Su quattro stelline a disposizione su aNobii, gliene avrei date due e mezzo: ma non ho ancora capito se esiste la mezza stella.
Alla fine, gliene ho date tre, ma solo in virtù dell’ultimissima pagina, di cui ovviamente non parlo.
Mi riferisco a Un luogo incerto di Fred Vargas, che ho finito ieri e che mi ha lasciato con un bel po’ di dubbi. Sicuramente è un romanzo scritto molto bene. Sicuramente Vargas possiede una gran tecnica, e ha un curioso distacco nei confronti dei suoi personaggi che le evita, sempre, di cadere nel luogo comune.
Però, per esempio, è ideologica, e la cosa a volte si sente troppo. Spiego.
Premetto che io non amo molto lo sbirro-libro. Quando ero ragazzina mi piacevano i gialli deduttivi, le risoluzioni logiche ah-certo-non-può-che-essere-così. Adesso meno: forse perchè ho meno fiducia nell’intelletto umano e preferisco guardare nel pozzo nero dove i mostri fanno Oh.
Il commissario Adamsberg, che conosco per la prima volta (non ho mai letto nulla di Vargas, prima, quindi prendete queste considerazioni come quelle di una neofita), è un tizio alla Forrest Gump. Scemo e geniale. Insopportabile e adorato. E’ una specie di grado zero: dal momento che non è in grado di condurre un’indagine classica, risolve tutto. Ecco, questo mi puzza di pre-costituito, e dunque non mi convince.
Mi hanno convinto altri personaggi, invece, soprattutto quelli incontrati nel villaggio serbo, e mi piacciono molto le figure minori. Ho trovato perfetta la descrizione del macello, ovvero del primo omicidio in cui un vecchio viene letteralmente sgretolato e da cui parte l’indagine, la quale si incrocia con quella delle scarpe con piedi mozzati ritrovati davanti al cancello di un cimitero inglese.
Bello. Sì. Però. Veniamo al punto dolente. I vampiri. Ci sono, sono nominati, indagati, sfiorati persino, quando il commissario Adamsberg si ritrova chiuso e incellofanato in una tomba dove i Grandi dormono.
Nel punto più forte della storia, non ho avuto paura. Non ho avuto emozioni. Capitolo tecnico e basta. Qui, dunque, dovrebbe stare il limite: nel momento in cui si maneggiano vampiri, occorre almeno far alitare un soffio di terrore. Che l’autrice ci creda o no. E secondo me no, non ci crede affatto: il suo è più un divertimento narrativo che un omaggio.
Non ha niente a che vedere con l’horror, per intenderci. Però. Però si legge decisamente con gusto, volendo.