Archive for settembre 2008

Avventure di fine settembre: Lara attraversa lo specchio

settembre 30, 2008

“Buongiorno Lara”
“Buongiorno Lara”
“Ti trovo bene”
“Sei uno specchio bugiardo. Lo so che non sono al mio meglio: stamattina il barista mi ha detto che non devo stancarmi troppo. Quindi, ho una pessima cera”.
“Beh, io te l’ho sempre detto: iscriviti in palestra, fuma di meno, mangia cibi sani. Ieri sera hai cucinato il pollo alla diavola dei Quattrosaltinpadella, confessa”
“Ehm…Vero. Era buonissimo, però. E comunque tu sei solo uno specchio. E come diceva Cocteau, gli specchi dovrebbero riflettere un momentino prima di riflettere le immagini”
“Certo, certo: Wikiquote, eh?”
“Ti odio. Vero. Però sullo specchio sono preparata, cosa credi? Gli specchi uccidono! Pensa ad Archimede. E a Medusa! E…”
“Io non ti farei mai del male, cara. Anzi, se sono qui è perchè vorrei invitarti dall’altra parte, solo un momentino”.
“Eh? Di prima mattina? Ma io ho molte cose da fare…”
“Una, soprattutto: devi finire Sopdet. Oggi scriverai l’ultimo capitolo, giusto? Sì sì, lo so: è sciocco dare tanta importanza ad una storia fra le tante…Vuoi le cifre delle novità editoriali che escono in Italia ogni anno?”
“No, grazie. Altrimenti mi metto a piangere”.
“Per carità! Poi mi tocca rifletterti con gli occhi rossi. Dicevo: comunque sia, tu ci tieni a questa storia. E questa è la sola cosa che conti”.
“E allora?”
“E allora, visto che dentro ci sono molte cose di te, che tu lo sappia o meno, vieni a farmi una visitina: magari il finale ti viene meglio”.
“Ma sai che non hai torto?”
“Lo so. Il mio migliore amico è lo specchio, perché quando piango non ride mai. Lo ha detto Jim Morrison”.
“Wikiquote?”
“Ovvio. Allora?”
“Allora arrivo”.
“Ben fatto, Lara, ben fatto”

Dammi tre parole

settembre 29, 2008

Ecco, nell’ultimo commento Pippolina tocca un altro punto importante: reiterare le definizioni. Lei parla di Edward Cullen (e ha ragione: il fastidio che io provo nei confronti di questo personaggio è proprio nel suo essere riproposto con gli stessi termini e con gli stessi atteggiamenti). Io penso anche ad altro: penso, visto che sono bravissima a martirizzarmi, a me.
E’ che è difficile: non sto parlando di evoluzione dei personaggi (su quella, spero di essere riuscita, a due capitoli dalla fine di Sopdet, a farli cambiare tutti, nel modo che volevo). Penso proprio alle parole.
Faccio due conti e rifletto sui termini che utilizzo per definire il caro Demone: alieno, bello, antico, altezzoso, perfetto, gelido, aggraziato, ferale, maestoso.
Forse un tantino restrittiva, la faccenda. Terreno su cui lavorare: vocabolario, intanto. E allenamento mentale. Nessun personaggio può essere descritto sempre nello stesso modo: certo, una creatura sovrannaturale avrà difficilmente le occhiaie e il mal di testa. Ma può, e deve, essere raccontato in modo meno ripetitivo.
Vado a riflettere.

Papiri: Lara e Yoda sulla narrativa fantastica

settembre 26, 2008

Succede che Yoda e Lara ogni tanto partano per la tangente, e si mettano a riflettere sulla narrativa fantastica. Ricapitolo: ieri mi capita di leggere un post dove si attribuivano ad alcuni personaggi del manga Inu Yasha la valenza di metafora. E io sono saltata su. Affermando questo:

E’ troppo facile, un’interpretazione per metafore: e io non credo che un autore, a freddo, decida “qui metto questo e qui quest’altro”. In genere, un autore ha un progetto iniziale, e cambia in corso d’opera, e i personaggi cambiano con l’opera stessa. Questo vale per la narrativa, non solo per i manga: e questo spiega anche le incongruenze (che un bravo autore corregge, se se ne accorge, però).

