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La forma sotto il lenzuolo e le polemiche sul fantasy

gennaio 4, 2010

Nel 1977, Stephen King scrive una lunga introduzione alla raccolta A volte ritornano. E’ un’introduzione che diventerà famosa: quella che parla della paura e della funzione degli scrittori dell’orrore, e, in assoluto, di fantastico.
Se non l’avete letta, fatelo. In poche parole, King sostiene che la grande narrativa dell’orrore è quasi sempre allegorica: “A volte l’allegoria è voluta (come nella Fattoria degli animali o in 1984), altre volte è casuale: J.R.R.Tolkien giura e spergiura che il signore di Mordor non era Hitler in versione fantastica”.
Notare che King cita Orwell e Tolkien, scavallando la definizione di genere nella sua accezione più rigida (e forse nel 1977 era addirittura meno rigida di adesso). Più avanti, fa di più, e parla di scrittori decisamente mainstream:
“Le opere di Edward Albee, di Steinbeck, di Camus, di Faulkner, trattano di paura e di morte, talvolta con orrore; ma in genere questi scrittori mainstream lo fanno in modo più normale, più realistico. Il loro lavoro si colloca entro la cornice del mondo razionale: sono storie che possono accadere. Viaggiano lungo quella linea sotterranea che corre attraverso il mondo esterno. Ci sono altri autori (James Joyce, di nuovo Faulkner, poeti come T.S.Eliot, Sylvia Plath, Anne Sexton) la cui opera si colloca nella terra dell’inconsapevolezza simbolica. Viaggiano sulla sotterranea che corre attraverso il paesaggio interno. Ma chi scrive racconti dell’orrore, quando coglie nel segno, è quasi sempre al terminal dove le due linee fanno capo”.
Quale è, secondo King, il compito di uno scrittore dell’orrore? In primo luogo, raccontare una storia, affascinare il lettore. Afferrarlo, anzi. Poi, c’è l’altro compito: fare da filtro fra quello che possiamo interiorizzare senza pericolo e quello di cui dobbiamo sbarazzarci. Raccontare, cioè,  la paura numero uno: la forma del cadavere sotto il lenzuolo. Il nostro cadavere.
Il motivo per cui chi scrive fantastico ha sempre goduto di scarsa considerazione, dice King, è proprio questo: è perchè affronta la prova generale della nostra morte. Certo, anche gli autori mainstream parlano di morte: ma chi si avventura nel territorio del non reale si spinge più avanti. E, forse, colpisce più duro.
Perchè un post su questo argomento?

Perchè oggi, riprendendo a navigare dopo due giorni quasi ininterrotti di scrittura (sì, la ghost story procede a vele spiegate, come non mi succedeva da un bel pezzo: ha un titolo, Baby blues, e di più non dico), ho trovato un po’ di aggiornamenti. Il post di GL, per esempio: con cui sono amaramente d’accordo. E il post di Francesco, con cui non sono d’accordo. Perchè se è vero che “la storia innanzitutto”, è anche vero che la letteratura fantastica ha un compito: può essere quello indicato da King, può essere un altro. Discutiamone. Ma invocare il principio di piacere di per sè non mi basta. Non mi piace la contrapposizione scrittura come scopata/scrittura educativa. Preferisco parlare di scrittura consapevole. Perchè il puro piacere dura poco: e ho l’ambizione, da lettrice prima che da scrittrice, che un libro duri nel tempo.
La letteratura non eleva lo spirito e scrivere non rende migliori: giustissimo. L’ho scritto, in tempi non sospetti.  Ciò detto, e concordando sull’importanza della storia innanzitutto, dico anche che tutto non è uguale a tutto. Perchè King ha sentito il bisogno di scrivere quell’introduzione? Non per “sdoganare il fantastico”. Nessuno di noi, credo, intende farsi bello agli occhi di qualcun’altro, e men che meno di un critico. Ma per dare valore e serietà (non nel senso angusto del termine)  a un genere che è considerato immondizia. E questo non mi pare affatto secondario e affatto inutile.
Infine, sinceramente, sono stufa di quelli che si dichiarano stufi: di quelli che  commentano “oh, ma cosa c’è di nuovo, oh, ma perchè parlare di queste cose, oh, ancora?”.
Sì, ancora. Per quel che mi riguarda, non mi ritengo superiore a chi scrive davvero monnezzoni, e probabilmente li scrivo anche io. Non mi ritengo superiore a chi scrive romanzi rosa travestiti. Non mi ritengo superiore a nessuno: non valgo più di un panettiere, anzi, sicuramente sono meno utile.
Però mi sforzo di non ripetermi, di non acquietarmi nella mia visione, di non sfornare libri perchè un filone tira. E li difendo. Perchè sono sicura, da lettrice prima ancora che da scrittrice, che la banalizzazione del fantastico sia cosa da contrastare: sia pure in una discussione. Per rispetto di chi legge, oltre che di chi scrive.
Poi, certo, questa è la mia opinione e vale quel che vale. Sicuramente, è persino meno pagante.