero io, era tutti noi“.
Non è, non sarà, una vendicatrice sociale dichiarata: vuole solo affermare il diritto di esserci e di essere riconosciuta come persona, e non come un insignificante elemento di cui si può ridere perchè “tanto tutto è un gioco”.
L’idea che i giochi possano diventare tremendi è quella su cui sto lavorando (per ora, per piccolissimi passi: in primavera comincio la stesura vera e propria).
E, sì, c’è spazio per la pietà in tutto questo. Forse non per il perdono: ma per la comprensione, e forse per un tipo di amore diverso da quello fondato sull’egoismo, sul narcisismo, sulla superficialità. Redenzione, ecco.
(Lo dicevo io che leggere The Dome poteva avere effetti collaterali)

Consigli agli e dagli scrittori

febbraio 22, 2010

Ho letto un bell’articolone su Repubblica dove  scrittori famosi elargiscono consigli. Lo fa, per cominciare, Elmore Leonard  nel libro Rules of writing. Facciamo il test:

Usare avverbi è un peccato mortale.  Ovvero: “Mai scrivere cose come: ammonì “gravemente”, è un modo di interrompere il ritmo, distrarre il lettore e riconoscere che il personaggio non riesce a trasmettere efficacemente quello che vuole dire. Lo scrittore si intromette, e ammette di avere fallito”.
Più uno. Nel senso: lo faccio, sono d’accordo, evviva.

Mai usare un verbo diverso dal passato remoto di dire in un dialogo. «Il dialogo appartiene ai personaggi, deve parlare da solo. Disse è perciò meno intrusivo di mormorò, avvertì, confidò, mentì eccetera».
Uso, in genere, il presente. Però  a volte uso i sinonimi: riconosco che mormorare è fra le mie pecche. Stallo.

–  Mai cominciare un romanzo con una descrizione del tempo atmosferico, a meno di non conoscere più espressioni di un eschimese per descrivere il freddo.
Punto. Non comincerei mai una storia parlando di pioggia. A meno che non piovano meteoriti.

Mai usare la parola “improvvisamente”.
Porca miseria. A volte ho usato “all’improvviso”. Un punto in meno.

Evitare i prologhi.
Lo faccio in Sopdet. Altro punto in meno.

Limitare al minimo i punti esclamativi.
Tre vanno bene? Su duecento cartelle? Stallo, comunque.

Evitare le dettagliate descrizioni dei personaggi: in Colline come elefanti bianchi, l’unica descrizione fisica che Hemingway fa della protagonista è «si tolse il cappello e lo posò sul tavolo». A parte dirci che la donna ha una testa, Hemingway preferisce che immaginiamo tutto il resto di lei da soli, attraverso quello che la donna fa e dice.
Concordo. Un punto.

Parità, dunque.
Ma ecco che giunge a tramortirmi, nello stesso articolo,  il consiglio di un altro scrittore, Richard Ford:  per scrivere bene, dice, “sposa  la persona che ami e che pensa che il fatto che tu sia uno scrittore sia una bella cosa”.
Non ci siamo: una come me, la cui situazione sentimentale è talmente catastrofica che Amnesty International vuole lanciare la campagna “Save Lara”, come caspita deve comportarsi?
Meno venti.

Oche e fumetti

febbraio 19, 2010

Annuncio. Su quel che sto scrivendo per l’Oca si fonderà il prossimo romanzo: per la prima volta, dopo mesi di dubbi, l’ho perfettamente chiaro in testa, dall’inizio alla fine. Sarà strano e duro: ci sarà la vendetta e ci sarà – ma guarda – anche l’amore. Ma non sarà un amore dolce, garantisco.
Secondo annuncio.
Laura Bianchini, la giovanissima disegnatrice che ha già realizzato alcuni bozzetti per Esbat, mi ha mandato l’incipit del primo e dell’ultimo capitolo. Roba da rimanere storditi.
Metto il link perchè non riesco a rimpicciolire l’immagine: gustateveli.