Mi è stato fatto notare che i personaggi di una storia rispondono sempre alla società in cui nascono. E io ho aggiunto questo:

Ovviamente hai ragione: un’opera rispecchia la società in cui vive l’autore. Ma dipende da COME la rispeccchia.
Faccio tre esempi prima di arrivare a Inu Yasha.
Quando Tolkien scrive il Signore degli Anelli non pensa affatto di inserire metafore della sua epoca: anzi, quel che lo interessa in primo luogo è creare un mondo. Anzi, prima ancora: un linguaggio su cui basare quel mondo. Di qui le razze, le stirpi, la cronologia, le divinità, le guerre. Ecco il punto. E’ evidente che nel Signore degli Anelli c’è ECCOME non solo la società di Tolkien, ma il suo vissuto. C’è la prima guerra mondiale, a cui ha partecipato. Ci sono i morti che ha visto, gli addii che ha dovuto soffrire.
Ma questa non è una metafora: è NELLA storia.
Altrimenti non si spiegherebbe come mai l’opera di Tolkien sia stata interpretata così variamente come metafora di tutto e di niente: viene rivendicata dalla destra e dalla sinistra, viene vista come segno della decadenza dei tempi. Ma non è nulla di tutto questo. E’, in primo luogo, una grande storia.

Secondo esempio: C.S.Lewis, Narnia. Qui la metafora esiste ed è inserita a freddo, invece. Anche se Lewis impiegò molto tempo a negare che avesse semplicemente voluto spiegare la storia di Cristo ai bambini. Per esempio in questa lettera: “Io non mi sono detto ‘Rappresentiamo Gesù come Egli è realmente nel nostro mondo come un Leone in Narnia’; mi sono detto “Supponiamo che ci sia una terra come Narnia e che il Figlio di Dio diventi in questa un Leone, come è diventato un Uomo nel nostro mondo, e quindi immaginiamo cosa succede”. Vero solo a metà, per chi legge.

Terzo esempio. Duma Key, ultimo e splendido romanzo di Stephen King. Non c’è metafora, ma c’è la vita di King. Il protagonista è un uomo che perde un braccio dopo uno spaventoso incidente. King ha avuto un incidente altrettanto spaventoso otto anni fa. Qual è la differenza? I suoi fan sanno e riconoscono il vissuto personale. Gli altri lettori apprezzano e basta.

Quello che voglio dire è che un buon autore, meglio un grande autore, dovrebbe evitare sia le metafore, sia gli stereotipi.
Cosa ha fatto la Takahashi?
E’ riuscita nell’intento solo a metà.
Ha creato uno straordinario scenario mitologico.
Ha restituito “contatto” a due mondi separati: quello dei Demoni e quello degli umani. E questa, per me, è una delle cose più belle della storia: le porte che si spalancano sul “sacro” sono benedette, in questi tempi cupi anche narrativamente.
Ma. Ma ha fatto franare tutto. Attribuendo a un personaggio, Kagome, la valenza della bontà d’animo che tutto rischiara (e purtroppo Rin è il suo contraltare: la purezza che ammansisce il demone…). E distruggendo in DUE vignette (che leggerete quando usciranno i volumi) la grandezza di Naraku.
Perchè lo ha fatto? Perchè, ahi ahi, in un progetto di così lunga durata è molto, troppo facile, cedere alle esigenze di mercato. E il mercato cosa vuole? Un happy end. Una storia d’amore che vince su tutto. Il bene che trionfa. Viva Moccia, Viva Edward Cullen: questo è il punto.
Ma un grande autore, di narrativa scritta o di manga: è quello che porta avanti la SUA storia, non quella che vogliono i suoi lettori….

Ma soprattutto, Yoda ha sfornato un altro dei suoi papiri. Come non riportarlo?

Premetto che, com’è ovvio, chiunque può interpretare una storia come ne ha voglia, e metterci dentro tematiche come il razzismo, la metafora dell’uomo diviso a metà come il mezzodemone, e tantissime altre.

MA!

Se è pur chiaro che tutto questo possa andare bene, a mio parere questo inseguire metafore “scentra” il punto e uccide la narrazione.

Le interpretazioni e le metafore sono tante quante le teste di chi ascolta il racconto. Anch’io potrei metterci del mio, per quel che vale. Se poi ci si impegna, ecco, frullando e tagliando e incollando qua e là, si può tirar fuori davvero di tutto dal cilindro.

Esiste però una cosa che sta al di là della foresta aggrovigliata delle metafore e delle immagini, e questa è la STORIA.

In che senso?

Nel senso che andando così affannosamente a caccia di metafore si cade in quello che ritengo un errore, come ben dice una grande e competente appassionata di letteratura fantastica (Gamberetta) nel suo blog.

Quel’è questo errore? Di considerare la Narrativa secondaria alla Realtà, di modo che la Narrativa acquisirebbe valore solo se correlata in qualche modo alla Realtà: ha dignità solo se in qualche modo ci parla di razzismo, piuttosto che dell’uomo che non si accetta com’è eccetera.

Queste sono le parole di Gamberetta, che io condivido in pieno (attenti, perché l’impavida Gamberetta è, a differenza di me, molto pungente nel sostenere le sue tesi, e mi spiacerebbe se qualcuno ne fosse urtato!):

“Un’allegoria del razzismo! Questa posizione è una posizione importante, dice qualcosa riguardo i problemi del nostro tempo, comunica un fondamentale messaggio!
Un’altra perversione è appunto questa: quella di considerare la narrativa secondaria alla Realtà, tanto che la narrativa stessa acquisirebbe importanza divenendo specchio, metafora, interpretazione della Realtà. Ma non è così. La narrativa è ben più potente, la narrativa crea la Realtà! […].
La storia di Ulisse che acceca Polifemo può essere interpretata in mille modi diversi, ma non deve il suo significato all’interpretazione, ma alla vicenda in sé. È eterna perché ha generato una Realtà a se stante, lontanissima da qualunque considerazione sui problemi del nostro tempo (di qualunque tempo).
La narrativa non ha bisogno d’imitare la Realtà, può farlo, ma questo non è un merito, è un altro pasticciare da bambini stupidotti, è ancora un rifiuto del gioco per disegnare invece faccine carine. La narrativa deve ampliare la Realtà, generare nuove Realtà, allargare i confini dell’immaginazione della nostra specie. Nessuno mi vieta di scrivere un saggio sul problema del razzismo nell’Europa del XXI secolo, e ne può venire un ottimo saggio, ma non sarà buona narrativa. La narrativa che si ferma a rielaborare la Realtà, senza andare oltre, senza aggiungere altro,
è solo una perdita di tempo.
Ci sono autori che si
compiacciono d’immergere le loro opere in un bagno di Angosciosi Problemi del Nostro Tempo; costoro credono che così facendo le loro opere di narrativa acquistino significato, invece succede l’opposto, ne vengono svilite. Questi autori rientrano anche loro nel calderone dei buffoni (e così avrò dato del buffone a qualche altro Genio, be’, peggio per lui!)”

Qua c’è il link all’articolo completo, se a qualcuno interessa una lettura competente e scorrevole dell’argometo.

http://fantasy.gamberi.org/2008/07/13/scacchi-e-scrittura/

Perciò, ne parlerò in rapporto alle magnifiche premesse di questa fiaba.

E, tanto per cambiare!! finirò a parlare di Kikyou!

Lo faccio perché voglio cercare di fare capire la differenza tra raccontare una storia e cercare un significato.

Il legame tra umani e demoni non è un problema di razzismo (né una questione di accettazione del sé).

Perché il razzismo è una disgustosa mistificazione, visto che tutti noi apparteniamo a una razza sola, quella umana!

E invece! Uomini e demoni (youkai) appartengono sul serio a due razze diverse, appartengono a due mondi diversi che non si possono mischiare, così come non si possono mischiare l’olio e l’acqua.

Hanno bisogni diversi, emozioni diverse, gli uni sono eterni e pochissimo mutabili, e non mutabili come lo intendiamo noi, gli altri mobili, vari; i primi sono autosufficienti (anche quando si uniscono in tribù), gli uomini devono formare società; le loro esigenze, i loro pensieri, i loro desideri, sono diversi e spesso incompatibili.

E’ come l’eterno e il divenire.
Si possono toccare, si possono incontrare, ma non possono stare assieme.