Primo capitolo
Ultimo capitolo

Tre notizie

febbraio 18, 2010

La buona notizia è che a novembre uscirà il nuovo libro di Stephen King. Quattro racconti inediti, da quanto capisco, riuniti sotto il titolo Full dark, no stars. Bel titolo, peraltro.
La cattiva notizia, che apprendo da un articolo sull’eutanasia, è che Terry Pratchett è malato di Alzheimer. E’ una cosa straziante  per chiunque: non riesco a non pensare che per un narratore possa essere ancora più crudele.
La notizia intermedia è che a volte la scrittura non è soltanto artigianato, cura, attenzione. Può diventare liberatoria per chi scrive: qualora il medesimo abbia bisogno di liberarsi delle scorie che galleggiano giù, nel pozzo nero, e necessiti di esorcizzare presenze e persino di eliminare fisicamente – nella storia – chi è stato causa di sofferenza.
Sto cercando di farlo.

Lara e l’Oca

febbraio 17, 2010

Primo: scopro solo ora che Riccardo Coltri ha recensito Esbat qui. Commossa.
Secondo: ho incontrato l’Oca.
L’Oca è un gioco. Però è un gioco letterario e collettivo. E’ un “viaggio dell’eroe”, dove le tappe sono le carte e ogni carta porta a raccontare. Trovate tutto su questo sito.
Perchè partecipo? Primo, perchè sono curiosa. Secondo, perchè somiglia a un gioco di ruolo, ma è scritto. Terzo, perchè è bello rispondere a un input. Quarto, perchè pur essendo gelosa della mia solitudine di scrittrice, mi piace condividere quello che scrivo, anche quando è ancora in fieri.
Infine, perchè ho la sensazione che tutto questo e il romanzo nuovo abbiano una connessione. Infinite sono le vie (e la strada è una).

Could we start again, please?

febbraio 16, 2010

Guardami negli occhi: forse tu e io siamo arrivati ad una soluzione.
Ci siamo studiati, incrociati, amati, abbiamo litigato ferocemente, abbiamo smesso di parlarci, decisi a non voler più sapere nulla l’una dell’altro. Abbiamo pensato che, davvero, non era più il caso che ci frequentassimo, che ci stavamo rovinando la vita reciprocamente, che dovevamo tagliare ogni rapporto.
Eppure non riusciamo a fare a meno l’una dell’altro.
Eppure se siamo lontani soffriamo.
Soffriamo anche quando siamo vicini: spesso, almeno. Ma alla fine abbiamo capito che quella vicinanza vale tutte le lacrime, i digiuni e le insonnie che ci sono toccati in sorte da quando ci conosciamo.
Adesso possiamo riprovare, che ne dici? Vuoi?
Romanzo nuovo: ricominciamo?

Alti e bassi, bassi e alti

febbraio 15, 2010

Dopo uno spaventevole San Valentino trascorso a guardare Nameless di Balaguero (totale ammirazione nei confronti del medesimo, voglia disperata di leggere il romanzo di Ramsey Campbell da cui è tratto), incappo di prima mattina in un test su Girlpower. Trattasi di descrivere se stessi attraverso un libro. E io voglio conoscere Alecs, che si è descritta così:

1. Sei maschio o femmina? Mater Terribilis. ( Valerio Evangelisti )

2. Descriviti: Esbat. ( Lara Manni )

3. Cosa provano le persone quando stanno con te? The Coroner. ( M.R. Hall )

4. Descrivi la tua relazione precedente: Il Lago dei Vampiri. ( Clark Simon )

5. Descrivi la tua relazione corrente: Eldest. ( Christopher Paolini )

6. Dove vorresti trovarti? Sdraiami. ( Berarda del vecchio )

7. Come ti senti nei riguardi dell’amore? Il Ladro di Corpi. ( Anne Rice )

8. Com’è la tua vita? L’ Arte della Guerra. ( Sun Tzu )

9. Che cosa chiederesti se avessi a disposizione un solo desiderio? Educazione Siberiana. ( Lilin Nicolai )

10. Di’ qualcosa di saggio: Il Principe. ( Niccolò Macchiavelli )

11. Una musica: Il ritratto di Dorian Gray. ( Oscar Wilde )

12. Cosa temi? 1984. ( George Orwell )

13. Un rimpianto: The Undercover Economist. ( Tim Harford )

14. Un consiglio per chi è più giovane: Così parlo Zarathustra. ( Friedrich Nietzche )

15. Da evitare accuratamente: I promessi sposi. ( Alessandro Manzoni )