Ed è questo che crea la straordinaria tragicità di Inuyasha. Per Inuyasha un posto non c’è, non esiste e non potrà mai esistere. Per quanto si possa dire che è ingiusto, non c’è scampo per questo.

Inuyasha non può avere pace. Gli è impossibile, perché in lui vivono due nature che assieme non ci possono stare. Non avrà mai la pace in nessun luogo, perché non appartiene ad alcun mondo.

Non deve essere visto come una metafora di qualcosa. Deve essere immaginato e accettato, come una Realtà a se stante, come se fosse vero, e indipendente da noi che ascoltiamo la narrazione degli eventi.

Non è umano, e perciò non può essere trattato come qualcosa di interamente umano. Per questo giustamente Inuyasha invitava la ragazza di cui credo LordSesshoumaru abbia parlato a non fidarsi dei demoni.
Non conta che siano “buoni” o “cattivi”.
Conta che sono diversi e incompatibili all’uomo.
L’essere umano che vuole avvicinarvisi troppo ne viene distrutto. E anche lo youkai può finirne distrutto (come il padre di Inuyasha e tutti, ma proprio tutti, gli youkai che si sono congiunti all’uomo).

Qua sta la tragedia e l’ingiustizia. Sono due mondi che possono camminare a fianco, ma non mischiarsi. E alla fine, solo uno dei due potrà prevalere, e l’altro dovrà scomparire.

E per questo nessuna comunità, mai, potrà accogliere Inuyasha, se non per periodi brevissimi, sotto particolari condizioni, salvo poi scacciarlo in qualunque momento. Inuyasha, proprio come Naraku, è fuori. Fuori da tutto.

Per questo, ad esempio, il fallimento della storia d’amore tra Kikyou e Inuyasha non può essere misurata con un metro solo umano, come sarebbe altrimenti (lei voleva cambiare lui, questo non va bene, le cose sono andate male per questo; questa è una metafora di come possono andare male i rapporti tra una coppia).

Non è così. E’ giusto che sia Kikyou, che è il personaggio più straziante, complesso e contraddittorio del manga, lei il cui nome significa “colei che è eccentrica”, lei che per altre ragioni apparitene anch’essa a entrambi i mondi, e perciò a nessuno dei due, a farsi carico della volontà di rendere Inuyasha umano.

La decisione di Kikyou, lo ribadisco, non è metafora di nulla. La decisione di Kikyou E’.

Ed è, al tempo stesso:
giusta e sbagliata, bella e brutta, dolorosa e piena di speranza, stupida e saggia.
E’ un paradosso che nasce dal paradosso di una creatura che non dovrebbe esistere, una cosa che Sesshoumaru non tollera, infatti, perché è una creatura di mezzo che porta scompiglio intollerabile nell’ordine di entrambi i mondi.

E il paradosso della volontà di Kikyou riassume la forza e l’ingiustizia e la consolazione di tutto questo con una sintesi tale che non sono in grado di esprimere in parole.

E poiché Naraku conosce questo paradosso, e conosce la fragilità del cuore umano, è in grado di distruggere tutto questo con un suo semplice intervento.

Non si sente quanto è più potente, così, il racconto? Quanto è coinvolgente? Proietta in un mondo nuovo, di cui non si conosceva l’esistenza, e che E’ perché qualcuno (l’autore) ce lo sta raccontando.

Renderlo metafora di alcunché, lo svilisce.

Che siano belle e interessanti, oppure non molto ben argomentate, è irrilevante. Sono tutte, senza alcuna eccezione, fuorvianti, perché per inseguirle bisogna uscire dal mondo creato dall’autore ed entrare nel nostro. E questo annienta la funzione primaria della narrativa fantastica. Ampliare il nostro orizzonte contemplando realtà non immaginate.

La Taka è stata capace di creare una Realtà a se stante, un Mondo Secondario, avrebbe ancora detto Tolkien. Questa e solo questa è stata la chiave del suo successo.

Infatti, quando ha cominciato a tradire le “regole di coerenza” del suo mondo, ha rovinato tutto.

Avventure di settembre: Lara e il/la Moleskine

settembre 25, 2008

Scena: la libreria Feltrinelli di piazza Colonna, a Roma. Ore: le diciannove circa. Personaggi: Lara e Marta, in cerca di libri e di un aperitivo per svagarsi un po’. Lara ha gli occhi a palla perchè ha quasi finito il capitolo diciotto di Sopdet e vorrebbe scrivere anche di notte perchè ha tutto nella testa e non è abbastanza veloce per farlo uscire subito fuori come vorrebbe. Marta cerca libri. Ma…ahi…si ferma davanti al banchetto Moleskine. E qui cominciano i guai.

Marta: Non sono belle le Moleskine?
Lara: Uffa, “i” Moleskine. Sono taccuini.
Marta: Uffa lo dico io. Noiosa.
Lara: Lo so. E comunque, no. Li detesto. Se vuoi dico “le” detesto.
Marta: E perchè? Sono così comodi per gli appunti. Ho detto comodi, maschile plurale, hai visto?
Lara: Ma scusa, tutto è comodo per prendere appunti. Io scrivo persino sul retro dei fogliettini del Bancomat!
Marta: Poi li perdi.
Lara: No, io non perdo nulla. Ammucchio tutti i fogliettini nell’agenda e poi li ricopio sul computer. E’ persino divertente, perchè nel mucchio ci sono tovagliolini, fogli di calendario, carta della stampante piegata in otto…
Marta: Ti regalo un Moleskine?
Lara: Sei un tesoro, ma no, grazie.
Marta: Ma perchè?
Lara: Perchè sono sociopatica.
Marta: Beh, questo si sa ampiamente.
Lara: E anche paranoica, nevrotica, antipatica, egoist…
Marta: La vuoi o no questa Moleskine? Mi viene meglio al femminile…
Lara: NO! Odio gli status symbol! Odio quelli che tirano fuori il taccuino nero dalla borsa e si sentono già premi Nobel per la letteratura! Mi fanno odiare persino quel poveraccio di Bruce Chatwin che non ne sapeva niente!
Marta (alza gli occhi al cielo e tace)
Lara: Scusa. Sono insopportabile, sociopatica, nevrotica…
Marta: Ti regalo un libro?
Lara: E io ti offro l’aperitivo con gli stuzzichini?
Marta: Che ne pensi di questo? La casa di foglie.
Lara: Non l’ho letto ma me ne parlano bene (sperando che non succeda come Ragazze lupo...che ho abbandonato). Grazie
Marta: Sei una peste.
Lara: Lo so. Accidenti se lo so.

La cerimonia degli addii

settembre 24, 2008

Quando un personaggio muore, deve restare morto?
Non sono impazzita, meditavo, e sempre in virtù della famosa mail che citavo qualche giorno fa. In quel caso, il riferimento era alla sorte di Aeris, in Final Fantasy, e come al solito mi ha dato da pensare. Naturalmente anche gli adorabili papiri di Yoda hanno la loro parte nelle mie riflessioni: pensavo anche alla sventurata Kikyou e al suo ritorno in vita seguito da morte definitiva.
In effetti devo fare una confessione.  Ci sono morti che tuttora non accetto: quella di Susan Delgado nella Torre Nera (Angelo, non è uno spoiler: si sa dal primo libro che è deceduta), per esempio. E, andando a pescare fra i classici, ci sono casi in cui vorrei essere nella storia per intervenire e salvare il personaggio: la già citata Milady, per esempio (da ragazzina ho odiato Athos e compagni con tutte le mie forze, e avrei voluto fare lo sgambetto al Boia di Lille). O Emma Bovary: non sarebbe stato bello se l’arsenico fosse stato sostituito con lo zucchero? E Catherine Earnshaw, in Cime tempestose? Possibile che nessuno sia in grado di curarla? E Romeo e Giulietta, accidenti a loro? E Amleto? E Cordelia?

D’accordo, Shakespeare va messo da parte: senza la morte, non ci sarebbe senso nelle sue opere. Eppure, la difficoltà di accettare il trapasso dei personaggi amati è qualcosa che probabilmente condiziona anche il mio modo di scrivere. Eppure non sono una che si tira indietro, quando si tratta di far fuori, narrativamente parlando, qualcuno…

Penso. Penso. Penso.

Mamma ha fatto gli gnokki

settembre 23, 2008

L’argomento è scabroso, ma la famosa mail di cui parlavo ieri mi fa venir voglia di approfondire.
Trattasi dello gnokko.
Con le kappa, esatto. Ovvero il bishonen. Ovvero ancora il protagonista figo. Ovvero il personaggio bello, impossibile e…non esattamente una cima.
La definizione riguarda anche il caro Demone di Esbat: in effetti non è lui che tesse la tela e la trama. Anzi, tende a caderci con tutte le scarpe. Certo, è forte, è potente, è antico e divino. Ma non è l’astuzia la sua caratteristica primaria.
Se penso a molti altri protagonisti  di romanzi, il dubbio aumenta: gli gnokki sono in netta prevalenza. Lo è Edward Cullen, senza dubbio alcuno. Lo è Jean Claude, il sexy-vampiro con cui si intrattiene Anita Blake. Lo è Louis, in Intervista col vampiro. Per non parlare dei manga: non posso trasformare un post in una voce di Wikipedia. E mi ci vorrebbero dieci pagine word per fare l’elenco.
Oh mamma: non è che lo gnokko è la variante aggiornata del principe azzurro, vero?

Avventure di settembre: Lara va dal suo guru

settembre 22, 2008

Se non fosse per una mail (utilissima, preziosa, fantastica nella sua lucidità) che ho appena ricevuto…beh, il mio morale sarebbe decisamente sotto le scarpe.
Credo che settembre mi faccia male. Questo per me è sempre stato un momento critico: torno dalle vacanze e la mia autostima si sgretola, i miei progetti per il futuro mi sembrano inconsistenti e io cado in una specie di letargo dove mi lecco le ferite e guardo dalla finestra.
Perfetta caricatura dell’eroina romantica: che schifo.
Per risollevarmi, sono andata a trovare un vecchio amico, molto più grande di me e molto saggio, che vive in campagna. E la terapia è stata utile, almeno fino a quando non sono tornata a casa (un momento critico non si risolve mica così: troppo facile!).
Ieri, però, mi ha detto una cosa che mi ha fatto pensare. Mentre mangiavamo noccioline e bevevamo vino rosso davanti al camino (faceva freddo, sì), abbiamo parlato di scrittura. Lui è abbastanza vicino al mondo editoriale, anche se, almeno all’inizio, si è rifiutato di leggere Esbat (e ha fatto benissimo: “se non dovesse essere buono – mi aveva detto – ne soffrirei: come faccio a giudicare il romanzo di un’amica?”. Adesso lo leggerà, mi ha promesso). E mi ha detto questo: “Mi chiedo come mai tanta gente che ha scritto quello che ritiene un capolavoro perda un considerevole lasso di tempo a scrivere agli editori, a depositare il manoscritto alla Siae e a volte, persino, a farselo timbrare da un notaio. Tempo che potrebbe utilizzare per migliorare quel che ha scritto: ma questo pensiero non gli sfiora neanche il cervello”.
Strozzandomi con la nocciolina, gli ho detto: “Probabilmente, perchè si ritengono già scrittori”.
E lui, guardandomi con un viso molto serio, mi ha chiesto: “E tu, cosa ti ritieni? Cosa ti aspetti da questa storia e da te stessa?”.
Pausa. Lunga, lunga pausa.
“Niente – gli ho risposto alla fine – io non mi ritengo una scrittrice. Io non voglio essere una scrittrice. Voglio soltanto raccontare storie. E voglio conservare il desiderio di farlo, più a lungo che posso. Tutto qui”.
Dev’essere stata una buona risposta, perchè mi ha versato un secondo bicchiere di vino. E sembrava persino contento.

Hanno rapito Edward Cullen!

settembre 19, 2008

Ma no! Non ci credo nemmeno se lo vedo!!!

Allora, vado a curiosare su HorrorMagazine e trovo una notizia esilarante sul nostro vampiro-swarowski. Pare che abbiano “rubato” a Stephenie Meyer alcuni capitoli del suo nuovo libro, Midnight Sun, ovvero la saga di Twlight con Pov diverso (Edward Cullen racconta). Pare che i ladruncoli abbiano diffuso i capitoli rapiti sul web.  Pare che Meyer si sia  arrabbiata:

In risposta allo sgradevole accaduto Stephenie Meyer ha deciso di sospendere il progetto in maniera indefinita. Dal sul suo blog l’autrice fa sapere di avere idea di chi possa avere distribuito illegalmente il manoscritto dato che sono poche le copie modificate non più in suo possesso. “Penso che sia importante per tutti comprendere che ciò che è successo è una grave violazione dei miei diritti di autrice…” sono le sue parole. L’autrice conclude il suo lungo sfogo ringraziando i suoi tanti e fedeli lettori, affermando che si dedicherà alla famiglia e a nuovi progetti. Per questo motivo da qualche giorno è possibile leggere i primi capitoli (264 pagine) sul suo sito ufficiale.

Taccio e soffoco i pensieri maligni. La cosa interessante è la chiusura dell’articolo, però:

Su Endless Love piccolo fansite dedicato a Twilight esiste una fan fiction scritta da Alphie, una delle amministratrici di Twilight Lexicon che, a detta sua, conosce personalmente l’autrice: il titolo è The Lion and the Lamb, ed è giunta, sino ad oggi, al capitolo 20, ricevendo anche delle recensioni da parte di Stephenie Meyer; l’autrice ha però precisato che il suo Edward è molto diverso da quello creato da Alphie, lasciando intendere che sarà decisamente più cupo.

Ecco. A proposito di riappropriarsi dei personaggi. A proposito delle storie che sono di tutti: questo mi piace, decisamente (come sarà uno swaroswki cupo?).

Il movimento di liberazione delle protagoniste femminili (MLPF?)

settembre 18, 2008

Si chiama “mettere il dito nella piaga”, e Blackvirgo, nel commento lasciato nel post qui sotto, lo ha fatto. Con queste parole:

E non sopporto i cliché da Harmony che ultimamente spopolano nelle fanfic. Perché cavoli la donna deve essere sempre indifesa oppure la sua forza è solo una facciata? Perché deve volere protezione? E soprattutto: uno che sta male con se stesso come diavolo fa a stare bene con qualcuno?

Mica solo nelle fanfic! Cioè, soprattutto nelle fan fiction, ma un po’ dappertutto. Perchè, la famosa Bella di Twilight cosa fa di diverso? Si fa proteggere dal vampiro-swarovski (la definizione, geniale, è di Laurie, che dopo aver riportato le parole di Stephenie Meyer – “Alla luce del sole Edward era sconvolgente. Non riuscii ad abituarmici; eppure non gli tolsi gli occhi di dosso per tutto il pomeriggio. La sua pelle, bianca nonostante il debole colorito acquistato dopo la battuta di caccia, era scintillante, come ricoperta di piccoli diamanti.”– conclude che il signor Cullen, appunto, non è una creatura del buio ma un grazioso gioiellino).  E cosa fanno le signorine che hanno la sventura di incappare nel signor Step nei libri di Moccia? Grossomodo, si fanno proteggere pure loro.
Vogliamo parlare dei manga? Non è che vada molto meglio: l’eroina sarà pure una strafiga dotata di poteri niente male (soprattutto curativi, in genere, ma guarda…), ma senza l’eroe finirebbe rapita/uccisa/utilizzata per scopi loschissimi.
Per non parlare quando il personaggio femminile viene tradito: nel senso di cornificato, per essere chiari. Da lei ci si aspetta sempre che perdoni e tiri avanti, perchè l’uomo, si sa, è cacciatore.
Beh, io ci ho provato e ci sto provando a creare delle protagoniste diverse:  tutt’altro che imbattibili. Ma DIVERSE: perchè non ne posso davvero più, neanche io.

Alla larga, romanticismo!

settembre 17, 2008

L’umore è nuovamente in picchiata, così ho deciso che oggi andrò a comprarmi Ragazze lupo. Continuano a parlarmene bene in parecchi, e mi fido: anche se la scheda che ho letto mi lascia qualche dubbio. Quando si usa l’aggettivo “romantico” vado subito in allarme rosso, non posso farci niente.

Cosa ho contro le storie romantiche? Praticamente tutto, un po’ per indole, un po’ per esigenza di lettrice: non che non mi piacciano le storie d’amore. Ma, se ci sono, devono rispettare una condizione, almeno per me: influenzare nel profondo la psicologia dei personaggi, fino a renderli diversi da come erano prima. Non dico migliori, dico diversi.

Va a finire che scopro che la vera romantica sono io…